LIBERO di giovedì 1 luglio 2005 pubblica apagina 5 il commento di Angelo Pezzana sulle dimostrazioni anti-ritiro in Israele, lo riportiamo:Entro la fine di agosto ottomila israeliani che vivono a Gaza dovranno lasciare quel territorio e trasferirsi in Israele. Tutte le infrastrutture che avevano costruito, il che vuol dire case e attività produttive, verranno abbattute. Per Sharon non è stata una decisione facile da prendere, ma il realismo politico che l'ha sempre guidato, non gli lasciava altra scelta. D'altra parte nè Gaza nè Giudea e Samaria, ovvero la cosidetta Cisgiordania, erano mai state dichiarate territorio israeliano ma soltanto "territori amministrati". Territori che sarebbero rimasti all'Egitto (Gaza) e alla Giordania se nel 1967 quei simpatici e bravi vicini di Israele non avessero sferrato l'ennesima guerra contro lo Stato ebraico.Per distruggerlo.
Detto questo, alcune considerazioni. Israele è uno stato democratico, dove il dissenso non solo è possibile, ma è addiritto difeso da precise leggi dello Stato. Che una gran parte dei cittadini israeliani di Gaza abbiano accolto la decisione di Sharon con ostilità è più che comprensibile. E'difficile comportarsi da persona che analizza tranquillamente il futuro dello Stato in cui vive ed il proprio, quando si deve far fagotto distruggendo quanto tre generazioni hanno costruito. Che ci siano reazioni, tentativi di opporsi, fino al limite di chiedere ai soldati che devono eseguire materialmente lo sgombero di disobbedire agli ordini ricevuti, non solo è possibile, ma è addirittura connaturato e fisiologico alla natura democratica di Israele. E' successo l'altro giorno quando un soldato si è rifiutato di obbedire a un suo superiore dicendo "un ebreo non caccia un altro ebreo". Verrà giudicato per il suo atto di insubordinazione e sconterà la pena prevista di ventotto giorni di detenzione. Un atto di indisciplina commesso davanti a giornalisti e telecamere (escludiamo dal numero l'ottimo Claudio Pagliara, che su Rai 1 informa correttamente i telespettatori), che in questi giorni raccontano i fatti con una attenzione quasi morbosa nel tentativo di "pizzicare" Israele in qualche azione che ne diminuisca l'immagine di fronte all'opinione pubblica internazionale. Invece di descrivere Tzahal, l'esercito di difesa israeliano, quale esso è, un esercito di popolo, dove persino un soldato semplice può mettere in discussione gli ordini di un generale, e che opera nel più totale rispetto dei diritti umani di fronte ad una spaventosa offensiva del terrorismo palestinese, ecco che una casa abbandonata ancora dagli egiziani a Gaza e occupata ieri da alcuni coloni rivoltosi diventa " una casa palestinese occupata dai coloni", come ha riferito ieri l'Ansa.Come se i coloni volessero in realtà non rimanere a casa loro, ma occupare le case dei palestinesi ! E le pietre che vengono lanciate da altri coloni che hanno deciso di adottare la maniera dura contro l'esercito, vengono descritte su quasi tutti i nostri giornali e agenzie come una specie di guerra civile. Che molti se lo augurino non ci stupisce. Quando il terrorismo palestinese trova difficoltà a mettere a segno i suoi colpi, quando Sharon e Abu Mazen cercano, pur attraverso mille difficoltà, di ridare fiato alle trattative, cosa può esserci di meglio di una guerra civile fra ebrei ?
A questo gioco sporco non ci stiamo. Seguiremo con apprensione quanto accadrà durante i prossimi mesi, la scommessa di Sharon è enorme e difficile, ma non ci lasceremo intrappolare in quel gioco al massacro nel quale i "grandi" organi di informazione stanno già attirando i lettori. Diversamente da loro, questo giornale si augura che il piano Sharon si realizzi al minor costo possibile, che la reazione dei coloni si mantenga entro i limiti della legalità. Oggi più che mai Israele ha bisogno di informazione corretta , non di propaganda.
In prima pagina il CORRIERE DELLA SERA pubblica sullo stesso argomento un editoriale di Ernesto Galli Della Loggia.
Ecco il testo:Non sarà un'estate facile quella che si annuncia per Israele. Nelle prossime settimane, infatti, lo sgombero forzato dei coloni israeliani dalla Striscia di Gaza metterà alla prova due capisaldi di ogni regime democratico, e dunque anche dello Stato ebraico in quanto unico Paese della regione che, come noto, gode di un tale regime.
Il primo test riguarderà la possibilità capacità della maggioranza e del suo governo di dare esecuzione a ciò che ha deciso. Riuscirà Sharon a resistere alle pressioni che l'ala più radicale dei coloni nonché settori non insignificanti del mondo politico hanno già organizzato e ancor più organizzeranno nell'immediato futuro per opporsi allo sgombero? Ovvero, detto in altro modo: le pressioni suddette si manterranno entro i limiti dello scontro verbale e delle manifestazioni sia pure accesissime o andranno oltre, addirittura verso lo scontro — magari con l'uso delle armi — tra i coloni da un lato e i soldati incaricati dello sgombero dall'altro? Si tratta di questioni assai gravi, come si vede, le quali rimandano a un aspetto cruciale non solo della vita politica israeliana ma in certo senso di tutta la vicenda storica del Paese e del sionismo che ne è all'origine.
Al problema, cioè, dell'incidenza in entrambi gli ambiti del radicalismo e del fondamentalismo religioso che, sebbene siano cose fra loro diversissime, spesso, dopo la guerra dei Sei Giorni del ' 67, hanno mostrato di convergere su obiettivi comuni di tipo espansionistico e/ o di oltranzismo antiarabo. Un problema, quello del radicalismo e del fondamentalismo, reso ancor più spinoso dal forte collegamento ( finanziario ma non solo: una percentuale significativa dei coloni ultrà proviene non casualmente dagli Usa) che specie il secondo ha con i circoli religiosi più ortodossi dell'ebraismo americano. Il secondo test di quest'estate israeliana riguarderà l'esercito, tradizionale roccaforte della laicità ma anche nelle cui file l'ala religiosa ha fatto numerosi proseliti negli ultimi tempi. Obbediranno i soldati agli ordini del governo diGerusalemme, magari anche quelli di usare non dico le armi ma le maniere dure con i propri connazionali? Com'è noto un caso di rifiuto di obbedienza vi è già stato, ed è stato punito con una notevole severità: è forse il sintomo che i comandi avvertono che la situazione può sfuggir loro dalle mani ed è quindi necessaria una risposta inequivocabile? Staremo a vedere.
Quel che è certo è che ancora una volta la società e le istituzioni israeliane sono chiamate a onorare il loro impegno storico verso la democrazia e come sempre devono farlo nella situazione più difficile, vale a dire nell'ambito del confronto con un avversario, quello palestinese, che, viceversa, della democrazia non si è mai curato troppo e che adopera il terrorismo comemodalità abituale di azione ( chiediamoci tra l'altro cosa succederebbe all'interno di Israele per la questione dello sgombero se nei prossimi giorni, Dio non voglia, ci fosse un attentato di una certa gravità). Ma Israele tuttavia sa che proprio nella democrazia sta la sua vera superiorità. Se l'autorità palestinese manca ancora di qualunque vera credibilità all'esterno è proprio perché il cosiddetto governo di Abu Mazen non si sa bene se abbia o no dietro di sé un'effettiva maggioranza, e perché d'altra parte si sa fin troppo bene che la sua autorità sulle milizie armate palestinesi è pressoché nulla. Già nello sgombero del Sinai voluto molti anni fa da Begin, Israele mostrò che invece i suoi governi sono capaci sia di mantenere gli impegni presi sia di farsi obbedire dai propri soldati: vogliamo credere che anche questa volta sarà così.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione di Libero e Corriere della Sera. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita. redazione@libero-news.it ; lettere@corriere.it