L'attacco a Londra impone all'Europa di guardare in faccia la realtà
le analisi di Fiamma Nirenstein, Giuliano Ferrara, Magdi Allam e Carlo Panella
Testata:
Data: 08/07/2005
Pagina: 6
Autore: Fiamma Nirenstein - Giuliano Ferrara - Magdi Allam - Carlo Panella
Titolo: Il terrorismo è in mezzo a noi - Il terrorismo è la tecnica, ma sono feroci combattenti della guerra islamista - Quell’ideologia islamica nichilista che legittima i massacri - Al Qaida come Saddam, l'obiettvo è sempre dividere Europa e America
LA STAMPA di venerdì 8 luglio 2005 pubblica apagina 6 l'analisi di Fiamma Nirenstein "Il terrorismo è in mezzo a noi", che riportiamo
E adesso che Londra, proprio l’adorata Londra, e proprio accanto al British Museum, a Trafalgar Square,a King’s Cross, a Aldgate East, e anche nell’Underground che più di ogni altra Metro parla di modernità e democrazia, si è unita alla famiglia delle vittime del grande terrorismo come New York, Madrid, Gerusalemme, Istanbul, è forse l’ora di renderci conto senza pietà che da anni l’indirizzo era scritto sui muri. La si chiamava fra gli esperti di terrorismo come il professor Yoni Figel che ha coniato il termine, «Londonistan» per dire che si sa bene quanto la capitale inglese pulluli di estremismo islamico, e quanto di là si dipartano molte delle trame che, con gangli, covi, denari nel resto d’Europa e altrove, si svolgono nel vecchio continente.
L’Europa è zeppa di terrorismo che sta qua per colpirci. Da Londra proveniva Richard Reid, il terrorista con le scarpe piene di tritolo che tentò il terrorismo suicida su un aereo. Da Londra, i due terroristi suicidi di Hamas con passaporto britannico che fecero saltare per aria il Mike Club sul lungomare di Tel Aviv. A Londra gli hezbollah sono impegnati in operazioni di intenso reclutamento; a Londra fu arrestato per aver mandato terroristi in Iraq Abderrazak Mahdjab e si è scoperta una rete di traffici con carte di credito rubate per finanziare l’organizzazione; a Londra si è svolto il processo del ricino, dopo che in un appartamento di Woodgreen erano stati trovati materiali (fra cui semi di ricino, botulina, cyanide, solanina, etc) e note in arabo per preparare letali armi chimiche e biologiche. Il capo, Khamel Burgass è stato riconosciuto colpevole di cospirazione a scopo delittuoso, ma i complici sono stati mandati liberi. Da Londra proveniva Cabdullah Ciise arrestato a Milano per l’attacco di Mombasa del novembre 2002 e si sospetta che vi si trovi Mohammed Al Garbuzi, figura centrale nell’attentato di Casablanca del maggio scorso). A Londra in un’altra ventata di liberazioni è stato rilasciato il predicatore Abu Qatada, probabilmente la guida spirituale di Mohammed Atta il leader dei dirottatori delle Torri Gemelle. A Londra il sindaco Ken Livingstone ha promosso e presenziato a un incontro pubblico con lo sceicco Yussuf al Qaradawy, uno dei più pesanti ideologi jihadisti.
Ognuna delle capitali europee ha lo stesso curriculum, e peggio. L’Inghilterra, il Belgio, la Spagna, la Francia, l’Italia, in cui la presenza terroristica ormai devastante viene descritta bene da Magdi Allam nel suo libro «Viaggio nell’islam radicale». Sono i centri di organizzazione occidentale più fitti, in cui il terrorismo finanziato da casa (Arabia Saudita, Iran etc), si organizza per esportare un flusso ininterrotto di emissari, spesso terroristi suicidi, verso i campi di addestramento e poi verso i luoghi delle operazioni, come l’Iraq. Questo, seguitando sempre ad allargare la rete nei Paesi dell’Est Europeo e nei Balcani, dov’è più facile scivolare inosservati. In Francia, si trova il centro che recluta combattenti ceceni; in Austria, il centro che sovrintende alla comunicazione fra le varie parti; in Germania, l’acquisto di armi da gang criminali. Al Qaeda agisce come generica casa madre, un marchio internazionale, ma si serve di meccanismi sociali, politici e religiosi invece del tutto locali, e ne viene usata.
Molto spesso i terroristi sono ragazzi alla terza generazione dopo l’immigrazione, talora avevano 13 anni ai tempi dell’11 di settembre. Il loro islamismo estremo è tutto ideologico, la proprietà della lingua e di costumi perfetta, i documenti autentici. Mohammed Atta insegnava architettura ad Amburgo e educati ad Amburgo erano anche gli assassini di Daniel Pearl; tedesco-polacco era Michael Christian Ganczarski, il terrorista dell’attacco di Istanbul dell’aprile 2002. Un esercito di mujaheddin risiede permanente fra noi, in Europa. La moscheizzazione, ovvero l’uso dei luoghi di culto come centri di indottrinamento, è ormai un fenomeno accertato e difficile da combattere senza ferire la libertà religiosa, come difficile in generale è battere il terrore con l’uso delle leggi correnti. La strage di Madrid è avvenuta l’11 di marzo di poco più di un anno fa, e da allora si sono viste parecchie esplosioni, agguati a fuoco, sequestri, rapimenti, decapitazioni.
Questi eventi sono stati preparati, aiutati dal fatto che vige in Europa la convinzione che alla fin fine il terrorismo sia un fenomeno non così rilevante come vorrebbero Bush e Sharon, che può essere placato, pacificato, con un atteggiamento dialogante, abbandonando gli Usa alla loro guerra e Israele a quella che si vuole illudere sia una rivendicazione puramente territoriale di Hamas e degli Hezbollah, da cui noi europei siamo immuni. La questione della sicurezza nella mente europea è tuttora assai secondaria, le elite non hanno mai saputo o voluto formare nella gente una coscienza della priorità del tema, hanno bloccato i meccanismi di difesa sia istituzionali che legali che culturali per paura di creare razzismo, illegalità, o semplicemente perché convinti di poter domare il fenomeno con misure sociali.
Invece l’Europa è un gomitolo di terrorismo, e la «geometrica potenza» dell’attacco odierno dimostra quanto esso sa dipanarsi a nostro danno se non lo si combatte con furia e determinazione.
IL FOGLIO pubblic ain prima pagina l'editoriale "Il terrorismo è la tecnica, ma sono feroci combattenti della guerra islamista"
Quella parola, islam, nessuno vuole
pronunciarla, nemmeno Tony Blair
che attaccando il "terrorismo" assicura:
"La maggioranza dei musulmani è
gente per bene". Il che è un’ovvietà, ma
anche una rimozione, forse comprensibile
in bocca a un primo ministro che
ospita una immensa e pesante comunità
islamica, capace di eleggergli contro
il deputato George Galloway e di
turbare la City. Tuttavia le rimozioni
non funzionano nemmeno per curare
la psiche, figuriamoci per difendere il
corpaccio nuovamente sfigurato dell’occidente
colpito in una delle sue
grandi capitali politiche e culturali.
Il G8 aveva cancellato la guerra islamista
contro ebrei e crociati dall’agenda
dei lavori, i combattenti islamisti
hanno cancellato il G8 con le stragi di
King’s Cross e con la nuova, spaventosa
modalità operativa del tuffo suicida tra
i civili che viaggiano in metropolitana
o nel bus. Non è l’Ira, non sono i baschi
dell’Eta, non è nazionalismo, separatismo
o unionismo né la coda di cometa
della lotta di classe comunista come
per la Raf tedesca o le Bierre italiane.
E’ l’islam politico e radicale che ha di
nuovo battuto il suo tamburo, e il suo
retroterra va dai salafiti d’oriente al
Waziristan di bin Laden, dall’Iran di
Mahmoud Ahmadinejad, neopresidente
della Repubblica pre-nucleare dei
mullah fino ai segreti e alle ambigue
sottigliezze del regno saudita. Ma la sua avanguardia è tra noi, è un islam guerriero
che conosce la nostra democrazia
e la abita sapendo usarla e abusarla
senza complessi, e che lavora alacremente
per conquistare il suo spazio politico,
culturale e militare.
Nominare le cose con il loro nome è
quel segno di forza mentale che vale
quanto i concerti per l’Africa, la campagna
contro la povertà, le trame diplomatiche
e perfino l’intelligence e la
mobilitazione di guerra messe insieme.
Sembra che ora ci provi il Vaticano,
che con Benedetto XVI ha usato ieri
per la prima volta una parola desueta
ma significativa ("attentati antiumani e
anticristiani") e con il suo Segretario di
Stato ha invocato "la fine dello scontro tra civiltà", il che significa riconoscere
che quello scontro è cominciato.
Un’efficiente operazione bellica ha
riportato la sua logica mortale in
un’Europa presa da Kyoto, dalle nozze
gay, dal benessere tedesco, dalle Olimpiadi,
dalle chiacchiere italiane sulla
liceità delle extraordinary renditions e
di altre attività dell’intelligence. Conosciamo
a memoria la cantilena multiculturale,
che ha perfino le sue ragioni
perché del nostro modo di vita fanno
parte l’accoglienza, la mescolanza. Ma
se vogliamo salvarlo non è con la musica
afro style che ce la faremo, dobbiamo
cominciare a battere il nostro tamburo,
a considerarci una umma,
la comunità occidentale.
Il CORRIERE DELLA SERA pubblica in prima pagina il commento di Magdi Allam "Quell’ideologia islamica nichilista che legittima i massacri".

Ecco il testo:

Oggi più che mai non dovrebbero esserci più dubbi sul fatto che stiamo fronteggiando una guerra globalizzata del terrorismo di matrice islamica. Non c’è un nesso tra gli attentati di Londra e l'uccisione dell'incaricato d'Affari egiziano a Bagdad, Ihab Sherif.
Tuttavia entrambi i fatti sono stati rivendicati da Al Qaeda, s'ispirano a un'ideologia islamica nichilista che legittima il massacro di «ebrei, crociati, infedeli, apostati», mirano ad annientare una comune civiltà umana che ha il suo fondamento nel valore della sacralità della vita.

Eppure sono ancora troppi coloro che in Occidente continuano a non voler vedere la realtà aggressiva di quest’offensiva planetaria del terrore, immaginando che si tratti di un fenomeno reattivo, giustificato se non addirittura legittimo. E che quindi, anche in presenza di un efferato eccidio, tendono ad attribuirne la colpa all'Occidente, a Israele o ai Paesi musulmani. Più in generale l'Occidente paga l'errore di aver frainteso e sottovalutato la realtà di una struttura organica del radicalismo islamico che ha messo radici al proprio interno, che alimenta una cultura dell'odio confessionale e del separatismo comunitario. In quest'ambito la Gran Bretagna ha la responsabilità maggiore.

Di fatto dire che si sia trattato di una strage preannunciata è dire un’ovvietà. Il vero miracolo è che fino a ieri Londra fosse scampata all’offensiva del terrorismo di matrice islamica. Del quale è a tutti gli effetti la solida roccaforte non solo a livello europeo ma perfino a livello mondiale. È nella capitale britannica che hanno trovato rifugio alcuni dei più famigerati burattinai dell’estremismo islamico responsabili dell’orripilante massacro di innocenti in Algeria, Egitto, Arabia Saudita, Yemen. Dove si è radicata una pericolosissima filiera che, partendo dalla predicazione della Jihad intesa come guerra santa, operando un indottrinamento che inculca la fede nel «martirio » islamico, sfocia nella «produzione» dei combattenti e degli aspiranti terroristi suicidi.

Londra si è trasformata di fatto nello snodo europeo tramite cui migliaia di mujahidin, nel corso di un ventennio, sono transitati prima di andare a combattere in Afghanistan, Cecenia, Bosnia e Iraq.

Ebbene, il 7 luglio passerà alla storia come la fine della logica assolutamente naif e deleteria secondo cui, in materia di estremismo islamico, «can che abbia non morde». Ora dovrebbe essere chiaro che l'istigazione alla violenza non può essere equivocata con la libertà di espressione. Pensate che lo scorso gennaio Omar Bakri, siriano, presidente del movimento Al-Muhajiroun (gli emigranti), affermò in un'intervista al Times che «tutta la Gran Bretagna è diventata Dar al-harb (Casa della guerra)», che «la vita e le proprietà degli infedeli non sono più sacre», che i musulmani britannici «hanno l'obbligo di unirsi ad Al Qaeda, alle sue filiali e organizzazioni nel mondo»!

A Londra agiva impunemente anche Abu Qatada, il sanguinario mufti, giureconsulto islamico, che emise le fatwa richieste dal Gia per legittimare il massacro dei civili in Algeria. Solo da poco è stato arrestato Abu Hamza al Masri, cittadino britannico di origine egiziana, leader di Ansar al Sharia, accusato di aver promosso attentati terroristici nello Yemen. L'elenco degli estremisti islamici che a Londra hanno goduto di una totale libertà e impunità è lungo.

Ci si è illusi che lasciandoli parlare si sarebbero sfogati e alle parole non sarebbero seguiti i fatti. Hanno confuso i burattinai del terrore con gli esagitati che si esibiscono allo Speaker's Corner di Hyde Park. Ora tutti sappiamo che non si tratta di chiacchiere ma di una predicazione, un indottrinamento e un arruolamento che sono parte integrante di una vera e propria guerra. Che non conosce regole, disconosce i valori, esclude il compromesso.

Dobbiamo aprire gli occhi. Renderci conto che i terroristi sono solo la punta dell'iceberg di una più ampia e profonda struttura del radicalismo islamico dedita alla trasformazione delle persone in bombe umane. E che questa guerra globalizzata la potremo vincere soltanto se reprimeremo sul nascere questo processo letale.
A pagina 1 dell'inserto IL FOGLIO pubblica l'analisi di Carlo Panella "Al Qaida come Saddam, l'obiettvo è sempre dividere Europa e America", che riportiamo:
Comprendere la simbologia di un attentato
è essenziale quanto arrestarne i responsabili,
ma è a volte più difficile. E’ più
semplice saper leggere la firma islamica per
eccellenza: la presenza di uno shahid, di un
kamikaze, evidente dedica ad Allah della
strage. A Londra, l’attentato sull’autobus pare
essere stato portato a termine da un uomobomba
e questo esclude ogni ipotesi che non
sia quella islamica. L’11 marzo 2004, ad Atocha,
Madrid, ad esempio, proprio la certezza
dell’assenza di un kamikaze fu uno degli elementi
che spinsero nelle prime ore la polizia
a privilegiare la pista basca rispetto a quella
islamica. Più difficile, invece, comprendere
la cadenza temporale degli attentati.
Se guardiamo alle cadenze dei gruppi terroristi
europei (in Germania, Italia, Irlanda-
Inghilterra, Spagna) cogliamo una frequenza
di iniziative molto contratta, rapida. I grandi
attentati riconducibili alla galassia di al Qaida,
invece, sono molto più distanziati nel tempo:
nel 1993 il primo alle Twin Towers; nel
1998 quelli alle ambasciate Usa di Nairobi e
Dar es Salaam; nel 2000 alla Us Cole ad Aden;
l’11 settembre 2001 a New York e Washington;
nell’ottobre 2002 a Bali; il 17 maggio 2003 a Casablanca e poi a Riad; il 15 novembre 2003
a Istanbul; l’11 marzo 2004 a Madrid. Una
scansione di tempi che pare ubbidire a logiche
non facilmente decifrabili, neanche alla
luce di elementi simbolici che saltano agli occhi.
E’ evidente, ad esempio, che l’obiettivo
primo dell’attentato di Londra è quello di indebolire
l’immagine di potenza che l’Inghilterra
dà in questi giorni, in cui assomma alla
presidenza dell’Ue, quella del G8, la riunione
di tutti i potenti del mondo. Ma perché allora
non colpire New York o Washington durante
lo scorso vertice del G8 del 2004 a Sea
Island, in Georgia? E’ facile comprendere
perché non sia stata considerata la scadenza
dei precedenti G8 dell’aprile 2002 a Banff, in
Canada, e del 1° giugno a Evian, in Francia, e
la risposta aiuta a definire un elemento fondamentale
della simbologia terrorista. La
platea a cui l’azione terrorista si rivolge in
prima battuta è infatti quella della umma
musulmana, come tutta la sua strategia punta
a conquistare il potere nel dar al Islam, nel
territorio delle coscienze dei musulmani, non
in occidente. Canada e Francia, in questo
mondo, sono considerati paesi, se non amici,
comunque da tenere al riparo dalla violenza (come ben si vide nelle reazioni anche di
estremisti musulmani ai rapimenti dei giornalisti
francesi in Iraq), perché si sono sempre
opposti alle iniziative contro il terrorismo
islamico degli Usa. Ma allora, di nuovo, perché
non colpire Bush a casa sua? Domanda
che diventa ancora più interessante se si pensa
che proprio l’anno scorso in quel vertice
Bush riuscì a far approvare la sua strategia di
riforme per il medio oriente, che inizia a dare
frutti in Libano, Palestina ed Egitto. Il livello
di sorveglianza della capitale inglese
negli ultimi anni, peraltro, è stato pari, se non
superiore a quello delle principali città americane,
lo dimostra l’incredibile numero di attentati
sventati e la stessa certezza, più volte
ribadita da Scotland Yard, che un attacco a
Londra fosse "inevitabile". La risposta a questo
quesito non è difficile e porta diritto a una
costante della politica del fronte arabo-islamico
radicale negli ultimi trent’anni, ben rappresentata
da tutta la strategia di Saddam
Hussein, grande padrino del terrorismo mondiale:
l’obiettivo è separare Europa e Stati
Uniti. Questi attentati massacrano povera
gente in Europa – e volutamente non scelgono
nessun simbolo del cuore del potere mondiale,
riunito a Gleneagles – per dimostrare
che l’America non sa proteggere i suoi alleati.
Tutta la politica petrolifera dell’Iraq, come
della Libia e dell’Iran khomeinista è sempre
stata indirizzata a scavare un solco tra le due
rive dell’Atlantico e così è stato per tutte le
iniziative diplomatiche dei paesi musulmani
che un tempo facevano parte del "Fronte del
Rifiuto" (rifiuto dell’esistenza stessa di Israele,
non della pace tra israeliani e palestinesi),
che hanno poi partorito le nuove leve di terroristi.
Ecco allora perché Londra, dopo Madrid.
Ecco perché è passato tanto tempo: perché
era necessario raggiungere l’obiettivo superando
difficoltà tecniche. La gravità di questi
attentati non è solo nel numero delle vittime,
ma nella capacità dimostrata da un commando
di una cinquantina di terroristi di
muoversi per due-tre mesi nel Londonistan
senza usare il telefono (fonte di indagini), senza
toccare ambienti "sensibili", trasportando
ingenti quantità di esplosivo e piazzandole
con una precisione e un sincronismo impressionanti.
Ecco perché non è difficile ipotizzare
quale può essere, tra qualche mese, magari
a ridosso di elezioni, il prossimo obiettivo.
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