A "complicare le cose" giunge il terrorismo, ma il vero problema è sempre Israele
secondo u.d.g.
Testata:
Data: 20/06/2005
Pagina: 10
Autore: Umberto De Giovannangeli - un giornalista
Titolo: Gaza, saranno demolite le case dei coloni
L'UNITA' di lunedì 20 giugno 2005 pubblica un articolo di Umberto De Giovannangeli sulla visita di Condoleezza Rice in Israele e Anp, che dal canto loro hanno raggiunto un accordo per la demolizione delle case dei coloni dopo il disimpegno da Gaza.

L'articolo riporta dettagliatamente le rimostranze palestinesi al segretario di Stato americano. Poi u.d.g. scrive:"A complicare le cose è giunta una offensiva dell’Intifada armata a Gaza" e riporta poi due episodi di terrorismo di domenica 19 giugno. In realtà il terrorismo non si limita a "complicare le cose" in uno scenario dominato dai "soprusi" di Israele. Il terrorismo, nei mesi successivi alla proclamazione del cosiddetto "periodo di calma" a continuato a colpire e a cercare di colpire Israele, determinando i ritardi del processo di pace. Ciò che Israele fa per garantire la propria sicurezza suscitando le proteste dei dirigenti palestinesi (barriera difensiva, sospensione del ritiro dalle città palestinesi, controllo valichi di frontiera, porti, aeroporti per contrastare il traffico d'armi), è determinato da necessità che è il terrorismo ad imporre. Riferirsi ad esso come a una variabile aggiuntiva e secondaria rispetto all'"intransigenza" israeliana è una grave distorsione.

Ecco il testo:

Le case demolite saranno 1200. Sono quelle dei coloni evacuati da Gaza. «Israele e l’Autorità palestinese convengono sul fatto che le case dei coloni a Gaza debbano essere rimosse. Inoltre, le parti lavoreranno a un piano per la demolizione e la bonifica».
Sorride soddisfatta Condoleezza Rice. Alla vigilia del vertice fra il premier israeliano e il presidente palestinese Abu Mazen, il segretario di Stato Usa non ha lesinato sforzi per sospingere le due parti ad una maggiore cooperazione. L’altro ieri a Ramallah. Ieri a Gerusalemme. Condoleezza Rice ha dedicato molte ore per discutere con i diretti interessati i diversi aspetti del ritiro israeliano da Gaza e i meccanismi mediante i quali esso dovrebbe diventare un ingranaggio del Tracciato di pace. Completata questa delicata e contrastata operazione, sarebbe possibile marciare verso la costituzione di uno Stato palestinese indipendente, accanto ad Israele. In una conferenza stampa convocata a Gerusalemme al termine di questi colloqui, la combattiva responsabile della politica estera statunitense ha avuto parole di elogio sia per Sharon (che manifesta una dose di «coraggio» qunado convince gli israeliani della necessità di smantellare decine di insediamenti) sia per Abu Mazen, che non cessa di spiegare ai palestinesi la necessità di abbandonare la lotta armata per prediligere invece il tavolo del negoziato. Entrambi i leader, dice ai giornalisti, le sono apparsi determinati a marciare verso la distensione, verso il dilaogo, verso la cooperazione. Il segretario di Stato Usa ha anche annunciato che già adesso è possibile parlare di una prima intesa ad-hoc - la «rimozione» dal terreno di Gaza delle case dei coloni - anche se in merito saranno necessari lavori di coordinamento. «Un disimpegno coronato dal successo rafforzerà la sicurezza d’Israele e diffonderà un senso di fiducia fra israeliani e palestinesi che guarderanno a un futuro migliore», insiste Rice. Il ritiro da Gaza, conclude «è una chance da non perdere». Le tendenze positive fra i dirigenti palestinesi vanno assistite, ha fatto notare il segretario di Stato Usa ai suoi interlocutori israeliani. Senza dare l’impressione di voler dare suggerimenti ha comunque notato che per i palestinesi la questione della liberazione di migliaia di militanti della Intifada reclusi in Israele ha una importanza prioritaria. Da parte palestinese è stato fatto rilevare all’instancabile «Condy» che il passaggio sotto controllo dell’Anp delle città cisgiordane si è bloccato dopo Gerico e Tulkarem. Adesso l’Anp vorrebbe ricevere Jenin, forse Kalkilya. Ma la breve spola della signora Rice non è bastata a cancellare mesi di amarezze e di delusioni. Oltre alla questione dei «prigionieri», i palestinesi hanno elencato altri problemi gravi: la espansione degli insediamenti in Cisgiordania, la costruzione della barriera di separazione ed altre misure unilaterali che pregiudicano l’esito dei futuri negoziati sull’assetto definitivo. «L’unilateralismo di Sharon e la sua politica dei fatti compiuti sono ostacoli insormontabili per l’attuazione di un accordo di pace fondato sul principio di due Stati», ribadisce a l’Unità Saeb Erekat, capo negoziatore palestinese.
Anche sul ritiro di Gaza, da parte dell’Anp si nutrono preoccupazioni gravi. Gli abitanti, quasi un milione e mezzo non possono trovarsi chiusi in una grande cella. Per questa ragione, hanno spiegato i dirigenti dell’Anp a Rice, è necessario che dopo il ritiro i palestinesi possano controllare il valico di Rafah (verso l’Egitto), possano riaprire l’aeroporto internazionale di Dahanye (a sud di Gaza) e beneficino di un corridoio terrestre con la Cisgiordania. «Su questi punti non abbiamo ancora ricevuto da Israele risposte comprensibili», sottolinea ancora Erekat. A complicare le cose è giunta una offensiva dell’Intifada armata a Gaza. L’altro ieri un commando della Jihad islamica e di al-Fatah ha cercato di penetrare nella colonia di Kfar Darom (a sud di Gaza) per compiervi un bagno di sangue. Ieri un commando della Jihad islamica e di un piccolo gruppo legato ad al-Fatah ha dato l’assalto a una postazione israeliana lungo il confine con l’Egitto: due i morti. Nn guerrigliero palestinese e un soldato israeliano
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