Ma l'America non può essere innocente
di fronte alla ritrattazione di Newsweek qualcuno non si fida e rilancia
Testata:
Data: 17/05/2005
Pagina: 25
Autore: Robert Fisk - Roberto Rezza - Alberto Flores d'Arcais
Titolo: La cultura dell’oscenità - Corano profanato, Newsweek ritratta per placare Bush -
Qualcuno, nel giornalismo anglosassone e in quello italiano, non si lascia minimimamente impressionare dal caso Newsweek.
Le accuse contro gli Stati Uniti sono vere a priori, gli islamisti rilasciati da Guantanamo o da Bagram (in Afghanistan) forniscono "prove convincenti" delle loro accuse. Il giornalista si tiene poi per sé le prove, e comunica a noi le veridiche accuse islamiste, incentrate su sodomizzazioni, interrogatori condotti da donne discinte, imbrattamenti con finto sangue mestruale: un completo repertorio di fantasie pornografiche, e di completa idiozia politica, nella remota eventualità che le accuse corrispondessero al vero.

L'interesse del fronte jihadista a diffondere simili storie è evidente. Le terribili conseguenze che ne potrebbero derivare anche.
Ma nel giornalismo "progressista" non c’è posto per il dubbio.

Ecco un testo esemplare di Robert Fisk, pibblicato su The Indipendent e prontamente ripreso da L'UNITA' di martedì 17 maggio 2005:

A due anni dall’annuncio di "missione compiuta", il patrimonio morale che gli Stati Uniti potevano rivendicare alla fine dell’invasione dell’Iraq è stato da tempo dissipato a seguito delle torture, dei maltrattamenti e delle morti ad Abu Ghraib. Che il simbolo della brutalità di Saddam sia stato trasformato dai suoi nemici nel simbolo della loro brutalità è l’epitaffio quanto mai ironico dell’intera avventura irachena. Siamo stati tutti contaminati dalla crudeltà degli addetti agli interrogatori, delle guardie e dei comandanti della prigione.
Ma la questione non riguarda solamente Abu Ghraib. Ci sono ormai chiare e provate correlazioni tra i maltrattamenti di Abu Ghraib e le crudeltà nella prigione americana di Bagram in Afghanistan e a Guantanamo Bay. Stranamente il generale Janis Karpisnki, il solo ufficiale alto in grado americano finito sul banco degli imputati per i fatti di Abu Ghraib, ha ammesso in un colloquio avuto con me quando avevo visitato la prigione, che un anno prima era stata a Guantanamo Bay, ma che ad Abu Ghraib non le era permesso di assistere agli interrogatori – la qual cosa è molto strana.
Una notevole quantità di prove è stata ormai raccolta sul sistema creato dagli americani per maltrattare e torturare i prigionieri. Ho avuto modo di parlare con un palestinese che mi ha fornito convincenti prove di violenze anali subite mediante l’impiego di bastoni di legno a Bagram – ad opera degli americani, non degli afgani.
Molte delle storie che filtrano da Guantanamo – le umiliazioni sessuali dei prigionieri musulmani, il fatto che vengono incatenati alle sedie sulle quali urinano e defecano, l’uso della pornografia per far sentire i prigionieri musulmani impuri, le donne che interrogano i prigionieri succintamente vestite (o, come accaduto in un caso, che hanno finto di spalmare il sangue mestruale sul viso di un prigioniero) – sono sempre più confortate da prove certe. Gli iracheni con i quali ho parlato per molte ore, riferiscono con candore delle tremende percosse subite ad opera degli addetti agli interrogatori sia militari che civili non solo ad Abu Ghraib, ma in numerose basi americane in altre zone dell’Iraq.
Nel campo americano fuori Falluja i prigionieri vengono percossi con bottiglie di plastica piene che si rompono procurando lacerazioni alla pelle. Ad Abu Ghraib sono stati impiegati i cani per spaventare e mordere i prigionieri.
Come si è fatta strada nella "guerra al terrorismo" dell’America questa cultura dell’oscenità? Questa ingiustizia istituzionalizzata di cui siamo stati testimoni in tutto il mondo, gli orrendi "trasferimenti" con i quali gli americani spediscono i prigionieri in altri paesi nei quali possono essere bruciati, sottoposti alla tortura con le scosse elettriche o, come in Uzbekistan, rosolati vivi nel grasso? Come ha scritto Bob Herbert sul New York Times, ciò che apparve sconvolgente quando fecero la loro apparizione le prime foto di Abu Ghraib è oggi routine, tipica degli abusi che hanno "permeato le operazioni dell’amministrazione Bush".
Amnesty International, in un agghiacciante documento di 200 pagine pubblicato nel mese di ottobre, ha ricostruito il percorso mediante il quale i promemoria del ministro della Difesa Donald Rumsfeld hanno contribuito a creare il sistema di interrogatorio dei prigionieri e il modo in cui con linguaggio ambiguo sono state autorizzate le torture. Nell’agosto del 2002, ad esempio, a pochi mesi dal famoso discorso di Bush sotto lo striscione sul quale era scritto "missione compiuta", un rapporto del Pentagono affermava che "al fine di rispettare l’implicita autorità del presidente di gestire una campagna militare, (...le leggi americane che vietano la tortura...) debbono essere considerate inapplicabili agli interrogatori effettuati in conformità dell’autorità del Comandante in capo". Cosa altro può voler dire tutto questo se non l’autorizzazione alla tortura da parte di Bush?
Un rapporto del Pentagono del 2004 impiega parole volte a consentire agli addetti agli interrogatori di fare ricorso alla crudeltà senza timore di subire pesanti conseguenze in sede giudiziaria: "anche se l’imputato sa che le sue azioni procureranno fortissimi dolori, se causare questi dolori non è il suo obiettivo viene a mancare la richiesta, specifica intenzionalità (...per essere considerato colpevole di torture...) anche nel caso in cui l’imputato non abbia agito in buona fede".
L’uomo responsabile di aver direttamente istituzionalizzato ad Abu Ghraib la pratica di interrogatori crudeli è stato il generale di divisione Geoffrey Miller, il comandante di Guantanamo trasferito ad Abu Ghraib per "guantanamizzare la prigione". Immediatamente si moltiplicarono i casi in cui i prigionieri venivano incatenati in maniera tale da causare forti dolori o venivano costretti con la forza a spogliarsi. Il rapporto del generale di divisione Miller susseguente alla sua visita del 2003, parlava dell’esigenza di impiegare ad Abu Ghraib guardie carcerarie tali da "determinare le condizioni per interrogatori produttivi e per lo sfruttamento degli internati/detenuti". Secondo il generale Karpinski, il generale di divisione Miller disse che i prigionieri "sono come cani e se gli si consente di pensare che sono qualcosa più di un cane si finisce per perdere il loro controllo".
La serie di prigioni sparse oggi in tutto l’Iraq sono il simbolo vergognoso non solamente della nostra crudeltà, ma anche della nostra incapacità di creare le circostanze in cui un nuovo Iraq potrebbe prendere forma. Si possono tenere consultazioni elettorali e si può dare vita ad un nuovo governo, ma se si consente la diffusione di questo morbo militare, l’intero scopo della democrazia ne risulta falsato. Il "nuovo" Iraq imparerà da queste prigioni come si debbono trattare i prigionieri e, inevitabilmente, i "nuovi" iracheni assumeranno il controllo di Abu Ghraib restituendola alla condizione che la caratterizzava sotto Saddam e allora lo scopo dell’invasione (quanto meno secondo la versione ufficiale) sarà vanificato.
Con una insurrezione che diventa sempre più feroce e incontrollabile, salta agli occhi il vuoto delle ridicole vanterie di Bush. Sembra proprio che la vera missione fosse quella di istituzionalizzare la crudeltà degli eserciti occidentali macchiando per sempre il nostro onore con le degenerazioni di Abu Ghraib, Guantanamo e Bagram – per non parlare delle prigioni segrete che nemmeno la Croce Rossa può visitare e dove nessuno sa quali bassezze si consumano. Quale è, mi chiedo, la nostra prossima "missione"?
Roberto Rezzo a pagina 2 de L'UNITA' firma un articolo dall'incredibile titolo "Corano profanato, Newsweek ritratta per placare Bush".
La smentita di Newsweek non conta nulla, anzi, è un ulteriore capo d'accusa contro l'amministrazione Bush. Del resto: "Le accuse su episodi di vilipendio della religione come pratica per umiliare i prigionieri a Guantanamo circolano da quando la Croce Rossa e altre organizzazioni internazionali hanno messo piede nel campo di detenzione militare": cioè da quando i militanti jihadisti hanno incominciato a parlare con tali organizzazioni.
Rezza può escludere che abbiano sfruttato questa possibilità per diffondere propaganda?
Certo che può, ma sulla base dei suoi pregiudizi ideologici, non dei fatti.

Ecco l'articolo:

Alla Casa Bianca le scuse del settimanale Newsweek non bastano. L'ultima uscita del portavoce presidenziale dice in sostanza che qualche testa deve cadere. "Siamo allibiti. Newsweek ammette di aver distorto i fatti, ma si rifiuta di rettificare l'articolo - ha dichiarato ieri mattina Scott McClellan - è stata infangata l'immagine dell'America di fronte al mondo, innocenti hanno perso la vita. Ci aspettiamo dai media un minimo standard professionale. Questa volta siamo convinti che non sia stato rispettatato". Sotto un tale fuoco di fila, il settimanale è stato costretto a una capitolazione: si rimangerà tutto quello che ha scritto. Lo ha annunciato Mark Whitaker, direttore di Newsweek, promettendo anche un'inchiesta interna alla redazione.
I fatti risalgono al 9 maggio scorso, quando Newsweek pubblica una testimonianza secondo la quale nel lager di Guantanamo - per umiliare i prigionieri - venivano buttate nel cesso le pagine del Corano. La notizia ripresa dalla stampa locale, ha scatenato in Afghanistan manifestazioni di protesta contro l'America degenerate in episodi di violenza costati la vita ad almeno 16 persone. Centinaia i feriti in Indonesia, Pakistan e Gaza. Whitaker aveva pubblicato già domenica non solo le scuse ma anche dettagliate spiegazioni. "Le informazioni provenivano da un'affidabile fonte del governo americano e prima di pubblicare la storia abbiamo contattato due diversi funzionari al dipartimento alla Difesa per sentire la loro opinione in merito. Uno si è rifiutato di rispondere. L'altro ha contestato un particolare della storia, ma non quello che si riferiva al sacrilegio del Corano". Ed è accaduto che la fonte di Newsweek abbia ritrattato. "Ci rammarichiamo che nel nostro servizio fosse presente un'inesattezza - conclude Whitaker - Il nostro cordoglio e la nostra solidarietà alle vittime della violenza e ai militari americani che ci sono andati di mezzo".
Il Pentagono ha definito il settimanale "irresponsabile" e pretende rettifiche draconiane. "L'articolo era dimostrabilmente falso - assicura il portavoce Bryan Whitman - ha avuto conseguenze devastanti in tutto il mondo musulmano". Il problema è che più che di rettifiche ci sarebbe bisogno di spiegazioni. Innanzi tutto da parte del governo. Le accuse su episodi di vilipendio della religione come pratica per umiliare i prigionieri a Guantanamo circolano da quando la Croce Rossa e altre organizzazioni internazionali hanno messo piede nel campo di detenzione militare.
Tom Rosenstiel, direttore del Project for Excellence in Journalism, commenta: "È imperativo per qualsiasi mezzo d'informazione trattare le proprie fonti con il dovuto scetticismo. Non mi sembra comunque che per questo singolo incidente la credibilità di Newsweek possa essere considerata a repentaglio". Il commento che circola nelle redazioni dei giornali americani è che i "colleghi di Newsweek ci sono cascati perché la storia era proprio verosimile".
L'accanimento della Casa Bianca si spiega facilmente: screditare tutte le accuse sul trattamento riservato ai "combattenti nemici" rinchiusi a Guantanamo. Lasciar credere all'opinione pubblica che son tutte invenzioni dei media irresponsabili. "Siamo di fronte a un articolo basato su una singola fonte che alla fine non conferma quello che ha detto", s'infiamma McClellan. Il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld fa dire ai suoi che "tutte le accuse su episodi di vilipendio della religione musulmana a Guantanamo si sono rivelate prive di fondamento". Le organizzazioni che si battono per la difesa dei diritti umani si son viste negare dal Pentagono l'accesso a ogni tipo di documentazione relativa alle indagini. Stephen Hadley, che ha preso il posto di Condoleezza Rice come consigliere di Bush per la sicurezza, minaccia: "Chi ha dichiarato il falso dovrà pagare".
Se L'UNITA'ha Robert Fisk e l'ottimo allievo Rezza, LA REPUBBLICA ha Alberto Flores d'Arcais, solerte intervistatore di Seymour Hersh, aperto teorico degli scoop falsi, purché comunicati a voce e non per iscritto.

A voce, Hersh è disposto a suggerire apertamente che la ritrattazione di Newsweek dipenda da minacce provenienti dall'amministrazione. Ovviamente senza prova alcuna.

Ecco il testo:

«Newsweek? La prima cosa che mi viene in mente è che mi piacerebbe molto leggere gli scambi di e-mail che ci sono stati in questa ultima settimana tra l´amministrazione e la direzione di quel giornale».
Seymour Hersh è un giornalista scomodo. Premio Pulitzer per i suoi articoli durante la guerra in Vietnam, feroce critico della guerra in Iraq, non è mai stato tenero con l´amministrazione Bush ma neanche con molti giornali e giornalisti, a suo parere troppo embedded.
Vuole dire che ci sono state pressioni?
«Non lo so. Dico solo che sarebbe molto interessante sapere che cosa si sono detti il giornale e l´amministrazione dopo la pubblicazione di quell´articolo».
Newsweek però ha ammesso l´errore.
«Conosco bene l´autore dell´articolo. Michael Isikoff è uno dei giornalisti più seri e preparati. E poi Newsweek, ha ammesso un errore ma non ha negato il contenuto dell´articolo. Del resto che a Guantanamo o nelle altre carceri americane in giro per il mondo ci sia poco rispetto per la religione islamica è un fatto noto».
È a conoscenza di fatti come quello del Corano?
«Di casi simili, non necessariamente uguali ma altrettanto spiacevoli per chi è un fedele di quella religione, ne sono accaduti diversi negli ultimi due anni. Lo sanno tutti, ci sono testimonianze e basta che lei si rivolga ad organizzazioni come Human Rights Watch che ne potrà sapere quanti ne vuole, anche nei dettagli».
Dopo Abu Ghraib il Pentagono ha stabilito nuove regole, proprio per evitare casi simili. Non funzionano?
«No, io credo che tra chi si occupa delle prigioni e dei prigionieri, soprattutto tra chi fa direttamente gli interrogatori, non ci sia affatto l´attenzione che ci dovrebbe essere a non insultare o ferire il sentimento religioso dei musulmani».
Resta l´errore di Newsweek. Non pensa che la stampa americana sia da oggi meno credibile?
«La stampa americana è già in diversi casi poco credibile, soprattutto quando si parla di problemi e situazioni come l´Iraq e l´Afghanistan. Se lei guarda quello che ha scritto su questa vicenda il New York Times se ne renderà conto. C´è qualcosa di sbagliato nel rapporto tra i giornali e le fonti dell´amministrazione».
Newsweek ha ammesso l´errore ma non ha negato la sostanza dell´articolo. Adesso cosa succederà?
«Questa storia non è finita qui. Se io fossi un giornalista di Newsweek andrei a fondo in tutta questa vicenda, perché ci sono ancora punti poco chiari. Sono convinto che nelle prossime settimane o nei prossimi mesi ne vedremo ancora delle belle. Ci saranno delle novità. E poi anche gli altri giornali dovrebbero avere tutto l´interesse a scavare nella vicenda».
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