La guerra globale del terrorismo islamista e le illusioni dell'Europa
intervista a Ephraim Halevi, ex capo del Mossad
Testata:
Data: 11/07/2005
Pagina: 2
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Londra e Israele, stessa trincea»
L'UNITA'di lunedì 11 luglio 2005 pubblica a pagina 2 un'intervista di Umberto De Giovannangeli all'ex capo del Mossad Ephraim Halevi, che riportiamo:
Se c'è un servizio segreto che ha fatto della lotta al terrorismo islamico la sua priorità assoluta, questo è il Mossad, il servizio segreto israeliano. Se c'è un uomo che ha dedicato buona parte della sua vita a combattere i jihadisti e i loro mandanti, quest'uomo è Ephraim Halevy, ex capo del Mossad. Ogni sua parola, ogni sua considerazione è il frutto di una esperienza pluridecennale maturata sul campo. Per questo, Ephraim Halevy è una delle persone al mondo che possono meglio ragionare sugli attentati di Londra con cognizione di causa. Quella contro il terrorismo jihadista, avverte, «è una guerra globale, e come tale va condotta e vissuta». Una guerra che non può essere delegata ai soli militari né affidarsi al pur essenziale lavoro di intelligence. Halevy considera i servizi di intelligence britannici «tra i più efficienti e meglio preparati sul campo». Ma contro un nemico che punta al massacro, che fa di ogni luogo della normalità - autobus, metropolitane, caffè , scuole, ristoranti… - un possibile obiettivo, un teatro di battaglia, non c'è nessun servizio di sicurezza, nessun governo «in grado di garantire una protezione assoluta ad ogni cittadino». Ed è proprio da questa considerazione che si dipana il nostro colloquio.
Di fronte ai sanguinosi attentati di Londra, l'opinione pubblica europea s'interroga sgomenta sulla portata dell'offensiva terroristica. Qual è la sua valutazione?
«L'errore più grave che il mondo libero potrebbe compiere è quello di chiudere gli occhi di fronte a ciò che sta avvenendo o minimizzarne la portata. Siamo all'inizio di una guerra mondiale che coinvolge l'intero pianeta ed è caratterizzata dall'assenza di linee di fronte e da un nemico difficilmente identificabile. In questa guerra globale le regole d'ingaggio devono essere riformulate e lo stesso dicasi per leggi internazionali. Si tratta di una revisione indispensabile , per consentire alla civiltà di difendersi. Sia chiaro: non penso che il mondo libero debba rinunciare ai suoi principi basilari o mettere tra parentesi libertà e diritti che sono l'essenza di un sistema democratico. Rinunciare a questi principi sancirebbe la vittoria dei terroristi. Ma di fronte alla sfida mortale lanciata dal terrorismo jihadista, occorre ridefinire l'equilibrio fra rispetto dei diritti umani e misure più incisive nella lotta contro il terrorismo. Israele in questo può servire da esempio: abbiamo cercato di combattere un nemico agguerrito, sanguinario, senza scrupoli, salvaguardando i principi che sono a fondamento di uno Stato di diritto. Ma non abbiamo mia abbassato la guardia né abbiamo coltivato l'illusione che per troppo tempo è stata coltivata dall'Europa…».
Quale sarebbe questa illusione?
«L'illusione che l'Europa ha coltivato per lungo tempo di poter essere risparmiata dal terrorismo islamico, come se questa guerra potesse riguardare e investire solo Israele e gli Stati Uniti. Come se dialogo e comprensione fossero parole magiche in grado di fermare la mano e la volontà dei jihadisti. Per i jihadisti qualsiasi apertura viene concepita come prova di debolezza. Le stragi di Madrid e di Londra dimostrano che per il terrorismo globalizzato è il pianeta il suo campo di battaglia, ed è il mondo libero il nemico da annientare. Se questa è la realtà, e lo è, ogni Paese deve dichiarare se stesso in guerra con l'internazionale del terrorismo islamico , e deve coinvolgere tutta la popolazione nella battaglia. Non si tratta di militarizzare la società civile ma di renderla partecipe del fatto che di fronte a un nemico così spietato e difficilmente identificabile nessun governo è in grado da solo di garantire una protezione assoluta ad ogni cittadino. Non si può proteggere ogni autobus, ogni treno, ogni strada, ogni piazza: in questa fase particolare ogni cittadino comune deve essere vigilante e dare il suo personale contributo allo sforzo di guerra. Ognuno deve sentirsi partecipe di questo sforzo perché ognuno è un obiettivo potenziale del terrorismo jihadista».
Lei parla di un errore di percezione da parte europea nei confronti dell'Islam radicale. In cosa consiste questo errore?
«Nel ritenere che il terrorismo islamico sia una risposta, una reazione per quanto estrema ed esecrabile, a ingiustizie di cui l'Occidente, incarnato da Stati Uniti e Israele, si sarebbe macchiato nei confronti del mondo arabo e musulmano. Chi pensa questo commette un errore esiziale. Perché questo terrorismo non è affatto reattivo, non ha nulla di difensivo, ma fonda la sua ragion d'essere nell'odio verso tutto ciò che è altro da sé e dalle proprie convinzioni. Il suo obiettivo non è porre rimedio alle ingiustizie. Il suo obiettivo è la nostra resa. Per questo Londra e Gerusalemme sono la stessa trincea. Quella di un mondo libero che non si piega al ricatto terrorista».
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