IL GIORNALE di venerdì 1 luglio 2005 pubblica in prima pagina l'editoriale di R. A. Segre "I chiodi dei coloni", che riportiamo.
Le notizie e le immagini che giungono
dal Medio Oriente (dove gli
hezbollah libanesi hanno riacceso la
tensione con Israele con un sanguinoso
attacco ad una loro postazione
seguita da una immediata reazione
aerea di Gerusalemme) non (...) corrispondono alla realtà
della situazione.
Se si estrapolano alle loro
ultime conseguenze le previsioni
spesso catastrofiche
mediatiche (non dimentichiamo
però che siamo in estate,
che in gergo giornalistico si
chiama «l’epoca dei cocomeri
» per l’usuale mancanza di
notizie) la situazione potrebbe
essere questa.
a) Una guerra civile fra coloni
e forze di sicurezza israeliane.
b)Unaspaccatura all’interno
dell’esercito ebraico fra
obbedienti e ribelli agli ordini
del governo.
c) Una crisi di governo con
ministri che rifiutano il loro
sostegno a Sharon.
d) Un rilancio della rivoluzione
khomeinista in chiave
anti-israeliana dal Libano come
conseguenza diretta dell’elezione
di un «radicale
estremista» alla presidenza
dell’Iran.
Il peggio può sempre naturalmente
succedere, ma:
1) il 55 per cento dei coloni
ha già accettato di evacuare
pacificamente Gaza in compenso
a 300mila dollari per
famiglia, il che rompe il fronte
del rifiuto. Gli attivisti contrari
all’evacuazione hanno
commesso un errore madornale
bloccando il traffico e soprattutto
spargendo chiodi
sulle strade. In Israele si possono
perdonare gli errori politici
ed economici del governo.
Mai chi ti tocca l’automobile
o ti fa restare per ore in
coda sotto il sole. Fra gli scontri
che la polizia ha dovuto affrontare
mercoledì scorso
c’erano anche quelli fra automobilisti
infuriati e militanti
antievacuazione.Èstata l’ira
di questi israeliani che si vedono
obbligati a cambiare gli
pneumatici delle loro macchine
a permettere al governo
di dichiarare Gaza zona militare
con un anticipo di due
mesi sulla data dell’evacuazione
bloccando l’accesso ai
sostenitori dei coloni ma soprattutto
alle Tv che sono,
dei coloni, l’arma più importante.
2) Il soldato che si è rifiutato
di obbedire agli ordini di
distruggere una casa vuota
dei coloni è un giovane di leva
cresciuto in una colonia,
di origine americana molto
sensibile al «politically correct
».Nonrappresenta il nerbo
dell’esercito che sarà impegnato
nell’evacuazione e
che è formato di riservisti.
3) Rottura nel governo. Se
esso non si è ancora rotto
con tutte le crisi che Sharon
ha dovuto affrontare, difficilmente
entrerà ora in crisi. La
sorte politica del primo ministro
sarà determinata dal
«dopo evacuazione», non dal
«prima». Gaza è una patata
bollente che tutti i politici
israeliani sono ben lieti di lasciare
nelle mani del primo
ministro.
4) Rilancio della rivoluzione
khomeinista dal Libano
contro Israele. Rappresenterebbe
un regalo al fronte internazionale
antiterrorista
che il presidente Bush cerca
con difficoltà di tenere in piedi
e di attivare. Poiché Israele,
dopo il suo ritiro dal Libano,
ha dalla parte sua l’Onu,
il nuovo governo libanese,
quello americano mentre la
Siria che sosteneva in passato
gli hezbollah cerca ora di
evitare gli scontri,una sua reazione
militare agli attacchi
dei partigiani dell’Iran sarebbe
molto più facile che in passato.
Cesare diceva agli ambasciatori
di Vercingetorige:
«Gli dei accecano coloro che
vogliono perdere». Forse gli
hezbollah e il nuovo presidente
iraniano non hanno mai
letto il De Bello Gallico.
R.A. Segre
A pagina 13 la cronaca di Gian Micalessin "Sharon, bolocco totale per Gaza, fuori gli ultrà"Sono momenti difficili, ma serviranno a garantirci tempi migliori». La dichiarazione dai toni liberatori di Ariel Sharon arriva al termine di una giornata che per il primo ministro israeliano è stata l'equivalente di una passeggiata su un campo minato. Per sette lunghissime ore Arik ha temuto di ritrovarsi assediato su tre fronti.
Allo scontro sul ritiro da Gaza con un'estrema destra sempre più violenta e aggressiva e alle battaglie sul confine settentrionale con i guerriglieri libanesi sciiti di Hezbollah s'era aggiunta,nel pomeriggio, anche la misteriosa vicenda di due soldati dati per scomparsi o uccisi nel cuore di Balata, il campo profughi di Nablus, culla e roccaforte delle Brigate Al Aqsa. Una notizia che i comandi militari hanno smentito e dichiarato assolutamente priva di fondamento soltanto dopo un interminabile pomeriggio di accertamenti.
La situazione politicamente più complessa resta dunque quella di Gaza. Ad aiutare il premier israeliano hanno contribuito, ieri mattina, le drammatiche foto pubblicate dai quotidiani israeliani del 16enne palestinese Khaled El Astal circondato da un gruppo di estremisti ebraici decisi a Le immagini del ragazzo insanguinato, protetto dai militari e poi ricoverato in gravi condizioni in un ospedale israeliano, fanno scattare un sentimento di rabbia e ripulsa e contribuiscono a mitigare il sostegno per la battaglia dei coloni. E in mattinata le interviste di condanna rilasciate nella serata di mercoledì da Sharon campeggiano sulle prime pagine di tutti i quotidiani. «Quanto è successo mi fa indignare, quell'aggressione - dichiara ad Haaretz il primo ministro - è stata un atto selvaggio linciarlo. volgare ed inaccettabile, queste azioni devono venir fermate, non possiamo permettere che un piccolo gruppo di delinquenti imponga il regno del terrore».
Poi sfruttando l'emozione e lo sdegno collettivo, il premier e i suoi ministri impongono la chiusura totale di Gaza, la dichiarano zona militare, danno ordine di procedere allo sgombero del Palm Beach Hotel, l'albergo abbandonato occupato da 150 coloni e ribattezzato Maoz Hayam, fortezza sul mare.
L'operazione di sgombero scatta alle due del pomeriggio. Fino a quell'ora la totale chiusura della Striscia e la sua trasformazione in zona militare viene giustificata con la necessità di fermare i manipoli di estremisti che starebbero tentando di unirsi ai coloni presenti sul posto. In verità i commandos della polizia hanno già circondato il Palm Beach Hotel e stanno trasportando lunghe scale fin sotto il suo perimetro. Dentro le famiglie dei coloni si preparano a resistere. Mentre i ragazzini danno fuoco ai pneumatici i genitori s'incatenano gli uni agli altri in catene umane che si allungano lungo le varie stanze dell'hotel diroccato. Prima dell'irruzione dei poliziotti il portavoce dei 150 «barricaderos» esclude qualsiasi violenza e promette che i coloni si limiteranno alla resistenza passiva. Da quel momento bastano dieci minuti per concludere lo sgombero. I 150 fra padri, madri e torme di figlioletti aggrovigliati in un intrico di mani e piedi vengono separati dalle forze di sicurezza e trascinati sui pullman in attesta. Il tutto tra i pianti dei bimbi e le urla delle donne che una dopo l'altra ripetono il grido di battaglia negli insediamenti minacciati. «Gli ebrei non deportano gli ebrei».
«Li abbiamo portati via tutti, non c'è dubbio si stavano preparando a un lungo assedio - dichiara più tardi il generale Dan Harel comandate dell'esercito nella regione di Gaza - abbiamo trovato finestre sigillate, scorte di pneumatici e bottiglie molotov, lì dentro s'era asserragliato un gruppo di teppisti incuranti della legge e senza rispetto per la vita umana».
Intanto non s'interrompe la battaglia sul fronte nord iniziata mercoledì con i durissimi scontri costati la vita a un giovane caporale L'esercito e gli elicotteri israeliani hanno continuato ieri a contrastare le infiltrazioni dei guerriglieri sciiti nella zona delle fattorie di Sheeba, il fazzoletto di terra considerato da Hezbollah, nonostante il parere contrastante delle Nazioni Unite, parte integrante del territorio libanese.
IL FOGLIO pubblica a pagina 1 dell'inserto l'analisi di Anna Barducci "Ecco come governo e settler si preparano al D-Day del ritiro":Roma. L’avvio del piano di ritiro dai territori
palestinesi si avvicina e i "settler"
continuano a protestare, chi passivamente
e chi più attivamente. L’esercito israeliano
ha dichiarato la Striscia di Gaza zona militare
inaccessibile, vietando l’ingresso ai
non residenti, per evitare che gruppi estremisti
possano provocare scontri o tensioni.
Il ministro della Pubblica sicurezza, Gideon
Ezra, ha detto ieri alla radio israeliana,
che saranno perseguiti secondo la legge
i responsabili per il linciaggio di un palestinese
di sedici anni, protetto da un soldato
dell’IDF che aveva fatto scudo con il proprio
corpo. Il premier Ariel Sharon ha spiegato
di essere "disturbato da questo tipo di
violenze" e ha accusato il movimento estremista
illegale Kach, i cui membri arrivano
da fuori Gaza. Sharon è comunque ottimista.
"Non abbiamo perso la retta via – ha
detto – queste sono difficoltà momentanee,
che dobbiamo affrontare e lo faremo nella
maniera più rigorosa".
I mitnachalim (settler, in ebraico) si sentono
traditi. Sì, protestano. E’ la cosa più
normale, ma devono utilizzare – dice Yossi
Klein Halevi, analista politico dello Shalem
Center – strumenti legali. I settler sono obbligati
a lasciare le proprie case, la sinagoga
dove hanno trascorso gli shabbat e gli
Yom Kippur di quasi tutta una vita, abbandonare
il sogno di Eretz Israel. E’ una lacerazione
interna lasciare le terre ancestrali
del popolo ebraico. Sono "dolorose concessioni",
lo ha detto il premier stesso. Si può
camminare per i Territori con una Bibbia in
mano e ritrovare ogni luogo citato nelle Sacre
scritture. I mitnachalim hanno costruito
le proprie case, hanno mandato i propri figli
nell’atzvah (esercito), alcuni di loro sono
morti e le loro tombe si trovano a Gaza, la
terra che dovranno lasciare, spostando i corpi
e riprovando per la seconda volta il dolore
del lutto. Non c’è quindi da stupirsi se ci
sono proteste e nemmeno c’è da drammatizzare
quel che è successo finora. Il problema
però sorge dai movimenti di estrema destra.
Qualche sera fa, un esaltato ha buttato dell’olio
e dei chiodi in una strada nella capitale.
Dormire per terra nella via Ben Yehuda,
nel centro di Gerusalemme, è una protesta
legale, fermare una strada di città, dove le
macchine vanno a bassa velocità, pure. Gli israeliani, come in ogni democrazia,
hanno domande e dubbi su come affrontare
la situazione che si sta prospettando e non
sono affatto contenti che un gruppo di ragazzi
blocchi un’autostrada. "Si tratta di mettere
a repentaglio la nostra sicurezza pubblica",
dice al Foglio Yossi Klein Halevi. "La battaglia adesso non è sul piano di ritiro, ma
sull’immagine e sul futuro d’Israele e in nessuna
circostanza possiamo ammettere che
delle gang senza legge prendano il controllo
della situazione – ha detto Sharon – I cittadini
d’Israele devono capire il pericolo e ogni
misura deve essere presa per mettere fine a
questi scontri". Per Halevi, il messaggio del
premier è significativo. "Stavolta non è una
colomba, come Shimon Peres, o qualche altro
laburista a decidere, ad attuare un piano
che influenza le vite dei settler. E’ il capo del
Likud, un uomo di destra, votato da loro. Solo
lui riuscirà a riportare l’ordine".
Sui numeri dei mitnachalim che vogliono
lasciare Gaza c’è ancora incertezza. Si pensa
che siano un terzo su otto mila. Probabilmente
si arriverà anche a più della metà.
Le forze di sicurezza temono attentati in
Israele da parte dei gruppi estremisti. Non
è ancora chiaro se Sharon approverà lo strumento
eccezionale delle detenzioni amministrative.
L’IDF si trova in un momento difficile.
Da un lato, ci sono i casi di alcuni refusenik
dell’esercito che appoggiano lo slogan
"lo transfer" (no alla deportazione, ndr) dei
mitnachalim, dall’altro le misure militari da
attuare per prevenire gli attacchi terroristici
delle fazioni armate palestinesi e i lanci
di Qassam. In questi ultimi dieci giorni, tre
israeliani sono stati uccisi in Cisgiordania,
accrescendo ulteriormente il malcontento
dei settler. Mentre da nord, gli Hezbollah,
che finanziano il gruppo terroristico Hamas,
sperando di far passare il ritiro per una "seconda
libanizzazione", continuano ad attaccare.
Shlomo, un settler, racconta al Foglio
come si sta preparando per il D-day. "La mia
è una protesta passiva. Ho messo una bandiera
arancione sulla mia macchina e quando
arriverà il momento mi metterò per terra
davanti ai bulldozer. Altri miei amici sono
più attivi e partecipano al blocco dei veicoli.
C’è molta confusione e incertezza, non
sappiamo che cosa accadrà, ma è certo che
non sarà niente di buono. Molti però si sentono
sicuri e determinati. Sostengono che
riusciranno a bloccare il disimpegno. Esistono
molti tipi di mitnachalim. Ci sono coloro
che hanno deciso di evacuare, altri continuano
la loro vita normalmente. Molti miei
amici hanno lasciato il lavoro per andare ad
appoggiare i settler nei Territori. Io vivo in
un avamposto illegale con cinque ragazzi. Di
notte facciamo i turni di guardia. Non abbiamo
acqua potabile e nessuna comodità. E’
dura, siamo tutti ragazzi. Ma non possiamo
permettere che degli ebrei siano evacuati e
trasformati in rifugiati. Non solo, i gruppi armati
palestinesi prenderanno il sopravvento.
E’ semplicemente immorale".
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