Pena di morte nell'Anp: u.d.g. intervista un attivista dei diritti umani palestinese
che non rinuncia ad attaccare Israele
Testata:
Data: 14/06/2005
Pagina: 14
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Territori, il boia non fermerà il caos»
L'UNITA' di martedì 14 giugno 2005 pubblica un'intervista di Umberto De Giovannangeli a Bassem Eid, direttore generale del Palestinian Human Rights Monitoring Group, sulle esecuzioni nell'Anp.
Eid fa affermazioni ampiamente condivisibili, salvo quando, senza fornire ulteriori particolari, accusa Israele di praticare la "tortura" nelle carceri. Nessuna replica da u.d.g.

Ecco il testo:

«Al presidente Abbas dico: non è ripristinando le esecuzioni capitali che rafforzerai la tua leadership o ristabilirai ordine e sicurezza nei Territori. Non è dando lavoro al "boia" che si contrasterà la legge della giungla che continua a farla da padrone nei Territori. Uno dei banchi di prova della nuova dirigenza è nella volontà, oltre che nella capacità, di realizzare le basi di uno Stato di diritto. Il rispetto dei diritti umani e civili non è un di più per chi sta battendosi per l’autodeterminazione nazionale, ma deve essere uno dei pilastri della nostra battaglia di libertà. Abbiamo combattuto l’occupazione israeliana sperando nella libertà e invece ancora oggi vediamo crescere un regime dai forti tratti dispotici. Non metto in discussione la volontà di cambiamento che anima Abu Mazen, rilevo però che nei Territori non è stato intaccato più di tanto un regime di polizia che non accetta verità scomode e che continua a far sparire dalle librerie testi ritenuti "sovversivi" solo perché trattano di diritti umani e del rispetto delle libertà individuali e collettive». A parlare è il paladino dei diritti umani e civili nei Territori, colui che ha più volte denunciato gli abusi dell’Anp di Yasser Arafat, finendo per questo anche in carcere: si tratta di Bassem Eid, direttore generale del Palestinian Human Rights Monitoring Group. «Non si tratta - rileva Eid - solo di contestare la pratica delle esecuzioni capitali. Il fatto è che queste condanne a morte eseguite sono il terminale di un percorso giudiziario sommario, nel quale i diritti della difesa non sono stati garantiti come si sarebbe dovuto, per non parlare dell’impossibilità di appello. Coloro che sono stati giustiziati avevano trascorso in cella diversi anni senza neanche al possibilità di fare appello... Al momento della presentazione della sua candidatura alla successione di Arafat, Abu Mazen aveva fortemente marcato il proprio profilo democratico e riformatore. Ma cosa c’è di "democratico e di "riformatore" nel ripristinare la pena di morte. Non è in questo modo che si costruisce nei Territori una cultura della legalità né si ripristina legge e ordine».
Come valuta la decisione del presidente Abbas di ripristinare la pena di morte?
«Come una prova di debolezza politica mascherata da un esercizio brutale del pugno di ferro legalizzato...».
Resta il fatto che nel codice penale palestinese la pena capitale è contemplata.
«Il fatto che lo sia nulla toglie alla battaglia di civiltà portata avanti dalle organizzazioni indipendenti palestinesi che considerano la pena capitale già di per sé come una violazione dei diritti umani. Ma non voglio porre solo una questione di principio. Dietro le quattro condanne a morte eseguite vi sono questioni specifiche, di carattere politico e "tecnico-giuridico"...».
Iniziamo dalla questione politica.
«Nei Territori c’è il rischio che a dominare sia il caos e la legge della giungla, quella imposta dale fazioni armate. Il presidente Abbas è chiamato a far fronte a una domanda inevasa di sicurezza che proviene da tutti i settori della società palestinese. Ma non è con il ripristino della pena di morte che il presidente Abbas convincerà le varie milizie a deporre le armi né ricostruirà un rapporto positivo tra la gente e le istituzioni. Quella imboccata da Abu Mazen è una scorciatoia "giustizialista" inaccettabile sotto ogni punto di vista. L’anarchia e il caos armato non si combattono dando lavoro al "boia" o mostrando il pugno di ferro. Anche qui, non si tratta solo di una posizione di principio, ma di una realtà di fatto: dall’inizio dell’anno gli episodi di violenza sono aumentati. Per contrastare questa inquietante tendenza non servono le punizioni esemplari ma la riforma dei servizi di sicurezza e una magistratura realmente indipendente. Una cosa è certa: le esecuzioni non possono servire a dare soluzione ai problemi sociali e di sicurezza».
Basta con il caos, afferma Abu Mazen...
«Ma non a spese dei diritti umani e delle più elementari libertà civili. Giustamente denunciamo le torture subite da prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. Ma con la stessa forza dobbiamo denunciare il fatto che la tortura è ancora oggi una pratica utilizzata anche nelle carceri dell’Anp. Alla vendetta delle milizie non va risposto con la "vendetta di Stato"».
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de L'Unità. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.
lettere@unita.it