IL SECOLO D'ITALIA di venerdì 17 giugno 2005 pubblica un'analisi di Sergio Bianchi sulle elezioni libanesi.
Ecco il testo:All’indomani del terzo turno delle elezioni parlamentari libanesi, che si concluderanno solo il 19 giugno prossimo, il quadro politico nazionale del paese che ha spinto al ritiro i siriani si va sempre più complicando.
Alla fine di 4 turni elettorali, 3 milioni di libanesi dai 21 anni in su eleggeranno i 128 deputati dell’Assemblea Nazionale. Il sistema elettorale libanese è un complesso meccanismo di equilibri settari, politici e familiari, che è stato rimaneggiato, dapprima con gli accordi di Ta’if, alla fine della guerra civile ( 1975-90 ), e poi nel 2000 ridisegnato nei collegi, in modo da favorire i filo siriani al governo. I seggi sono tradizionalmente divisi in maniera proporzionale fra musulmani, che sono il 58.7% della popolazione, e cristiani, che sono stimati al 41,3%, anche se nessuno è davvero in grado di validare i dati percentuali dell’appartenenza religiosa. Fra i primi, la maggioranza va a shi’iti e sunniti, con un totale di 27 deputati, e fra i secondi ai maroniti, con 34 seggi. Dunque l’appartenenza religiosa resta uno dei fattori determinanti per l’elezione parlamentare, ma non l’unico : infatti con la contestata riforma elettorale del 2000 il Libano è stato diviso in 14 collegi multiconfessionali, con la possibilità per i candidati di correre sia individualmente che all’interno di liste, le quali possono essere votate o in blocco o con preferenze singole.
I collegi, disegnati dai siriani con la riforma, sono stati organizzati in maniera tale da indebolire il voto cristiano e la tradizionale logica delle quote religiose, inglobando i distretti tradizionalmente maroniti con collegi maggioritari musulmani. Per esempio il distretto cristiano di Rmeil è stata associato a quelli di Msaytbeh e Bashour, così come le roccaforti cristiane di Ashrafeyeh e Saifi sono state incorporate con il distretto di Mazraha, allo scopo di imporre candidati di quota religiosa graditi comunque ai musulmani e alle altre minoranze.
Con questo nuovo sistema il 29 maggio a Beirut tutti i 19 seggi sono stati assegnati al movimento sunnita di Saad al-Hariri, la cui lista includeva anche un candidato shi’ita. E’ stata una vittoria che deve molto all’attentato di Rafiq Hariri ed ai petrodollari sauditi. Il 5 giugno altri 23 seggi sono stati assegnati nel distretto del Sud, dove hanno vinto i movimenti shi’iti unificati di Nasrallah (Hizbullah) e di Nabih Berri ( Amal ), con l’80% dei voti sul 40% circa dei votanti. E’ stata la vittoria dei petrodollari iraniani alleati dei siriani, che sono volati sugli slogan della resistenza armata contro Israele. In ambedue i casi nelle liste dei movimenti maggioritari sono stati incorporati anche gli esponenti di altri gruppi religiosi, come il deputato druso eletto con Amal, i due maroniti ed i due greco-cattolici, nel sud, tutti sotto l’ombrello dell’Alleanza shi’ita. Per la prima volta, sotto pressione saudita, anche nella città di Sidone gli stessi sunniti hanno scelto di non presentare propri candidati, che avrebbero disturbato gli shi’iti, lasciando l’elezione perfino della sorella di al-Hariri, Bahia, agli estremisti filo-iraniani alleati di quei siriani che le hanno ucciso il padre. Casi della politica in questa parte del mondo.
Nelle ultime elezioni di domenica scorsa nell’importantissimo collegio della Montagna, da cui escono 35 deputati, fra cui 24 cristiani e 5 drusi, lo schieramento di opposizione si è presentato con due blocchi : il Libero Movimento Patriottico di Aun, alleato del neo fondato Partito Democratico Libanese del druso Talal Arslan ( in contrapposizione a Walid Junblat ) ed il Blocco guidato dal maronita Gemayyel con gli ortodossi di Murr, l’armeno Madoyan ed il cattolico Maaluf. L’ex generale Aun, che ai tempi della guerra civile era alleato dell’Iraq di Saddam Hussain, ha strappato ben 15 dei 16 seggi dei collegi del nord-est e l’ultimo è stato assegnato a Pierre Gemayel solo perché nel suo collegio la lista di Aun non ha presentato propri candidati. Anche Zahle, nell’est della valle della Biqa’a, è stata conquistata dal candidato di Aun, confermando la sua leadership nel mondo cristiano a scapito dei tradizionali Gemayel, del Kata’ib e, soprattutto, di Nassib Lahud, il candidato alla presidenza dell’opposizione. Secondo i drusi Aun avrebbe un accordo con i siriani per la stabilizzazione dell’area, concertato anche con aree importanti della politica europea.
La geografia confessionale è stata confermata nello Shuf, dove tutti gli 8 seggi sono andati al partito socialista di Gunbulat e nel distretto di Baalbek-Hermel, dove gli shi’iti hanno conquistato tutti i 10 seggi, portando a 34 deputati la loro presenza nel parlamento.
Questo intreccio elettorale fa capire quanto complessi siano i fattori e come poco attendibile ancora sia la pretesa di avere un processo democratico libero, in stile occidentale, in medio-oriente; o quanto poco attendibile sia una lettera unicamente religiosa a fronte di alleanze a geometrie variabili : i cerchi concentrici dell’appartenenza religiosa, della famiglia allargata, ( ‘ashirah ) e delle alleanze regionali, dalla Siria all’Arabia Saudita fino all’Iran, comprimono la nazione e la sua indipendenza, soffocano la libera espressione delle persone, che fuori dal contesto tribale vengono isolate socialmente.
Le categorie occidentali di democrazia e rappresentatività necessitano di una maggiore flessibilità : qui non sempre gli alleati della scena internazionale sono alleati sul terreno, così come non sempre i nemici in loco possono essere considerati tali sullo scenario regionale. Democrazia, liberalismo e socialismo, destra e sinistra, sono spesso vestiti estivi di antichi raggruppamenti le cui radici sono nella logica tribale, della quale anche l’appartenenza religiosa è spesso una manifestazione esteriore.
D’altronde la vittoria degli Shi’iti in Iraq, di Hamas nella maggioranza delle baladiyyat palestinesi ( i Municipi), nonché nelle elezioni della Bir Zeit University di Ramallah, così come la conferma del loro successo nel sud del Libano ed a Baalbek, sono il segnale chiaro che il processo di autodeterminazione nazionale sarà ancora lungo e che tale processo nella prima fase sarà influenzato da fattori che non vanno certo in direzione della libertà della persona : le leadership arabe tradizionali hanno fallito e nell’area la pubblica opinione cerca riferimenti tradizionali, come quelli rappresentati dal settarismo tribale, dal ritorno alle radici. Illusioni, ovviamente. Prepariamoci ad un paio di anni duri, soprattutto prepariamoci a capire senza schemi le evoluzioni dell’area, a leggere senza paraocchi lo scenario locale, avendo la forza e la libertà di poterlo ricollocare nel disegno generale secondo logiche di cooperazione nuova : non sempre dietro le bandiere dell’Islam si cela solo il fondamentalismo, così come non sempre sotto gli stendardi della libertà vi sono persone libere.
Anche in Libano, come nel resto del Medio Oriente l’Italia deve avere la lungimiranza di elaborare una propria dottrina strategica, cercando alleati di medio termine assieme ai quali dare corpo ad un processo di rinascita democratica, che oggi è appena agli inizi. Oggi in Libano Aun ha dimostrato di essere rappresentativo delle minoranze maronite, così come lo sono i drusi dello Shuf, che hanno antichi legami con i drusi israeliani e con quelli siriani. Minoranze che, come i cristiani di Terra Santa, i Copti egiziani o i Kurdi iraqeni, certo guardano con apprensione alle minacciose nubi panislamiche che vengono da oriente.
Minoranze la cui tutela può essere uno dei cardini della dottrina strategica italiana nell’area, coordinata con quella occidentale del Grande Medio Oriente democratico.
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