Legittimare il terrorismo: una politica molto pericolosa
ma l'Europa non vuole rinunciarvi
Testata:
Data: 20/06/2005
Pagina: 1
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: Via le armi, please - Il prezzo della stabilità
PANORAMA del 23 giugno 2005 pubblica a pagina 108 l'articolo di Fiamma Nirenstein "Via le armi, please", che riportiamo:
La storia, specie in Europa, è piena di esempi di forze politiche che hanno combinato l’uso della democrazia con il totale rifiuto dei suoi principi.
Questo non ha portato bene: basta guardare al XX secolo. Adesso la storia si ripete in Medio Oriente dove le rivoluzioni (in Libano), la guerra (in Iraq), le elezioni (in Palestina e in Iran), le riforme (in Egitto, nei Paesi del Golfo, in Arabia Saudita…), la paura della politica di George W. Bush (in Libia, in Siria e i prossimi verranno) spingono sul proscenio forze che finora hanno avuto un ruolo non istituzionalizzato.
Per esempio i dissidenti democratici, ma anche i gruppi terroristici come, Hezbollah, Hamas, i Fratelli musulmani e i loro derivati. Questi si affacciano alla ribalta elettorale là dove si offra loro la possibilità: la propaganda funziona forte della loro rete caritatevole ma anche del massimalismo integralista oggi molto in voga. E poi c’è l’intimidazione.
Con questi tre fattori ottengono risultati notevoli. Gli Hezbollah hanno vinto le elezioni libanesi nel sud portandosi via 154 mila voti; il leader spirituale sciita Hussein Fadlallah ritiene la vittoria "un voto per la resistenza e le sue armi". Ovvero: Hezbollah non intende disarmare secondo la risoluzione Onu 1559 per lottare, dice, contro Israele e contro gli Usa.
La verità è che oltre a questi scopi Hezbollah ha anche quello di mantenere l’ordine precedente: dal favore siriano, e anche dal supporto iraniano, dipende la sua vita stessa. Le elezioni che dovrebbero segnare la grande svolta in Libano non potranno mai farlo se gli Hezbollah seguiteranno ad essere la più temuta milizia di fatto siriana e, al tempo stesso, condividere il potere.
Stesso ragionamento per Hamas, che ha vinto la parte delle elezioni locali:il ministro degli esteri palestinesi Al Qidwe dice che Al Fatah non ha intenzione di disarmarli e Hamas dice che le armi sono indispensabili. Armi ad Al Fatah ? e agli Hezbollah significa terrorismo e intimidazione. E’ possibile così la democrazia? Non lo è. Quindi, partecipino pure queste forze al nuovo processo in corso, ma senza armi, prego.
L’Europa lo dica. Echi vince le elezioni dovrebbe proibire che le sue forze parlamentari facessero come Hassan Nasrallah, il leader degli Hezbollah che a uno degli ultimi raduni galavanizzava la folla gridando "Morte agli Usa e a Israele". O vogliamo considerarla "libertà di opinione".
LA STAMPA di lunedì 20 giugno pubblica in prima pagina "Il prezzo della stabilità", un commento di Fiamma Nirenstein sulla notizia dei contatti tra l' Unione europea e il gruppo terroristico Hamas.

Ecco il testo:

Quando sabato scorso Mahmoud Zahar, leader di Hamas, ha rivelato di avere appena incontrato «un importantissimo consigliere del governo tedesco», non c'è stata sorpresa. Mushir al Masri, il portavoce, ora specifica: «Circa ogni dieci giorni riceviamo inviati europei di ogni Paese» cui viene spiegato che «la resistenza è legittima e non deve essere vista come terrorismo» e che «Hamas non ha intenzione di cambiare la sua linea», ovvero, distruzione di Israele, terrorismo, bombardamenti dentro e fuori la Linea Verde, volontà di rimpiazzare Abu Mazen con una leadership integralista islamica. Intanto, l'Unione Europea, il 15 giugno, ha annunciato che si tengono regolari contatti «di basso livello» con Hamas. L'amministrazione americana e quella israeliana hanno protestato: «L'Europa dovrebbe rafforzare i palestinesi moderati piuttosto che compiacere ("appease", il solito terribile verbo di Monaco, ndr) gli estremisti».
Ma l'Europa si trova nell'angolo più stretto e oscuro del suo tentativo di gestire, nel Medio Oriente, una linea egemonica contrapposta a quella Usa. Certo, non può dire no alla grande novità americana, la democratizzazione. Per esserci, tuttavia, ribadisce la sua solita scelta: abbracciare i perturbatori in nome della stabilità. Ma quella stabilità non c'è più, e gli Usa sono il magnete della rivoluzione: Sharon e Abu Mazen vanno a Washington in sequenza, l'Egitto cambia le leggi, Gheddafi lascia il nucleare, i Paesi del Golfo porgono novità femministe, persino l'Iran manda segnali, si muove tutta la questione libanese-siriano-iraniana, ammorbata dagli hezbollah... E tutto, in primis il grande nodo iracheno, gira intorno alla politica americana in cui la fine del terrorismo è un comma della democratizzazione.
Ma per l'Europa «terrorismo» è parola assai meno importante di «stabilità». E ci riprova: ripete, abbracciando le organizzazioni eversive, il gradualismo, l'idea che il terrore sia in fondo causato da noi stessi, la sostanziale sfiducia nel potenziale democratico degli arabi, la mancanza di interesse verso i diritti umani.. Ma per stare nella grande rivoluzione mediorientale, è dannoso legittimare forze totalitarie e terroriste come Hamas e Hezbollah che accumulano armi e seguitano a insegnare alle loro piazze uno slogan fondamentale: «morte all'Occidente». Quanto più saranno forti, tanta più instabilità e pericolo porteranno alle leadership innovative, quindi a noi stessi, perché il terrorismo è un morbo molto contagioso. Lo capirebbe anche un bambino, ma l'Europa non può, è vecchia e stanca.
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