IL FOGLIO di giovedì 9 giugno 2005 pubblica un articolo sulla politica irachena, sul fallimento politico del terrorismo e sulla possibile normalizzazione dei rapporti del paese con Israele.
Ecco il testo:Roma. "Le milizie curde e sciite hanno ancora un ruolo da giocare in Iraq", ha affermato il presidente iracheno Jalal Talabani, intervenendo a una conferenza organizzata dalle Brigate sciite Badr, braccio armato del Consiglio supremo per la rivoluzione islamica. L’Esercito islamico dell’Iraq, uno dei più feroci gruppi terroristici del paese, sarebbe invece disponibile ad avviare negoziati con il governo di Baghdad per cessare le sue attività. La notizia è stata riportata ieri dal Washington Post, che pubblica un’intervista al leader sunnita, Aiham al Sammarae, ex ministro dell’Elettricità nel governo Allawi, che sostiene che il gruppo armato è pronto a trattare. Se questa disponibilità
di pacificazione si concretizzasse, si aprirebbe una nuova fase. L’Esercito islamico è una delle più feroci formazioni terroristiche. Nell’agosto del 2004, ha rivendicato il rapimento e l’uccisione del giornalista italiano Enzo Baldoni,
il sequestro dei giornalisti francesi Christian Chesnot e Georges Malbrunot (rilasciati lo scorso dicembre), l’uccisione di otto soldati ucraini e il rapimento di due sudanesi. Al Sammarae gode di buona attendibilità in occidente. E’ stato un oppositore di Saddam e ha vissuto in esilio negli Stati
Uniti sin dagli anni 90 (è anche diventato cittadino americano). Oggi, tornato in patria, è alla guida del Fronte del consiglio nazionale iracheno e considera possibile una soluzione positiva coi gruppi armati. "Abbiamo detto loro che se continuano a sparare senza dire quali siano le loro richieste saranno sempre nel mirino – ha detto al Sammarae – ora il governo può sedersi con loro e vedere quello di cui hanno bisogno. Se sono disposti ad affrontare il problema
della sicurezza, allora esiste una possibilità". La trattativa evidenzia una novità. La decisione di allargare a tredici gli esponenti sunniti non eletti nella Commissione di 79 parlamentari, che ha steso il testo della Costituzione (ancora da approvare dall’Assemblea), ha spinto il mondo sunnita a prendere nuove iniziative politiche. Oggi, l’atteggiamento degli sciiti e dei curdi
dimostra una volontà di recupero del consenso dei sunniti, che potrebbe produrre
soluzioni istituzionali "creative". L’aggiunta dei deputati costituenti sunniti, regolarmente eletti dai "consiglieri" nominati autonomamente dai partiti che a gennaio boicottarono il voto, è una scelta coraggiosa. Ieri, si è tenuta a Baghdad un’assemblea di 150 dirigenti sunniti per decidere i punti
programmatici su cui impegnare i propri correligionari. Nei prossimi giorni, saranno autonomamente indicati i tredici parlamentari "creativi". Il mondo politico sunnita è sempre più confrontato col dato di fatto che l’ondata terroristica non ha nessuna possibilità di sbocco e quindi lavora per chiudere la lunghissima fase di complicità, più o meno aperte, nei confronti dei gruppi
armati. I sunniti iracheni sono costretti a prendere atto che non è possibile capitalizzare politicamente il terrorismo e che l’unica via percorribile è di partecipare al processo democratico. La pena è l’emarginazione dalla vita politica del paese. In questo scenario s’inseriscono le dichiarazioni clamorose del leader curdo Massoud Barzani (Pdk). Il presidente del Kurdistan iracheno ha evocato la possibilità di aprire un consolato dello Stato ebraico nel Kurdistan, "una volta aperta l’ambasciata d’Israele a Baghdad". Hoshyar Zebari,
ministro degli Esteri, pochi giorni fa in Giordania ha pubblicamente stretto la mano all’ex ministro della Difesa israeliano Benjamin Ben Eliezer, che lavora da tempo per un riconoscimento iracheno di Israele.
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