Ahmadinejad e l'atomica iraniana: crisi internazionale in vista, ma la politica italiana non se ne accorge
un editoriale di Angelo Panebianco
Testata:
Data: 05/07/2005
Pagina: 1
Autore: Angelo Panebianco
Titolo: Se la politica chiude gli occhi
Il CORRIERE DELLA SERA di lunedì 5 luglio pubblica in prima pagina l'editoriale di Angelo Panebianco "Se la politica chiude gli occhi", che riportiamo:
Sembrano due mondi non comunicanti. Da un lato c'è la solita politica italiana, fatta di assemblee, congressi, dichiarazioni e polemiche che ruotano più che altro intorno ai problemi interni alla nomenklatura politica: Primarie o no, partiti unici o no, Berlusconi ancora leader o no. Dall'altro, c'è un quadro internazionale sempre più pericoloso di cui però non vi è quasi traccia nei discorsi dei politici. L'opinione pubblica non è messa in grado di valutare che la politica italiana è in larga misura una variabile dipendente dalla politica internazionale.
Non le viene spiegato, ad esempio, che le prospettive di ripresa economica dipendono, più che da ciò che fanno i governi italiani, dalle condizioni, di stabilità o di instabilità, delle relazioni internazionali. Se i politici volgessero gli occhi a ciò che accade fuori dai confini avrebbero molto di cui parlare. Per esempio, dovrebbero preparare gli italiani al fatto che la campagna elettorale del 2006 potrebbe svolgersi a ridosso della più grave crisi internazionalemai registrata dai tempi della crisi missilistica di Cuba del 1962 ( l'unica volta in cui il mondo fu davvero sull'orlo di una guerra nucleare).
Ahmadinejad è un nome difficile ma è bene che gli italiani imparino a pronunciarlo. È il nuovo presidente dell'Iran, il fanatico che probabilmente partecipò all'occupazione dell'ambasciata americana a Teheran nel 1979 e che, negli anni Ottanta, torturava, in carcere, gli oppositori del regime. La sua elezione è un segnale di guerra. Crescerà, nei prossimimesi, la tendenza dell'Iran al l'esportazione del terrorismo, dall'Iraq alla Palestina al Libano. Soprattutto, se è accurata la previsione secondo cui solo un pugno di mesi è necessario all'Iran per completare il suo programma nucleare, ciò che si è sempre temuto, una guerra nucleare in Medio Oriente, diventerà uno scenario non più improbabile: come può Israele stare fermo nel momento in cui chi ha in programma la « distruzione della entità sionista » si dota di armi nucleari? Per non parlare del fatto che Al Qaeda potrebbe ottenere dall'Iran atomiche da usare in Occidente.
Anche a non considerare le prospettive più catastrofiche chi può comunque pensare che, nello scenario di insicurezza e destabilizzazione ( con effetti dirompenti sul prezzo del petrolio) che l'elezione di Ahmadinejad annuncia, sia possibile, in Europa e in Italia, una forte ripresa dello sviluppo? Non è il caso di spiegarlo agli italiani? Se del cupo scenario mediorientale nei discorsi dei nostri politici non c'è traccia, neppure di Unione Europea si parla molto. Il vecchio sistema fondato sull'asse franco tedesco è finito e per noi, che abbiamo partecipato all'avventura europea all'ombra di quell'asse, si apre un periodo di ripensamento: dobbiamo ridefinire la nostra posizione, costruire una « strategia italiana » di partecipazione all'Europa nella nuova fase. Con quali proposte l'Italia intende contribuire a superare l'impasse del bilancio dell'Unione? Che cosa hanno da dire governo e opposizione? Scenari di guerra a parte, senza un accordo europeo ( dalle infrastrutture alla ricerca) è dubbio che lo sviluppo economico possa ripartire. Non è un nodo centrale di cui discutere? Abituata a farsi sorprendere dagli avvenimenti, la classe politica italiana non appare in grado di affrontare pubblicamente le cose serie. Come se la politica si esaurisse tutta in questioni di Primarie e partiti unici. Salvo poi dividersi ferocemente ( pro o contro Bush, Blair, Sharon) quando le crisi ci piombano addosso e non si può continuare a parlar d'altro.
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