Il CORRIERE DELLA SERA di lunedì 20 giugno 2005 pubblica un articolo di Elisabetta Rosaspina sulle elezioni libanesi, che riportiamo.
Ecco il testo:L'opposizione adesso ha buone possibilità di diventare la maggioranza in Libano. Proprio come sperava la straripante piazza dei Martiri il 14 marzo scorso. Se l'ottimismo di ieri sera dello schieramento antisiriano sarà confermato, questa mattina, dai dati ufficiali, il quarto e ultimo round elettorale nel paese dei cedri ribalta gli equilibri in parlamento. Ieri è toccato al Nord chiudere una partita che si è rivelata incerta fino alla fine, nonostante fosse iniziata, a Beirut e nel Sud, con esiti scontati. E se nelle prime due domeniche gli elettori avevano disertato le urne, ieri ha votato invece la metà dei 700 mila iscritti nel Nord, per decidere la distribuzione degli ultimi 28 seggi in palio tra un centinaio di candidati. All'opposizione ne bastavano 21. L'affluenza relativamente alta ha galvanizzato gli avversari del vecchio governo pro siriano e dell'attuale presidente della Repubblica, Emile Lahoud: « Abbiamo vinto, abbiamo i numeri per governare » ha esultato il movimento politico di Rafik Hariri, l'ex premier sunnita assassinato in febbraio.
Probabilmente vero.
Ma solo in parte. Si è votato per i defunti, per gli assenti e per il passato, nelle prime elezioni libanesi dopo il ritiro siriano. Si è votato per Saad Hariri, in nome del padre Rafik. Si è votato per Strida Geagea, in nome del marito Samir, ex comandante falangista in carcere da 11 anni. Si è votato soprattutto per il generale Michel Aoun, vecchio capo dell'esercito cristiano, rientrato a Bei rut in maggio dopo quasi 15 anni d'esilio. Si è votato per l'intramontabile leader druso, Walid Jumblatt, nonostante l' estemporanea alleanza con la moglie dell'ex nemico, Geagea. Ma il loro non è l'unico patto faustiano celebrato in questa corsa alla conquista o riconquista del potere. E' stato un consueto gioco di squadre: ri gorosamente confessionali. Musulmani contro cristiani, cristiani contro drusi, drusi contro sunniti, cristiani contro cristiani. Tutto è cambiato e tutto è rimasto com'era nella lunga, deludente primavera libanese che si chiude tra poche ore, per il calendario e per il nuovo parlamento, con il rituale falò delle schede elettorali. Gli osservatori europei hanno vidimato la regolarità delle elezioni, mentre quelli locali hanno segnalato compravendita di voti, via vai sospetti di taxi pagati dai candidati per portare ai seggi gli elettori, con già in tasca la lista prestampata. Gli equilibri erano stati soppesati con cura per garantire in ognuna delle quattro cir coscrizioni il risultato voluto, grazie ai vecchi meccanismi elettorali, e nel rispetto della costituzione che divide i 128 seggi parlamentari esattamente a metà, tra cristiani e musulmani. Accordi e previsioni davano Beirut ai sunniti di Hariri, il sud agli sciiti degli Hezbollah; più incerto il Monte Libano, conteso tra i drusi di Jum blatt e i cristiani di Aoun, e il Nord, terreno di confronto tra i sunniti di Hariri e i sunniti di Omar Karami, il deposto primo ministro filosiriano.
Il rientro del generale dalla Francia ha sparigliato i giochi. La battaglia sul Monte Libano ha dimostrato la bontà della tattica di Aoun, confermando che il fine giustifica i mezzi. L'alleanza con l'ex ministro Michel Murr, fedele amico di Damasco, non sarà stata molto coerente con i proclami antisiriani del generale dall' esilio, ma ha portato i suoi frutti: 21 seggi in un colpo, al di là della più ottimistica speranza per l'ex capo dell'esercito libanese. Per l'ampia, ma non più unita opposizione fiorita a marzo in piazza dei Martiri, la giornata di ieri è diventata dunque l'ultima, decisiva possibilità di trasformarsi in maggioranza parlamentare per i prossimi quattro anni. E, per il giovane Saad Hariri, di cominciare a studiare seriamente da primo ministro.
Nella vecchia logica di uno Stato confessionale che Aoun, vincitore morale di queste elezioni, dichiara di voler combattere, il campo più diviso sembra quello cristiano.
Per la desolazione del patriarca Nasrallah Sfeir. Il generale non nasconde di puntare alla carica di Presidente della Repubblica, il patriarca non maschera il suo disappunto per il riconoscimento tributato da buona parte della comunità cristiana ad Aoun, quale quarto leader del Paese, accanto ad Hariri per i sunniti, Nasrallah per gli sciiti, e Jumblatt per i drusi. A ognuno il suo, come sempre.
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