L'UNITA' di mercoledì 18 maggio 2005 pubblica una lettera di Marco Santambrogio, docente all'università di Parma, sullo squadrismo antiisraeliano nelle università italiane. Gli risponde Furio Colombo.
Si tratta di posizioni di condanna molto nette, che non possiamo che apprezzare.
Non siamo convinti, però, che sia corretto definire "fascisti", come fanno sia Santambrogio che Colombo, coloro che nelle università italiane vorrebbero con la loro violenza trasformare Israele in uno Stato paria.
La storia conosce altre intolleranze violente oltre a quella fascista e, di fatto, gli squadristi di Pisa, Firenze e Torino si definiscono comunisti.
A Torino, per "dimostrare" di non essere antisemiti hanno rivendicato la loro attività "antifascista", che consiste nel negare con l'intimidazione e la violenza il diritto di parola alla destra neo e post fascista all'interno dell'ateneo. Le azioni "antisioniste" sono per loro una prosecuzione di questa campagna di intolleranza.
La sinistra non può limitarsi, per capire e combattere l'odio patologico che una parte di essa nutre per Israele, a evocare gli spettri dei suoi nemici storici: deve guardare al proprio interno, al proprio "album di famiglia".
Incominciando dalla fonte primaria della demonizzazione e dell'odio: la capillare disinformazione sul conflitto mediorientale diffusa dai media e dagli intellettuali. Con in prima linea quelli "progressisti". UNITA' inclusa.
Di seguito, i testi di Santambrogio e Colombo:Senza libertà di parola non esiste né libertà né democrazia. Ma impedire a qualcuno con la forza di parlare all'interno dell'università, che esiste solo per promuovere il libero dibattito delle idee, è ancora più odioso. Come dimenticare che gli inizi del fascismo in Italia e del nazismo in Germania e in Austria sono stati segnati da quei gruppi di studenti che nelle università hanno tolto la parola agli oppositori?
Che siano o no antisemiti gli squadristi che hanno impedito di parlare ai rappresentanti dello stato di Israele a Firenze, a Pisa, a Torino, o solo critici dell'attuale governo israeliano, è in fondo secondario. Quello che è certo è che sono nella sostanza fascisti e nazisti, anche se si dichiarano di sinistra.
Le autorità accademiche e i professori universitari non devono affannarsi, come il professor Pelizzetti, ad assicurarci che "nessuno dei 2.200 professori e delle 70mila persone che studiano o lavorano nell'ateneo (di Torino) nutre sentimenti antisemiti". (Incidentalmente, come lo sa?) Devono difendere la libertà di parola nelle proprie istituzioni e così difendere la libertà di tutti noi.
Marco Santambrogio
(Università di Parma)
La lettera di Marco Santambrogio - che ringrazio di avere scritto a l’Unità , perché permette a l’Unità di prendere una posizione chiara sull’odiosa questione - mi ha ricordato una delle immagini più paurose dei film dello spazio: l’astronauta che esplora il vuoto trattenuto alla navicella da un filo d’acciaio. Ma il filo si spezza e l’astronauta viene risucchiato nel vuoto, perdendo per sempre ogni traccia o legame con la navicella, con il suo equipaggio, con la civiltà da cui proviene. È ciò che accade a chi, proclamandosi di sinistra, impedisce la presenza e la parola di rappresentanti di uno Stato, Israele, che esiste perché la sinistra, insieme al resto del mondo libero, ha versato un immenso contributo di sangue per cancellare il fascismo e il nazismo, ha lottato per impedire lo sterminio. Per fortuna ha vinto e ha aperto i cancelli dei campi di sterminio. Come sappiamo post fascisti e post nazisti vogliono dimenticare quei campi, quel progetto di massacro che gli eserciti alleati e le lotte di liberazione hanno fermato. Se i fascisti avessero vinto quei campi ci sarebbero stati per sempre e non ci sarebbe stata né la questione palestinese (e il diritto di un popolo ad avere il suo Stato) né un diplomatico israeliano che viene in Italia a spiegare il senso di Israele.
Rompere il legame fra l’esistenza (e il diritto di sopravvivere) di Israele e la liberazione d’Europa, da cui è nato un mondo di diritti, di rispetto, di libertà, è come spezzare la corda dell’astronauta.
Impedire la parola a chiunque è un atto odioso. Impedire la parola a un rappresentante di Israele per non voler sentire le sue ragioni è un atto fascista, è come aver perso quella guerra di libertà che celebriamo (e molti non vogliono celebrare) ogni 25 aprile. Vuol dire mettersi dalla parte di chi vuole cancellare quella data.
Non c’è niente di sinistra nel far tacere una voce di Israele. C’è, che si voglia o no, che si sappia o no, una consonanza col fascismo. Una voce di Israele è una voce che il fascismo ha voluto impedire con tutti i mezzi, le leggi, la violenza, la discriminazione, la razzia, l’umiliazione, la cancellazione dell’identità, lo sterminio.
Il problema non è confrontare Israele con la Palestina (la cui voce nessuno di noi vorrebbe isolare o far tacere) o con aspetti della politica di un governo israeliano. Il problema è fra Israele e l’Italia. L’Italia (quel che era il Parlamento italiano) ha votato all’unanimità le leggi razziali che hanno aperto la strada verso lo sterminio, l’Italia, col suo regime, il suo re, il silenzio ufficiale della Chiesa, la distrazione colpevole di intellettuali noti nel mondo, la partecipazione di molti italiani che hanno indicato, denunciato, collaborato, ha nella tragedia razziale voluta dal fascismo una responsabilità immensa. Può qualcuno che crede di essere di sinistra zittire voci che vengono da quel passato? Può un italiano che si riconosce in coloro che hanno combattuto per la libertà?
Tutto ciò è incomprensibile perché avviene proprio nei luoghi (le università) e nelle occasioni in cui la persona costretta a tacere sta per parlare, cioè per far sapere le sue ragioni. Impedire quelle ragioni, reprimerle, mostrare disprezzo e imporre il silenzio è un atto fascista. Impedire oggi vuol dire mai. Mai vuol dire fascismo. L’identificazione con ciò che è accaduto nel passato appare netta e rende impossibile ogni altra definizione. Poi c’è l’iniziativa di molti di troncare ogni rapporto culturale e scientifico con le università israeliane, che - in quel Paese come in ogni altra democrazia - sono i luoghi del pensare libero e diverso, il più delle volte delle ragioni e della opposizione politica. Comunque sia motivato quel blocco è un gesto, oltre che odioso e liberticida, anche stupido e incomprensibile. Ignora iniziative di pace che hanno spesso avuto per co-protagonista o figura avanzata l’intellettuale, la cultura, il mondo universitario. Offende la moltitudine di intellettuali palestinesi che si ostinano a mantenere un filo di legame con Israele attraverso la cultura, i campus, i centri di studio di Israele. Condanna gli uni e gli altri alla sola opzione di combattersi per sempre in un mare infinito di odio.
Niente mi appare più lontano, più profondamente incompatibile con quella sinistra che ha offerto sangue e vite alla distruzione del fascismo e alla liberazione d’Europa.
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