IL RIFORMISTA di martedì 24 amggio 2005 pubblica un articolo di Paola Caridi sulla riunione dell'Internazionale socialista a Tel Aviv e Ramallah, che ha evidenziato anche il dibattito interno alla sinistra israeliana.
Ecco il testo:Lo sapevano tutti, sin dall’inizio. L’inedita riunione mediorientale del consiglio generale dell’Internazionale socialista, che ha aperto i battenti ieri, doveva essere rigorosamente declinata al duale. Due i luoghi dell’incontro, ieri a Tel Aviv e oggi a Ramallah, per cortesia sostanziale verso gli ospiti israeliani e palestinesi. Due, anche, le anime storiche del socialismo europeo sulla questione del conflitto israelo-palestinese che ora hanno differenze molto più sfumate, quasi impercettibili.
Nessuno, però, s’aspettava di dover declinare al duale anche la sinistra israeliana. O perlomeno, nessuno s’aspettava di assistere a un confronto così duro tra i due protagonisti dell’Israeli Left. Il vecchio Shimon Peres da una parte, forte della sua consuetudine pluridecennale con i leader socialisti del vecchio continente, contrapposto al "giovane" Yossi Beilin, ben conosciuto anche lui al pubblico avvertito europeo, almeno da Oslo. Il patriarca del laburismo israeliano, alla vigilia di una dura battaglia dentro il suo partito per confermare o meno la sua leadership, contrapposto alla figura più conosciuta del giovane partito Yahad, forte dei suoi legami con la sinistra non tradizionale.
Sono stati loro i protagonisti di un inedito botta e risposta che ha descritto con dovizia di particolari le diverse scuole di pensiero che albergano nella sinistra israeliana. Da un lato Peres, alleato di Ariel Sharon nel governo di unità nazionale, ha difeso la linea del «Gaza first, poi vediamo». Rinviando la questione della soluzione globale del conflitto alla situazione che si verrà a creare dopo il disimpegno dalla Striscia. Dall’altro lato, Yossi Beilin, difensore a sua volta della linea espressa dall’intesa di Ginevra siglata con Yasser Abed Rabbo. Beilin ha perorato ancora una volta la sua tesi: Gaza è solo una piccola parte della storia prossima ventura, l’importante è impostare subito il negoziato sullo status globale. Senza adagiarsi sull’idea che si possa, com’era successo con Oslo, procedere a tappe.
Posizioni distanti, e proposte con la solita nettezza che contraddistingue la politica israeliana. Posizioni che si sono affrontate in un inedito secondo tempo, con la richiesta del diritto di replica sia da parte di Peres, sia - di conseguenza - da parte di Beilin. Se la sinistra europea avesse voluto avere conforto per compattare definitivamente le proprie posizioni, ebbene, la sinistra israeliana ieri non gliele ha offerte.
Né rischia di andare meglio a Ramallah, dove i delegati dell’Internazionale socialista si sono trasferiti dopo un incontro con il presidente dello Stato di Israele Moshe Katzav, che ha sì elogiato le qualità di Mahmoud Abbas, ricordando però qual è la posizione del suo paese. Nessuna pace possibile se non si controlla la sicurezza. A Ramallah, dove i delegati dell’Is sono riusciti a incontrare Abu Mazen prima che partisse per gli Stati Uniti, la sinistra europea è ospite di Fatah, partito membro storico dell’Internazionale socialista. Anche Fatah, però, è in una fase decisamente delicata, a poco più di due mesi dal primo congresso senza Yasser Arafat. Un congresso in agenda per l’inizio di agosto, e dunque dopo i risultati elettorali delle legislative di luglio. Sempre che, ed è oggi più che mai improbabile, si riesca a mantenere l’impegno di tenere le consultazioni il 17 luglio, che ieri la Commissione elettorale palestinese ha formalmente considerato impossibile dal punto di vista logistico.
I socialisti europei, insomma, si sono trovati a definire la propria politica mediorientale in una vigilia confusa com’è quella che sta precedendo l’estate di Gaza. E che l’equilibrio sia sempre più difficile, lo si è avvertito anche nella richiesta di Piero Fassino a israeliani e palestinesi, di non perdere questa «opportunità» per raggiungere una pace possibile. Una pace che, secondo il segretario dei Ds (presente con Massimo D’Alema assieme a Ugo Intini e Roberto Villetti dello Sdi) è legata a un assioma di base: che «non c’è un torto e una ragione, ma ci sono due ragioni». Una, quella degli israeliani, di «vivere il futuro senza aver paura dei propri vicini». L’altra, la ragione palestinese, di veder realizzato il «diritto di vivere in un proprio Stato». Quest’estate, Fassino dovrà dirlo anche ad Ariel Sharon, in questi giorni anche lui negli Usa, che ha confermato di voler incontrare in un tour mediorientale che toccherà, oltre a Israele e Territori palestinesi, anche Libano e Siria.
Un altro articolo del RIFORMISTA riguarda "un atto impensabile ai tempi di Arafat" (come recita l'occhiello): le sanzioni all'imam antisemita Mudayris e l'impegno dell'Anp a impedire la diffusione di sermoni razzisti dalla televisione che controlla.
Inquietante il commento giustificazionista del quotidiano palestinese Al Ayat Al Jadida, riportato dal RIFORMISTA senza la critica esplicita che avrebbe meritato.
Ecco il testo:«Mai più sermoni anti semiti alla tv palestinese». Parola di Nabil Sha’ath ministro dell’informazione del governo di Mahmud Abbas. Il 18 maggio rischia di diventare una data importante nell’estenuante processo di pace sempre in fieri tra palestinesi e israeliani. Infatti, nella colpevole ignoranza di quasi tutti i media mondiali si è celebrato un avvenimento che potrebbe essere definito storico: l’agenzia di stampa Palestinian news ha annunciato che il governo palestinese ha denunciato alla magistratura dei Territori le «insinuazioni religiose» che sono state proferite per due venerdì consecutivi nei sermoni televisivi dello sceicco Ibrahin Mudayris. Quello che incitava da tempo immemorabile «ogni buon musulmano» a sterminare «crociati ed ebrei». Per anni, specie ai tempi di Arafat, queste enormità venivano ignorate quando non apertamente incoraggiate. Ma adesso anche in casa palestinese, alla vigilia dell’agognato ritiro israeliano dalle colonie di Gaza, l’aria sta cambiando in maniera prima impensabile.
Se i magistrati cui si è rivolto il ministro delle comunicazioni palestinese dovessero ravvisare in queste parole un «travisamento geo politico delle parole del Corano e degli hadith» per inculcare «odio antigiudaico» tra la gente, lo sceicco anti semita rischia la galera. Alla radio, il ministro Nabil Sha’ath è andato oltre: se lo sceicco non chiederà scusa agli ebrei, intimerà alla tv palestinese di eliminare dal palinsesto il programma. Inoltre, verrà dato ordine ai responsabili internet dell’Autorità nazionale palestinese di oscurare immediatamente dal sito Al Nakba (la nakba è il giorno della disgrazia, cioè quello della nascita dello stato d’Israele, ndr) i link antisemiti ispirati dalle tematiche islamiche estremiste, compreso quello alla nuova edizione in arabo de I protocolli dei savi di Sion recentemente edito in Siria e in Libano.
Nabil Sha’ath, a sua volta, ha chiesto scusa a tutti gli ebrei del mondo per questi sermoni antisemiti e per la propaganda mediatica che da anni in Palestina sembra avere porto franco. «Questo sermone per noi rappresenta un vero e proprio attentato, un modo per distogliere l’attenzione verso la lotta del popolo palestinese di avere una patria, convogliandola su tematiche antisemite attraverso l’umiliazione di una religione monoteista come la nostra». Sha’ath ha anche dichiarato che «è impossibile e paradossale che una popolazione semitica si dimostri antisemita prendendosela con gli ebrei che non portano alcuna responsabilità per le scelte sbagliate dell’attuale governo di Israele».
Nel sermone di Mudayris si dava agli stessi ebrei la colpa dell’Olocausto perché «come in passato la storia dimostra si sono sempre resi protagonisti di intrighi nei paesi che li hanno ospitati». Il ministro della informazione palestinese nel proprio discorso radiofonico del 18 maggio ha invece ribadito che l’Olocausto fu colpa del mondo occidentale e che gli ebrei non hanno alcuna responsabilità per le persecuzioni di cui sono stati oggetto nei secoli. Alla Reuters, Nabil Sha’at ha aggiunto che adesso chiederà al ministro degli affari religiosi palestinese di rimuovere questo imam dal proprio incarico e di metterlo sotto processo, garantendo gli ebrei che non ci saranno più sermoni antisemiti in Palestina. Almeno non trasmessi in tv. Sha’ath si è anche preso l’impegno, parlando sempre con la Reuters, che presto episodi del genere contro gli ebrei saranno solo un triste e vecchio ricordo e che nessuno potrà più predicare in moschea né in tv l’odio anti-ebraico nei sermoni del venerdì.
Si ignorano sinora reazioni da parte della stampa ebraica a queste storiche e inedite dichiarazioni di un responsabile di governo dei palestinesi. L’unico commento riportato sinora è del columnist di Al Ayat al Jadida (La vita nuova), l’organo dell’Anp, che dà un colpo al cerchio e uno alla botte: «Lo sceicco rappresenta una cultura molto diffusa nel nostro paese e prima di tutto va sottolineato il fatto che le sue parole servono a spiegare che gli israeliani ci hanno rubato la terra, ciò detto però noi abbiamo il dovere di vigilare su queste scivolate di stile per evitare di essere attaccati su queste cose a scapito della nostra causa».
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