Intervista acritica a un dirigente di Al Fatah
u.d.g. non cambia rotta
Testata:
Data: 27/05/2005
Pagina: 11
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Gli Usa siano davvero super partes
Intervista di Umberto De Giovannangeli a Kadura Fares, leader di Al Fatah in Cisgiordania, sull'UNITA' di venerdì 27 maggio 2005. Fares dichiara a proposito del disimpegno israeliano da Gaza: "le modalità del ritiro, così come delineate da Israele, fanno sì che la Striscia di Gaza rimanga sostanzialmente quel che oggi è: una grande prigione a cielo aperto, isolata dal mondo. Israele manterrebbe il controllo totale dei confini, dell'acqua, del cielo".
U.d.g. omette a questo punto dii ricordare al suo interlocutore che i confini di Gaza sono utilizzati dai terroristi per farvi affluire armi, per cui il loro controllo è per Israele un problema di sicurezza, non una forma di dominio.

Ecco l'articolo:

«I prossimi mesi decideranno il futuro della pace in Medio Oriente. Israeliani e palestinesi vanno sostenuti in questa fase cruciale per il destino dei due popoli. Da soli non possiamo farcela. Per questo è di grande significato la volontà manifestata dall'Internazionale Socialista di voler giocare un ruolo da protagonista nella costruzione di una pace giusta, duratura; una pace fondata sulla legalità internazionale, le risoluzioni Onu e sul principio di due popoli e due Stati. Una pace tra pari». A parlare è Kadura Fares, leader di Al Fatah in Cisgiordania. Sul vertice di Washington tra Abu Mazen e George W.Bush, Fares afferma : «Agli Usa chiediamo di essere mediatori super partes, il che significa non avallare l'unilateralismo di Sharon».
Il Consiglio dell'Internazionale Socialista riunitosi per la prima volta in Israele e nei Territori ha rilanciato l'impegno dell'Is per il rilancio del processo di pace israelo-palestinese. Da cosa partire per concretizzare questo impegno?.
«Dal ritiro israeliano da Gaza. Sharon lo intende come un atto unilaterale. Inoltre, le modalità del ritiro, così come delineate da Israele, fanno sì che la Striscia di Gaza rimanga sostanzialmente quel che oggi è: una grande prigione a cielo aperto, isolata dal mondo. Israele manterrebbe il controllo totale dei confini, dell'acqua, del cielo. La dipendenza palestinese sarebbe totale. Per questo ritengo importante che dal Consiglio dell'Internazionale Socialista sia emersa una proposta che ricolloca il ritiro da Gaza in una strategia di pace globale fondata sul negoziato tra le parti. Di grande importanza, inoltre, è la presa di posizione dell'Is contro la realizzazione da parte israeliana di nuovi insediamenti e la costruzione del Muro Ogni atto unilaterale tende a indebolire ogni prospettiva di pace. L'alternativa al dialogo non è il mantenimento dello status quo ma una stagione di violenze».
Dal Consiglio dell'Is al vertice di Washington tra Abu Mazen e George W.Bush. Cosa si attendono i palestinesi dal capo della Casa Bianca?
«Che gli Stati Uniti facciano pressioni su Israele per accelerare il coordinamento del ritiro da Gaza, specie per ciò che concerne il trasferimento del controllo degli insediamenti alle forze di sicurezza dell'Anp dopo il ritiro. Ciò che ci attendiamo dagli Usa è che garantiscano che il ritiro israeliano da Gaza e dal nord della Cisgiordania non sia la fine ma l'inizio di un percorso di pace che porti alla piena attuazione della Road Map e all'avvio di un negoziato per un accordo globale da tenersi sotto l'egida del Quartetto. Al ritiro da Gaza non può far da contraltare, come nei fatti sta avvenendo, l'ampliamento degli insediamenti ebraici in Cisgiordania e il proseguimento della costruzione del Muro. La soluzione di due Stati presuppone uno Stato palestinese indipendente, pienamente sovrano su tutto il proprio territorio nazionale, senza enclavi israeliane all'interno, con Gerusalemme Est come sua capitale. Ciò che si sta configurando sul terreno è invece una sorta di simulacro di Stato. A Bush chiediamo di essere un mediatore super partes, non avallando la logica unilateralista di Sharon».
Israele teme che il ritiro da Gaza avvenga sotto i colpi di mortaio e gli attacchi di Hamas.
«Siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità e a far sì che il ritiro avvenga nella sicurezza. Ma Israele deve accettare di coordinarsi con l'Anp, sul campo e a un tavolo negoziale».
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