Come succede in tutti i paesi del mondo, anche in Israele ci sono cronache piacevoli e altre meno. Sarebbe ipocrita ignorare le seconde e scegliere solo le prime. Ma quando di Israele si danno solo le notizie negative, allora è giustificata la domanda che sorge spontanea quando si leggono gli articoli di Mara Gergolet sul CORRIERE della SERA.Perchè ? Già, perchè Mara Gergolet scrive solo articoli che mettono in cattiva luce Israele e al Corriere non c'è nessuno che gliene chiede ragione ?
Quello di oggi , per esempio, al quale è stato posto un titolo che ne esagera addirittura le conclusioni. In Israele, come in tutte le vere democrazie, ogni opinione ha diritto di cittadinanza, così come i movimenti di opinione. Che anche nell'esercito ci siano correnti di pensiero "pacifiste" che si oppongono alla linea ufficiale di Tzahal non è cosa nuova. Isarele è un paese libero, il che comporta avere i propri Agnoletto & C. Anche fra le forze militari. Numericamente rappresentano lo zero virgola qualcosa, ma troveranno sempre le varie Mara Gergolet pronte ad amplificare le loro dichiarazioni. Anche quando sono palesemente strumentali, come nel caso in questione.
Ecco l'articolo:DAL NOSTRO INVIATO GERUSALEMME — « Se venissi incolpato di crimini di guerra, allungherei spontaneamente le mani verso le manette. Come fossimo una tribù di beduini, fummo mandati verso una guerra di vendetta. Allora non l'avevo capito.
Adesso sì » .
Non dice il suo nome, il soldato D., membro dell'unità d'élite Yael. Il suo racconto, come quello di R., al quotidiano israeliano Maariv , descrive una delle notti più violente dell'Intifada.
Sono entrambi membri di « Shovrim Shtika » ( rompiamo il silenzio): ex soldati di leva, revisionisti di sé stessi, decisi a sfidare la versione dell'esercito israeliano, che contro i palestinesi i soldati abbiano sempre obbedito a uno stretto codice etico. Hanno fatto breccia nell'opinione pubblica: ogni confessione, un titolo di tg.
Quest'ultima, confermata alla Reuters da fonti d'intelligence, racconta la notte del 19 giugno 2002. Poche ore prima, due palestinesi hanno attaccato un check point a Ein Arik, Cisgiordania. Sei soldati uccisi. Fu l'attentato che determinò una svolta nelle tattiche dell'esercito israeliano e, forse, segnò il destino di Arafat. L'agguato fu firmato Al Aqsa, le milizie del partito del raìs: i servizi israeliani conclusero che l'apparato di sicurezza palestinese era strutturalmente coinvolto in azioni di terrorismo. In quel momento, i poliziotti palestinesi — esclusi dal conflitto — erano diventati un « legittimo bersaglio » .
La sera stessa, racconta R., sottufficiale, « il comandante venne da noi. Ci raccontò l'azione. Ricordo che mi chiesi se tutto ciò fosse legale.
Ci disse che dovevamo prendere le vite dei palestinesi per i compagni morti a Ein Arik. Sentivamo che era una vendetta. Occhio per occhio » . Poche ore dopo inizia una triplice blitz, dalle parti di Ramallah e Nablus.
Deir a Sudan, pochi chilometri dalla Mukata di Arafat, 4 di notte. Sette poliziotti seduti a prendere il caffé. Dice D.:
« Solo due portavano le divise. Li uccidemmo tutti. Alcuni di noi continuavano a sparare dopo che erano già morti » .
D. si sentì « felice » . « Avevo agito, risposto al walkie talkie , ripreso i miei compagni, era stato incredibile » .
Quella sera, vengono uccisi per rappresaglia 15 agenti palestinesi. Ma buona parte dei soldati coinvolti ritiene legittime quelle azioni. Come L., che dice a Maariv : « I poliziotti avevano aiutato i terroristi, mi sento a posto con la coscienza » .
L'esercito conferma l'operazione, ma nega la vendetta: « Il 19 febbraio 2002 — ha detto ieri un portavoce — Tsahal ha operato contro diversi obiettivi dell'Anp. Fra questi, vi erano posti di blocco da cui erano passati terroristi che poi avevano portato a termine gli attacchi. Dietro istruzione dei vertici politici ci fu ordinato di agire contro i terroristi ovunque fosse necessario » .
Più netto ancora il generale Yitzhak Eitan, che allora comandava le forze israeliane in Cisgiordania: « Non ci fu allora nè ci furono mai altrove, azioni di vendetta » .
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