A pagina 1 dell'inserto IL FOGLIO di mercoledì 15 giugno 2005 pubblica un articolo di Anna Barducci sul prossimo summit tra Ariel Sharon e Abu Mazen.
Ecco il testo:Roma. Il rais Abu Mazen incontrerà tra pochi giorni la sua controparte israeliana. Ariel Sharon non è contento per come stanno procedendo le riforme nei Territori palestinesi. Disarmare i terroristi, per lo Stato ebraico, doveva essere il primo punto nell’agenda del presidente dell’Anp. Abu Mazen, però, non vuole arrivare allo scontro interno e preferisce cercare la via del dialogo, piuttosto che confrontarsi con i gruppi armati. Questa strategia ha portato
al raggiungimento non di una "hudna", tregua, ma di una fragile "tahdia", calma,
pronta a trasformarsi in una nuova ondata di violenze, dopo il ritiro da Gaza.
Sharon vuole incontrare il rais prima del disimpegno, ma si sente tradito, affermando che da parte palestinese non è ancora stato fatto alcun passo vero per arrivare al primo livello della road map, che prevede disarmo delle fazioni terroristiche. Abu Mazen, in questo momento, non ha il potere di apportare serie riforme. Il rais è debole come il suo partito. Dopo l’operazione al cuore in Giordania, ha detto di essere nelle mani del Signore e di voler istituire la
carica di vicepresidente. Alcune speculazioni nei Territori, si chiedono se questa sua decisione sia dettata, più che da ragioni di salute, da sue possibili dimissioni. Il ministro degli Esteri, Nasser al Kidwa, ha dichiarato
che fino a che l’occupazione continuerà, non ci sarà alcuna possibilità di disarmare le varie organizzazioni. La verità, però, è che non è semplice togliere le armi ai gruppi collegati a Fatah, ciò rende ancor più complicato all’Anp il compito di confiscare gli arsenali a gruppi come Hamas o Jihad islamico. Il quotidiano israeliano Haaretz riporta inoltre che le Brigate dei martiri di al Aqsa, braccio armato del partito al potere, ogni giorno arruolano tra le loro file "ricercati" e "combattenti" appoggiati da qualche ufficiale di Fatah. Il summit del prossimo 21 giugno tra i due leader è anche il risultato delle pressioni di Washington. Abu Mazen, anche se rimasto solo, ha l’appoggio degli Stati Uniti. A pochi a Gerusalemme è infatti sfuggito il "Mr. President" rivolto da George W. Bush al rais durante il loro incontro alla Casa Bianca. Fin dai tempi di Yasser Arafat in Israele c’è un acceso dibattito: chiamare "chairman" (yoshev rosh, in ebraico) o "presidente" (nassi) il leader dell’Anp? Un membro del partito laburista, per trovare un compromesso, aveva detto di rivolgersi ad Arafat come al "rais". I mass media avevano adottato questa terminologia. Dire "rais" era diventato anche un gioco per scherzare su Arafat: "Ecco, il capo di tutti i capi". La ragione di questo problema semantico
non è da sottovalutare. L’Anp non è ancora uno Stato e il conflitto in corso è proprio per vedere la nascita di due paesi per due popoli. La senatrice Hillary Clinton, alla conferenza dell’Aipac a New York, per rifarsi dall’immagine di politico "sbilanciato verso i palestinesi", non ha perso l’occasione per sgridare Abu Mazen sulle riforme non ancora portate a termine, chimandolo "Mr. Chairman". Il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, alla stessa conferenza però si è riferita al leader dell’Anp come "President Abbas". E così, a pochi giorni dal meeting dell’Aipac, il "rais" si è incontrato con il presidente americano. Bush non ha dato all’Anp assegni in bianco e nemmeno le garanzie, che erano state concesse a Israele al summit con Sharon, l’anno scorso. I palestinesi hanno però ottenuto, oltre ad aiuti economici simbolici, una legittimazione politica attraverso la figura di Abu Mazen, "Mr. President". Washington si riferiva ad Arafat come "chairman", ma l’Amministrazione Bush crede che il nuovo "rais" vada sostenuto e che sia l’unico indirizzo palestinese cui rivolgersi. Il giorno dopo il vertice, Haaretz ha pubblicato un editoriale sull’appoggio statunitense al leader dell’Anp, sottolineando il cambiamento semantico. Sharon continuerà a chiamare Abu Mazen "yoshev rosh". In Israele c’è chi si divide tra "chairman" e "president". Tutti però considerano Abu Mazen l’unico interlocutore.
Riportiamo anche un trafiletto sul comando italiano della Forza multinazionale schierata nel Sinai.
Ecco il testo:Si fa un gran parlare del crescente ruolo militare italiano nelle operazioni di pace, annunciando che nei prossimi mesi "force commander" del nostro paese assumeranno la guida delle truppe della Nato in Afghanistan (agosto) e in Kosovo
(settembre) e di quella dell’Unione europea in Bosnia (dicembre). Temi ricordati
anche in occasione delle festa dell’Esercito e della parata del 2 giugno, dimenticando però che già da un anno e mezzo un italiano, il generale di divisione Roberto Martinelli, comanda la MFO, Multinational Force and Observer schierata in Sinai con circa 4 mila militari, tra i quali 80 marinai e tre pattugliatori italiani e un migliaio di soldati americani. Il generale Martinelli, veterano dell’operazione "Ibis" in Somalia, era stato per tre anni vicecomandante delle forze dell’Onu in Congo, dove impedì ai guerriglieri di massacrare la popolazione di Kisangani: un’operazione per la quale è stato decorato dal Palazzo di Vetro e con la medaglia d’argento al valor militare italiana.
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