L'Arabia Saudita è un pericolo per l'America e per l'Occidente
per fortuna c'è chi se ne sta accorgendo
Testata:
Data: 10/00/2005
Pagina: 3
Autore: un giornalista
Titolo: L’America comincia a processare il grande complotto saudita
IL FOGLIO di venerdì 10 giugno 2005 pubblica un articolo sui rapporti tra Stati Uniti e Arabia Saudita.

Ecco il testo:

New York. L’Arabia Saudita non è uno Stato, è un’organizzazione terroristica. Al
Senato americano è stata presentata una proposta di legge che in realtà è un atto d’accusa contro i seguaci della setta fondamentalista wahabita al potere a Riad. Il primo firmatario del testo è il senatore repubblicano, moderato, Arlen Specter, seguito da un gruppo di colleghi democratici. Il "Saudi Arabia Accountability Act of 2005" ingiunge i reali sauditi ad adempiere alla risoluzione 1.373 dell’Onu, quella che vieta agli Stati membri di sostenere, finanziare, aiutare e dare rifugio ai terroristi. L’obiettivo della legge è contenuto nelle poche righe di sintesi: "Per fermare il sostegno saudita alle istituzioni che finanziano, addestrano, incitano, incoraggiano o in qualsiasi altro modo aiutano o favoriscono il terrorismo. E per ottenere la piena cooperazione dei sauditi nelle indagini sugli attentati terroristici". Ad aprile il testo è stato presentato anche alla Camera e certamente ora provocherà ulteriori tensioni tra la Casa Bianca e la casa dei Saud. L’America dipende dal petrolio saudita, così George W. Bush è costretto a piegare la sua visione democratica del medio oriente alla realpolitik energetica. L’ambiguità è palese: a parte qualche saltuario rimbrotto, la politica di Washington nei confronti di Riad è rimasta simile a quella precedente l’11 settembre, tanto che soltanto qualche settimana fa Bush ha ricevuto nel suo ranch in Texas il principe reggente. Eppure ogni giorno, anche con il sostegno dell’Amministrazione, escono rapporti, documenti, notizie e libri che dimostrano il coinvolgimento saudita nella diffusione del fondamentalismo islamico e quindi del terrorismo. L’ultima accusa è del dipartimento di
Stato. La settimana scorsa, la diplomazia americana ha definito l’Arabia Saudita il peggiore violatore delle leggi contro la schiavitù. Nel corso degli ultimi tre anni i principali centri studi americani hanno denunciato la connessione dei sauditi col terrorismo. A gennaio, una commissione imposta dal Congresso e guidata da Freedom House ha svelato come le moschee americane finanziate dai sauditi siano centri di indottrinamento all’odio. Il Washington Post, il mese scorso, ha pubblicato un’inchiesta secondo cui la stragrande maggioranza dei terroristi in Iraq è di nazionalità saudita. I mullah del Regno continuano a benedire le carneficine degli occidentali, ma anche degli iracheni sciiti, considerati apostati quindi peccatori da eliminare ancor più degli infedeli. Il Saudi Arabia Accountability Act raccoglie questi dati e ribadisce come Riad continui a essere la fonte principale del sostegno ad al Qaida e, soprattutto, come i sauditi si siano sempre rifiutati di prendere provvedimenti seri. Nessuno degli acclarati finanziatori del terrorismo, per esempio, è stato mai arrestato o processato. I sauditi negano ogni complicità, attraverso una straordinaria campagna di lobbying e di relazioni pubbliche scatenata grazie ai petrodollari. Ogni giorno, però, la consapevolezza americana cresce. Sul New York Sun di ieri, un informatissimo articolo ha raccontato del "grande complotto saudita" in corso in Siria. I sauditi dicono agli americani che li aiuteranno a far cadere Bashar al Assad, ma contemporaneamente spiegano ai fondamentalisti che così si libereranno del regime pseudo-sciita degli alawiti per installare a Damasco un governo sunnita senza un Al Sistani che provi a moderarlo. L’obiettivo finale è quello di dimostrare a Bush che l’idea della democrazia medio oriente è sbagliata e pericolosa, cioè di convincere Washington che si stava meglio quando si stava peggio.
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