I settler varano il codice della protesta democratica
mentre cresce il consenso al piano di disimpegno
Testata:
Data: 06/07/2005
Pagina: 3
Autore: un giornalista
Titolo: Non attaccare o insultare soldati: ecco il codice dei settler
IL FOGLIO di mercoledì 6 luglio 2005 pubblica a pagina 3 un articolo sul piano di disimpegno da Gaza, sulle proteste dei settler, sulle divisioni all'interno della società israeliana e sugli scontri interni al Likud e al governo che provoca.

Ecco il testo:

Roma. "Una pugnalata al cuore", così s’intitola il documentario contro il piano di ritiro del partito National Unity (Yhud Leumi). Il film si apre con una bambina di Gush Katif, che guardando la telecamera chiede al premier israeliano, chiamandolo per nome, di ripensarci. Scorrono le immagini della televisione palestinese con leader di gruppi armati che chiedono la distruzione del "nemico sionista", mentre di sottofondo una musica rock israeliana canta: "Non succederà di nuovo". "Lo transfer", no alla deportazione,
è lo slogan del popolo "arancione", colore scelto dagli oppositori del disimpegno, a differenza dei sostenitori che hanno optato per il blu. Le proteste continuano, e nell’insediamento di Neve Dekalim, Efi Eitam del partito Leumi ha promosso il "Convegno arancione", presentando il vademecum del settler. "Non attaccherai fisicamente o insulterai un membro delle forze di sicurezza"; "resisterai in maniera pacifica e passiva all’evacuazione"; "non impugnerai un’arma contro un soldato". Dopo gli ultimi scontri, i leader dell’antidisimpegno vogliono ribadire che la lotta sarà pacifica e che il loro codice di condotta sarà tra i più civili. Il popolo arancione vuole prendere le distanze dai gruppi di esaltati, che durante il disimpegno potrebbero compiere atti contro la legge. "Per te, mio buono e fedele soldato (…) correrò a
braccia aperte, ti abbraccerò, ti porterò alla porta e lì prenderò il tuo colletto e lo strapperò, portandomelo al cuore come in lutto", dice una poesia di Eliaz Cohen, immaginandosi il momento in cui i soldati andranno a casa sua chiedendogli di evacuare. Il quotidiano Yedioth Ahronot ha pubblicato
un sondaggio: gli israeliani che sostengono il piano sono in netto aumento.
Poi ci sono coloro che sì appoggiano il ritiro, ma sono preoccupati per la sicurezza del paese e si chiedono: "Andrà bene o missili Qassam raggiungeranno anche Tel Aviv?". Per le strade, i giovani settler si riconoscono dalla kippah (copricapo ebraico) fatta all’uncinetto, spesso colorata e messa di traverso e gli tzitzit (frange di stoffa secondo la tradizione religiosa) che escono fuori dalla maglietta. Le ragazze hanno gonne lunghe e ricordano le hippy degli anni
Sessanta. I giovani settler sono quelli che nella lotta contro il governo si sono lasciati più trasportare, come se fossero alla ricerca di una nuova ideologia culturale. Molti di loro sono stati arrestati, diventando quasi un vanto fra gli amici. I settler dividono in religiosi-nazionalisti, haredim gli ortodossi), e in un gruppo svariato persone che amano la terra e che a sentirle
parlare potrebbero essere scambiate per attivisti di Greenpeace. A Gerusalemme, intanto, continuano gli scontri interni al Likud per il piano di ritiro. Ariel Sharon sta facendo sudare il ministro delle Finanze, Benjamin Netanyahu, e – ha
avvisato – se Bibi si assenterà alla votazione di oggi alla Knesset per rimandare il disimpegno (come vorrebbero i suoi oppositori) lo licenzierà. Sharon ieri ha anche detto che il piano sarà effettuato nei tempi previsti e
che il governo è pronto a trovare una soluzione per ogni settler. Bibi sa che non verrà cacciato e al contempo vuole il beneplacito del popolo degli insediamenti. C’è già chi chiama Bibi "zigzagyahu". Il ministro delle Comucazioni, Dalia Itzik, gli ha chiesto se non ha paura di un altro omicidio politico; il vicepremier, Ehud Olmert, ha messo in dubbio il suo coraggio. Sharon sa che cacciare Bibi è una mossa sbagliata: significherebbe renderlo il martire del piano di ritiro, ma Netanyahu non può esagerare.
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