Con Arafat il boia lavorava eccome
nelle strade, esattamente come adesso.
Testata:
Data: 13/06/2005
Pagina: 19
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Palestina, torna la pena di morte. Abu Mazen: basta con il caos - Torna la pena di morte nell'era di Abu Mazen
LA REPUBBLICA di lunedì 13 giugno 2005 pubblica a pagina 19 l'articolo di Alberto Stabile "Palestina, torna la pena di morte. Abu Mazen: basta con il caos". Il titolo e le prime righe dell'articolo("Dopo tre anni di inattività, il boia ha ripreso a lavorare")indicano una precisa linea interpretativa: la decisione di Abu Mazen indica un rgresso rispetto all'era Arafat, il quale "aveva nel 2002 accolto le critiche che provenivano dall´Europa, decidendo una moratoria delle esecuzioni, che non ha mai più revocato".
Dimenticando che ai tempi del raìs le esecuzioni, soprattutto dei "collaborazionisti" avvenivano in modo exragiudiziale ad opera dei gruppi terroristici da lui sostenuti e foraggiati.
(a cura della redazione)

Ecco il testo:

Dopo tre anni d´inattività, il boia ha ripreso a lavorare, ieri, nella prigione centrale di Gaza, dove quattro detenuti comuni palestinesi, rei confessi di omicidio, sono stati giustiziati alle 4,30 del mattino. Il ritorno in grande stile della pena di morte nei Territori si spiega come un estremo tentativo di ristabilire la legge e l´ordine laddove regna l´anarchia. Non potendo, o non volendo, Abu Mazen mettere sotto controllo le milizie protagoniste della lotta armata contro Israele, cerca almeno, il Presidente dell´Autorità, di ridurre l´impatto della rampante criminalità sulla società civile palestinese.
Due dei condannati avevano ucciso per rapina un cambiavalute, gli altri due erano stati giudicati colpevoli di omicidio per futili motivi. Dei quattro giustiziati, tre sono stati impiccati, il quarto è stato fucilato dal plotone d´esecuzione. Una massiccia dimostrazione di forza da parte di un´Autorità debole e screditata, tesa a dimostrare che si vuol condurre una battaglia per far trionfare la legalità senza affrontare gli spetti politici della questione.
Non a caso, il portavoce del ministero dell´Interno palestinese, Tawfik Abu Khussa, ha spiegato l´agghiacciante sequenza messa in atto nella prigione di Gaza come «una svolta nella politica tesa al dominio della legge e a combattere il caos nei territori palestinesi».
Grande, a quanto pare, è stata la pressione esercitata su Abu Mazen dalle parti lese. Le famiglie delle vittime minacciavano in sostanza di farsi giustizia da sole se l´Autorità palestinese, invece che dare l´ordine di eseguire le sentenze capitali, avesse ancora preso tempo.
La pena di morte, prima ancora che nei codici penali dei paesi arabi è, purtroppo, profondamente radicata nella coscienza popolare, attraverso la pratica della vendetta, che autorizza i parenti degli uccisi a passare per le armi il colpevole o presunto tale. E in questo i palestinesi non fanno eccezione. Alcuni mesi fa uomini armati legati alle vittime di alcuni criminali comuni in attesa d´esecuzione fecero irruzione nella prigione di Gaza, pretendendo di farsi giustizia.
Su Abu Mazen pesava l´ansia di provocare l´ennesimo strappo con il suo predecessore, Yasser Arafat. Pur avendo voluto che il nuovo ordinamento palestinese prevedesse la pena capitale (come mezzo di dissuasione nei confronti dei cosiddetti collaboratori, gli agenti di cui si serviva e si serve Israele nei Territori), Arafat aveva nel 2002 accolto le critiche che provenivano dall´Europa, decidendo una moratoria delle esecuzioni, che non ha mai più revocato. L´ultima risale infatti all´agosto del 2002.
Stretto, da un lato, dalla richiesta israeliana di fronteggiare una volta e per tutte le milizie armate, pressato, dall´altro, dall´opinione pubblica palestinese che si sente in balia dell´anarchia generalizzata, Abu Mazen ha dispiegato l´abituale prudenza. Prima di respingere le richieste di grazia presentate dai quattro condannati, il presidente dell´Autorità palestinese ha chiesto un parere vincolante (fatwa) al Gran Mufti di Gerusalemme Sheik Ikhrima Sabri, il quale ha risposto raccomandando di riprendere le esecuzioni, anche per porre un freno al fenomeno della vendetta. Ieri mattina Abu Mazen ha firmato l´ordine.
Così, mentre il ministro degli Esteri palestinese, Nasser al Kidwa, faceva sapere che, perdurando l´occupazione israeliana, le milizie non sarebbero state disarmate, decisione che ha irritato il governo Sharon, i quattro assassini sono stati portati al patibolo. Fra le proteste vibranti, ma inefficaci, delle organizzazioni umanitarie israeliane e palestinesi.
«Le esecuzioni non possono servire a risolvere i problemi sociali e di sicurezza», dice il direttore del Centro per la difesa dei diritti dell´uomo, Raji al Surani, un medico di Gaza che ha dedicato tutta la sua vita alla tutela dei diritti umani. Ma deve mestamente aggiungere che la richiesta di abolire la pena di morte rivolta ad Abu Maazen, subito dopo la sua elezione, è rimasta senza risposta.
Una prospettiva analoga a quella adottata da REPUBBLICA si trova, con toni accentuati, su L'UNITA', nell'articolo (a pagina 13) "Torna la pena di morte nell'era di Abu Mazen" di Umberto De Giovannangeli, che, aconclusione del pezzo, scrive: "Sospesa da Yasser Arafat, la pena capitale è stata riattivata dalla nuova leadership palestinese. Sul terreno dei diritti umani, «Mahmoud il moderato» si sta di certo rivelando un innovatore".

Ecco l'articolo:

Il boia torna in azione nei Territori palestinesi. Dopo una sospensione di circa un anno, dovuta alle proteste internazionali, l’Autorità nazionale palestinese (Anp) ha ripreso le esecuzioni capitali. Alle 4:30 del mattino quattro palestinesi, colpevoli di omicidio di connazionali, sono stati giustiziati nella prigione centrale di Gaza City. Mohammed Al Khawaja è stato fucilato mentre Odeh Abu Azak, Ashab Shabaki e Salah Musallem sono stati impiccati. Le loro domande di grazia sono state respinte dal presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) che l’altro ieri ha firmato le autorizzazioni alle esecuzioni. Il portavoce del ministero dell’Interno palestinese Tawfik Abu Hussa ha affermato che tutti i quattro giustiziati avevano confessati i crimini dei quali erano stati accusati. Sembra che almeno uno dei giustiziati fosse anche accusato di aver fatto la spia per conto di Israele. In attesa di esecuzione della sentenza nelle prigioni dell’Anp ci sono una quindicina di palestinesi che erano stati condannati a morte per «collaborazionismo» con Israele, in altre parole per essere stati al soldo dei servizi di sicurezza israeliani. In seguito a forti pressioni di Israele, degli Stati Uniti e delle organizzazioni umanitarie le sentenze sono state sospese. Ancora in questi giorni Israele ha rinnovato le presioni perché siano commutate le condanne a morte dei «collaborazionisti». Secondo Abu Hussa i palestinesi condannati alla pena capitale sono complessivamente 53 e i loro casi sono in attesa di essere esaminati dal presidente Abu Mazen, che ha il potere di decidere se commutare o no le condanne a carcere a vita.L’esecuzione dei 4 palestinesi ha suscitato reazioni controverse nei Territori. Hamas e la Jihad islamica l’ hanno approvata definendola un passo positivo. Di segno opposto le prese di posizione delle organizzazioni umanitarie. «Avevamo chiesto al presidente Abu Mazen di abolire la pena di morte dal codice penale palestinese ma la nostra richiesta è stata ignorata», denuncia Raji Al Surani, del Centro palestinese per i diritti umani. La riattivazione delle esecuzioni capitali appare motivata dalle pressioni della piazza palestinese sull’Anp, davanti a una situazione di caos generalizzato e di anarchia, e davanti all’impotenza finora mostrata dalla polizia palestinese a contrastare la criminalità dilagante. «Ma le esecuzioni capitali - afferma Al Surani - non servono a risolvere problemi di ordine pubblico e sociale». Sulla stessa lunghezza d’onda si muove Hanan Ashrawi, già ministra dell’Anp, paladina dei diritti umani e civili nei Territori: «Il presidente Abbas non può cercare il consenso in questo modo. L’uso della pena di morte non può trovare giustificazione nella necessità di catturare il consenso della popolazione», dice Hanan Ashrawi a l’Unità. Nel marzo scorso l’organizzazione umanitaria «Human Rights Watch» (Hrw) aveva fatto appello ad Abu Mazen affinché mettesse un veto a quelle pene di morte ed operasse in parlamento per abolirle del tutto. Un appello caduto nel vuoto. Sospesa da Yasser Arafat, la pena capitale è stata riattivata dalla nuova leadership palestinese. Sul terreno dei diritti umani, «Mahmoud il moderato» si sta di certo rivelando un innovatore.
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