Caso Moro: nuove inconsistenti dietrologie sul ruolo di Cia e Mossad
e un intervento di Francesco Cossiga che sconfessa Galloni
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Data: 07/07/2005
Pagina: 1
Autore: Luigi Cancrini - Francesco Cossiga
Titolo: Ferracuti mi disse: "C'era la Cia" - I ricordi sinistri di Galloni
L'UNITA'di giovedì 7 luglio 2005 pubblica in prima pagina un articolo di Luigi Cancrini sul caso Moro.
Il titolo dice tutto: "Ferracuti mi disse: c'era la Cia". Ferracuti, "membro della commissione istituita presso il ministero degli Interni dall’allora ministro Cossiga al tempo del sequestro Moro" gli disse, per la precisione che "le riunioni dell’organismo che coordinava, al massimo livello, le azioni di tutte le forze dell’ordine erano non solo frequentate ma sostanzialmente dirette da due funzionari della Cia".
Affermazione che secondo Cancrini dovrebbe in qualche modo "confermare" le "rivelazioni" di Galloni circa un'affermazione di Moro circa l'infilitrazione di Cia e Mossad nelle Brigate Rosse.
A rigor di logica non si vede come. Nè è chiaro come la presenza di due agenti della Cia alle riunioni che dovevano gestire le operazioni di polizia di un paese alleato degli Sati Uniti durante una crisi gravissima possa essere ritenuta un'enigmatica anomalia, indice di occulte manipolazioni.

Ecco l'articolo:

Le rivelazioni di Galloni riaprono vecchi discorsi. Vecchie ferite. Propongono la necessità di guardare fino in fondo il tempo che abbiamo vissuto, l'incubo in cui siamo stati immersi e che ci ha condizionato tutti.
1990. Un collega anziano, il professor Ferracuti, docente di psicologia giuridica all’università della Sapienza, vuole vedermi. So che è gravemente malato e che ha poco da vivere.
Io lo conosco appena e la sua richiesta mi stupisce. So di lui che è un uomo di destra, che è stato collegato in vario modo con i servizi e con gli apparati dello stato. Di me lui sa solo, penso, che siamo colleghi, che faccio parte del Partito Comunista Italiano (ero membro, allora, nel governo ombra di Occhetto), che collaboro regolarmente con l’Unità. Sul letto di morte (morirà a distanza di pochi giorni) mi dice che c’è un pensiero che lo fa star male, di cui ha sentito il bisogno di parlare con qualcuno che sta dall’altra parte perché quelle che finivano di confrontarsi in quegli anni (la caduta del muro di Berlino è dell’89) erano davvero delle parti, distinte e distanti l’una dall’altra. Abituate a guardarsi con reciproca, ostile diffidenza.
La rivelazione dell’anziano collega (che io riproposi allora sull’Unità) era in qualche modo speculare a quella odierna di Galloni. Membro della Commissione istituita presso il ministero degli Interni dall’allora ministro Cossiga al tempo del sequestro Moro, lui raccontava ora che le riunioni dell’organismo che coordinava, al massimo livello, le azioni di tutte le forze dell’ordine erano non solo frequentate ma sostanzialmente dirette da due funzionari della Cia.
Il quadro che risulta da questo insieme di dati e di rivelazioni è un quadro, in fondo, estremamente semplice. Intuita da Sciascia nella sua straordinaria relazione di minoranza (ebbe, in Parlamento, il suo solo voto) la realtà del sequestro Moro è stata, probabilmente, quella di un sequestro che è stato seguito e gestito seguendo logiche che erano prima di tutto logiche politiche. A distanza breve di tempo dal colpo di Stato di Pinochet in Cile, l’idea di Moro e di Berlinguer sulle convergenze parallele e sull’ingresso possibile dei comunisti in un governo di unità nazionale era percepita e vissuta come un’idea pericolosa per quelli che erano allora gli equilibri del mondo. Utilizzare l’occasione offerta dalle Br per dare un colpo mortale (in più di un senso) allo sviluppo di quel progetto, allora, era, tutto sommato, logico e ben lo sapeva lo stesso Moro: un uomo che era ben consapevole, dunque, dei rischi che stava correndo e dei ragionamenti che si facevano allora. Nel mondo in generale e intorno a lui in particolare. Come ci conferma oggi, autorevolmente, Galloni.
Due riflessioni vorrei proporre soltanto a questo punto. Di ordine più personale la prima perché i fatti giustificano, mi pare, la paranoia che vivevamo tutti allora. «Just because I'm paranoid it doesn’t mind they are not after me» (il fatto che io sia paranoico non significa che loro non ce l’abbiano con me) dice il paziente di Gregory Bateson e possiamo dire anche noi, forse, rivisitando i tempi di quella che è stata, a tutti gli effetti, una lunga e pesante limitazione della nostra sovranità nazionale. Ragionavamo di un "sistema", infatti, che esisteva, guidato da volontà sconosciute e non facilmente riconoscibili ma ben collegate a quella che, sull’altro versante, al di là del muro, custodivano altre e forse più dure tipologie di sovranità limitata: delirando, dunque ma con delle buone ragioni per farlo. Senza essere cioè per niente pazzi.
Di ordine più generale e politico, la seconda di queste riflessioni viene riproposta oggi, con forza rinnovata, da storie come quelle dell’Imam rapito a Milano. Valgono davvero le regole democratiche nelle attività quotidiane dei servizi segreti?
La storia insegna o dovrebbe insegnare. Ed io sto ancora a chiedermi, in fondo, perché tanti anni fa la Digos mi convocò per dirmi che dei loro infiltrati nelle Brigate Rosse li avevano informati del fatto che io sarei stato una delle prossime vittime. Dovevo cambiare le mie abitudini, dicevano, e avevo diritto ad una scorta: come tanti, in fondo, allora perché è stato un tempo così e qual' era la funzione, tuttavia, degli "infiltrati"? Sapendo tutto quello che sapevano, perché i Servizi, la Digos, la polizia non si decidevano a bloccare le attività delle Brigate Rosse arrestandole? È possibile davvero che non sia possibile portare di fronte ad un giudice delle organizzazioni comunque piccole (erano pochi!) di persone fra cui si è riusciti ad "infiltrarsi"? Davvero è possibile sapessero di me e di tanti altri e non di Moro? Adesso che si fa più sul serio con quel tipo di criminalità politica, adesso che non servono più a nessuno, arrestare gli esecutori di D’Antona e di Biagi sembra sia diventato improvvisamente molto più facile. Può darsi anche che queste siano solo paranoie, naturalmente, ma l’impressione che ho, spesso, è proprio quella di servizi che "spingono o non spingono" a seconda delle finalità che vogliono raggiungere in quel momento e dell’orientamento delle volontà che li dirigono. Come ben dimostrato, mi pare, dalle rivelazioni di Galloni: che ha parlato oggi ma ha anche taciuto. Per tanto (troppo?) tempo.
Sulla vicenda delle dichiarazioni di Galloni interviene anche Francesco Cossiga, con una lettera al direttore che sembra offrire un contributo di razionalità a una discussione che sicuramente ne difetta.

Ecco l'articolo:

Gentile Direttore,
Giovanni Galloni e io, militanti prima nella Federazione Universitari Cattolici Italiani e poi nella Democrazia Cristiana, nella corrente di Iniziativa Democratica di Fanfani, Moro e Rumor e poi compagni nella corrente della Sinistra di Base di questo partito, amici da una vita, uniti dallo stesso amore per il diritto, abbiamo avuto in tutta la nostra vita un solo momento di scontro.
S
iamo stati compagni nella corrente della Sinistra di Base di questo partito, sostenitori fermi e caparbi della politica del compromesso storico nella versione morotea, e cioè politica e non, come invece i dossettiani, ideologica (le due parti di un unico soggetto: il Popolo degli intellettuali antiliberali ed anticapitalisti, comunisti e cattolici progressisti) nonché della solidarietà nazionale.
Ebbene, quell’unico momento di scontro fu quando egli, eletto contro la mia opinione di Capo dello Stato all’ufficio di Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, si convertì rapidamente al giustizialismo e si schierò a favore dell’Associazione Nazionale Magistrati, che già cominciava a manifestare il suo volto di "partito politico di fatto", di carattere elitario, antiparlamentare e tendenzialmente eversivo, contro di me, che in un caso in cui i membri magistrati del Csm volevano tentare la prima usurpazione di funzioni costituzionali, fui costretto a dare l’alt al Consiglio Superiore, minacciando lo scioglimento, revocando le deleghe a Giovanni Galloni ed inviando, con il consenso del Governo e, per quanto atteneva alla legittimità del mio operato, della Procura della Repubblica di Roma, nella piazza antistante la sede del Consiglio, un battaglione mobile di carabinieri in tenuta antisommossa, agli ordini di un generale di brigata dell’Arma e del comandante della Legione Territoriale Carabinieri di Roma, pronti a far irruzione nella sede ed a sgombrarla, su ordine da me impartito nell’esercizio delle mie funzioni di Presidente del Consiglio Superiore, qualora avessero insistito nel votare un ordine del giorno di censura del Presidente del Consiglio dei ministri. Come fa dire Alessandro Manzoni a Don Abbondio nel suo colloquio con il Card. Federico Borromeo: «Chi il coraggio non l’ha, non se lo può dare...», vi fu una rapida ritirata di Giovanni Galloni e dei "magistrati democratici" di pseudosinistra e di quelli "corporativi" di destra, spesso alleati tra di loro contro i poteri politici espressione della sovranità popolare e non di quella da essi preferita... "per concorso cooptativo". Ed io incassai l’approvazione perfino della Direzione del Partito Comunista Italiano, che solo mi pregò di non accettare le dimissioni presentate dai membri togati del Csm che al Pci si erano rivolti, terrorizzati all’idea che io potessi accettarle ed essi dovessero ritornare a, si fa per dire..., lavorare, rinunciando a prebende e privilegi! Giovanni Galloni fu poi durante il sequestro di Aldo Moro "ufficiale di collegamento" tra me e la Dc, così come l’indimenticabile e coraggioso amico Ugo Pecchioli lo fu con il Partito Comunista. Mai Giovanni mi prospettò l’ipotesi di una infiltrazione delle Brigate Rosse da parte della Cia e del Mossad. In realtà, secondo le informazioni fornitemi dal Controspionaggio militare (quello che mi tenne sotto controllo fisico ed elettronico durante i miei anni al ministero dell’Interno: altro che priorità alla lotta al terrorismo!) e dal Servizio di Sicurezza del ministero, risultava che il Mossad israeliano avesse avuto nei primi tempi contatti con le Br, ma soltanto per capire che cosa fossero e per scoprire i legami allora esistenti con il terrorismo palestinese. Sono stato ministro dell’Interno di Aldo Moro, e quando egli fu sostituito a Palazzo Chigi da Giulio Andreotti, lo visitavo ogni settimana nel suo studio di Via Savoia. Mai mi parlò di coinvolgimento della Cia o del Mossad. In realtà, essendo stato oggetto... di attenzioni da parte del Kgb in Roma, egli mi espresse l’ipotesi che questa potente agenzia di spionaggio e di azioni "non convenzionali" potesse essere dietro o aver infiltrato le Br: cosa cui io mai ho creduto, mentre è accertato che lo Stb, il servizio segreto della Cecoslovacchia comunista, addestrò alcuni brigatisti rossi italiani e infiltrò la Democrazia Cristiana. Il fatto è che anche Giovanni Galloni, imbevuto di sinistrismo e di "antiamericanismo cattolico" (quello cattolico è uno dei filoni più robusti dell’antiamericanismo europeo e latinoamericano, basti pensare al peraltro piissimo Card. Martino!), non può accettare che Aldo Moro sia stato ucciso... da sinistra! Ed anche egli è rimasto vittima di quella che dopo il caso "P2", "Piano Solo" e "Gladio" è stata la più brillante opera di disinformazione del Kgb, arrivata perfino per vie misteriose sullo scrittoio del buon Benigno Zaccagnini: l’attribuzione del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro al complotto Kissinger, Giscard d’Estaing e Schröder, attuato poi dalla Cia! Male andò invece la "misura attiva" di disinformazione del Kgb volta a far passare, dopo lo "strappo"!, Enrico Berlinguer come un profittatore ed un disonesto! Non credo quindi che Aldo Moro abbia detto a Giovanni Galloni, di cui come risulta dal suo epistolario dal "carcere", ed ingiustamente! Aveva assai poca stima morale, queste fantasiose ipotesi: certamente Giovanni ricorda male..
Vale!
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