L'astensionismo libanese, la crisi saudita
analisi sul Medio Oriente
Testata:
Data: 31/05/2005
Pagina: 3
Autore: un giornalista
Titolo: Perchè in Libano gli elettori hanno boicottato le elezioni - Petrolio, al Qaida e statistica: il mix esplosivo della crisi saudita
IL FOGLIO di martedì 31 maggio 2005 pubblica un'analisi sulle ragioni dell'alta percentuale di astenuti alle recenti elezioni libanesi.

Ecco il testo:

Beirut. I risultati ufficiali del primo turno delle elezioni parlamentari in Libano sono arrivati ieri, ma la festa a Beirut è già iniziata domenica sera, poco dopo la chiusura dei seggi. Il blocco di Saad Hariri, figlio dell’ex premier ucciso a febbraio, Rafiq Hariri, ha vinto com’era previsto. Davanti al quartier generale della famiglia, sulla collina del Koraytem, la folla ha cominciato ad arrivare prima delle nove e le automobili, impacchettate con le foto del giovane leader, hanno bloccato le vie del quartiere. I sostenitori di Saad hanno cantato, suonato tamburi e gridato per ore il nome del loro leader. Anche all’interno del castello degli Hariri l’atmosfera era allegra: familiari, candidati e sostenitori del blocco hanno sorseggiato caffè insieme, in attesa dei risultati. Qualcosa però ha rovinato la festa a Saad: l’affluenza alle urne è stata soltanto del 28 per cento. E’ una semi sconfitta per il clan, che mette in risalto, prima del termine delle elezioni, un punto debole della coalizione. Più volte nei giorni scorsi il giovane candidato aveva pregato i libanesi di recarsi ai seggi, ma in molti non hanno ascoltato, disillusi dall’esito già noto del voto. La Corrente del Futuro di Hariri aveva già ottenuto 9 dei 19 seggi di Beirut prima dell’inizio delle elezioni, per il ritiro dei candidati rivali. Tra i cristiani, c’è chi ha seguito l’invito del generale maronita, Michel Aoun che, dopo non essere riuscito ad allearsi con l’opposizione, ha
chiesto ai suoi di boicottare le urne. Il quotidiano online Daily star offre anche un’altra spiegazione. Gli elettori avrebbero rifiutato di votare Saad per non creare un sentimento condizionato di lealtà all’ex premier Hariri. "Non
andando alle urne, la popolazione ha voluto dire a Mr. Libano – scrive il Daily star – che non ha bisogno di ricordare al popolo di fare quello che il popolo ha già compiuto nelle piazze". Beirut, la prima a votare delle quattro circoscrizioni in cui è diviso il territorio (le altre lo faranno nelle prossime tre domeniche) era quasi deserta domenica. Soltanto davanti ai seggi c’è stato movimento. I sostenitori delle diverse liste hanno fatto propaganda e portando in strada una campagna elettorale mancata nelle settimane precedenti l’elezione. Gruppi di persone con magliette e cappellini, con la scritta rossa "con te", hanno presidiato le scuole: i sostenitori della Corrente del Futuro hanno distribuito biglietti con i nomi dei loro candidati. "In ogni quartiere c’è un ufficio di volontari sostenitori di Hariri, che si sono organizzati per aiutare gli abitanti a votare – spiega Aline al Foglio, da una stanzetta tappezzata con le fotografie del figlio dell’ex premier – Portiamo panini e acqua nei seggi, diamo una mano ai più anziani a raggiungere le scuole e spieghiamo loro, se hanno dubbi, dove devono votare". I finanziamenti arrivano dal gruppo di Hariri, al Mustaqbal, il futuro. Davanti alla scuola di Bashura, quartiere sciita, gli altoparlanti hanno suonato gli inni degli Hezbollah e i volontari del Partito di Dio, in giacca gialla e cappellino con il simbolo del movimento, hanno accompagnato gli anziani a votare. Per tutta la giornata invece i membri di hayyabina, "let’s go", un nuovo movimento nato dapoche settimane, hanno fatto il giro dei seggi su un camion decorato con palloncini viola. Hanno appena iniziato una campagna in favore della laicizzazione del sistema politico libanese, un dibattito finora assente nel paese; hanno chiesto agli elettori di boicottare le elezioni, votando scheda bianca o inserendo nell’urna il loro programma. Nel grande cortile di una scuola, José Ignacio Salafranca, capo della delegazione degli osservatori dell’Unione europea, dopo aver visitato i seggi, accompagnato dalle telecamere, ha spiegato ai giornalisti che "il solo vincitore" al termine del voto, il primo
dopo il ritiro delle truppe siriane dal paese, "sarà il Libano" e che queste elezioni "sono un festival di democrazia". A Bashura, gli osservatori libanesi dell’Associazione per le elezioni democratiche hanno detto al Foglio che, rispetto alle passate consultazioni, la differenza è tangibile: è la prima volta che hanno accesso ai seggi.
Sempre a pagina 3, un'analisi della crisi saudita:
Roma. Le notizie sullo stato di salute di Fahd bin Abdulaziz ibn Saud, re dell’Arabia Saudita, sono contraddittorie. Si sa soltanto che è stato ricoverato d’urgenza venerdì scorso, che appena la notizia è arrivata negli Stati Uniti il prezzo del brent è aumentato e i primi bollettini molto tecnici sono stati sostituiti da dichiarazioni ottimistiche nelle ultime ore. Superata o meno che sia questa crisi dell’ottantaquatrenne sovrano, già inabilitato al regno da un colpo apoplettico del 1996 e oggi probabilmente ammalato di polmonite, è comunque chiaro che il problema della successione saudita è aperto e che minaccia la stabilità del Golfo e il mercato energetico mondiale. Quando re Fahd morirà, o meglio, quando verrà dichiarato morto, è infatti possibile che la successione si risolva senza traumi. Ma sarà una soluzione di brevissimo respiro: l’unica successione indolore è infatti a favore del fratello e attuale
reggente, Abdullah, che di anni ne ha 82 e che quindi non potrà certo regnare con vigore a lungo. Ammesso e non concesso quindi che Abdullah diventi re dopo
Fahd, il problema della crisi dirompente dello stesso Stato saudita legato a una successione traumatica si riproporrà tra non molto. Il regno è entrato in una fase simile a quella dell’Urss del dopo Breznev, con Andropov e Cernjenko e i risultati disgregatori possono essere non dissimili. Le ragioni per cui molti osservatori internazionali, a iniziare da quelli americani, giudicano imminente una pericolosa crisi dinastica saudita sono molte. La prima è statistica. Dal 1744 al 1891 soltanto tre successioni saudite su 14 sono state senza pugnalate fratricide, guerre civili, complotti; uguale la media tra il 1953 (morte di Abdulaziz ibn Saud, fondatore dello Stato) e oggi: nel 1964 suo figlio ed erede Saud è infatti detronizzato da una congiura guidata dal fratello Feisal; nel 1975 Feisal è pugnalato da un nipote e sostituito dal fratello Khaled; solo la successione tra Khaled e il fratello Fahd nel 1982 è indolore, ma oggi Abdullah rischia un’intronazione contrastata. L’assenza di istituzioni statali e di regole certe per la successione – affidata ai rapporti di forza tra i 36 figli di Abdulaziz ibn Saud – rende insicura, anche se probabile, l’ascesa al trono di
Abdullah, che però ha uno svantaggio: sua madre non era una al Sudeiri, ma era addirittura una al Rashid, non apparteneva, come tutti i suoi fratelli diventati re prima di lui, al clan degli al Sudeiri, fedeli alleati degli al Saud, ma al clan rivale della famiglia, cui fu tolta con la forza la capitale Riad. Abdullah ha poi un nemico temibile: i potenti simpatizzanti di al Qaida dentro la corte. Lui stesso ha confidato a ospiti italiani di riguardo di essere certo che al Qaida ha potenti appoggi "in alto" e basta verificare la logica politica dei tanti attentati compiuti dal 2002 in poi nel paese, per rendersene conto: sempre hanno colpito simboli riconducibili a lui, sempre godevano di evidenti e autorevoli complicità. Al Qaida, in un certo senso, può essere definita come il risultato della lotta dinastica saudita, con settori
della corte che prima hanno "inventato" la leadership di Osama bin Laden per vincere il jihad contro i sovietici in Afghanistan e che poi l’hanno riciclata per usarne la forza disgregatrice per i propri fini di potere. Una miscela esplosiva si innescherà quindi con la morte di re Fahd ed esploderà o subito, con il fratello Salman – potentissimo governatore di Riad – pronto a contrastare, come si dice, la successione di Abdullah, o alla morte di quest’ultimo. Il tutto, sopra il più grande barile di petrolio da esportazione del mondo.
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