IL FOGLIO di mercoledì 11 maggio 2005 pubblica in prima pagina un articolo sulla legge elettorale truffa adottata in Egitto.
Ecco il testo:Ieri il Parlamento egiziano ha approvato l’emendamento dell’articolo 76 della Costituzione, cioè la norma che dovrebbe permettere le prime presidenziali con più di un candidato, previste per settembre. Fra due settimane la popolazione esprimerà il proprio parere sulla riforma con un referendum. In febbraio, il rais Hosni Mubarak aveva detto che avrebbe cambiato la Carta fondamentale. Nonostante siano in molti a pensare che con quest’annuncio sia stata aperta una porta, impossibile da richiudere, alle riforme, l’emendamento, pubblicato dall’Ahram, è definito dall’opposizione "cosmetico". La bozza dice che perché una candidatura sia valida almeno 300 membri del Parlamento e dei consigli locali, controllati per la maggioranza dal Pnd, il partito del rais, devono appoggiare l’aspirante presidente. Per proporre un candidato un gruppo deve esistere da almeno cinque anni (è fuori quindi al Ghad, del leader dell’opposizione Ayman Nour) e deve avere più del 5 per cento di rappresentanza in Parlamento. Nessun partito, oltre al Pnd, ha queste caratteristiche, sicuramente non i Fratelli musulmani, altro grande fronte dell’opposizione antigovernativa. Il voto sarà monitorato da una commissione presidenziale composta da dieci membri, tra cui cinque giudici.
Sulla prima pagina dell'inserto un articolo di Fausto Biloslavo sul rapporto tra i contrasti interni alla comunità sunnita irachena e l'ultima ondata di attacchi terroristici.
Ecco il testo:Ieri mattina, un doppio attentato suicida ha scosso il centro di Baghdad, uccidendo dodici persone e ferendone venti, mentre ancora rimangono ignote le condizioni di un ostaggio giapponese, il cui rapimento è stato rivendicato ieri dalle milizie Ansar al Sunna. Dall’annuncio della formazione del nuovo governo iracheno, il 28 aprile scorso, sono morte 231 persone e altre 270 risultano ferite in attentati e imboscate. Gran parte delle vittime sono poliziotti e militari iracheni a dimostrazione del fatto che la sanguinosa impennata della violenza punta a colpire soprattutto le fragili istituzioni del nuovo Iraq. In particolare, in questi ultimi mesi, il numero di autobombe esplose si è ulteriormente intensificato (64 a febbraio e 135 ad aprile). Solitamente questi attentati vengono portati a termine da terroristi suicidi provenienti da altri Stati arabi, che partecipano alla cosiddetta "guerra santa" internazionale.
Gli attacchi sono aumentati per minare, ancor prima dell’insediamento, il primo governo a maggioranza sciita della storia dell’Iraq. Non solo: le frange straniere e stragiste della nebulosa in armi contro gli americani stanno guidando l’offensiva del terrore, mentre le formazioni filo Saddam o nazionaliste rimangono alla finestra in attesa di possibili trattative con il nuovo governo. Questa situazione sta provocando scontri sul terreno fra miliziani delle tribù sunnite, favorevoli al compromesso, e le bande dominate dagli stranieri, come il ricercato numero uno, Abu Musab al Zarqawi. Grande offensiva al confine con la Siria Nonostante il fiume di sangue versato negli ultimi giorni, i gruppi terroristici hanno subito, negli ultimi quattro mesi, una costante pressione da parte non solo degli americani, ma anche dalle unità più addestrate delle nuove forze di sicurezza irachene. Una di queste, la brigata al Thib, ha assestato duri colpi alla rete del terrore a Mosul e ora sta operando nella capitale. Il quotidiano americano Washington Post ha rivelato che il comando statunitense ha ridispiegato forze di terra e unità d’intelligence nell’Iraq nord occidentale, per bloccare le infiltrazioni dei volontari del jihad dalla Siria, oltre a concentrare i maggiori sforzi nell’individuazione di chi fabbrica bombe e organizza attentati suicidi. In questi giorni, è in atto una vasta offensiva guidata dagli Stati Uniti a ridosso del confine "colabrodo" con la Siria, per tagliare i ponti a una delle principali vie di infiltrazione dei terroristi. Dopo le elezioni del 30 gennaio, gli ex baathisti sembrano, invece, aver fatto parzialmente marcia indietro, probabilmente in attesa di esplorare le varie possibilità
d’intese politiche con il nuovo governo. Al Zarqawi e i gruppi più estremisti si stanno rendendo conto del pericolo di rimanere isolati e hanno pertanto alzato il livello dello scontro. La novità è che miliziani di alcune tribù sunnite, che comunque non amano la presenza americana, si sono scontrati, armi in pugno, con le bande di stranieri provenienti dalla Siria. Lo ha confermato due giorni fa l’ex generale Wafiq Al Samaray, consigliere per la sicurezza del presidente iracheno, Jalal Talabani, aggiungendo che si tratta "di un segnale positivo da parte di queste tribù, nell’ottica di una futura partecipazione alla vita politica del paese". Il problema di fondo è che i sunniti sono profondamente divisi sull’approccio da adottare con il nuovo governo, mentre le
frange terroristiche sperano di far saltare il gioco a suon di bombe. La stessa nomina dei sei ministri sunniti dell’esecutivo si è peraltro trascinata così a lungo, non per i veti degli sciiti, ma per le divisioni nel mondo sunnita. Ogni gruppo, dal Consiglio centrale delle tribù irachene al Partito islamico, fino agli ulema, nega all’altro di rappresentare la comunità. Le fazioni di Tikrit, città natale di Saddam, andavano infatti a trattare con il presidente Jalal Talabani, nello stesso momento in cui i capi tribù di Ramadi e delle zone vicine, altro epicentro della guerriglia, esercitavano pressioni su Ahmed Chalabi, attuale vice premier ed eminenza grigia del governo. Le richieste sunnite più dure riguardano l’annullamento della legge che colpisce gli iscritti al partito Baath, il reintegro nelle forze armate di parte degli ufficiali deposti del vecchio regime, una sorta di riconoscimento della parte moderata e nazionale della guerriglia, con relativa amnistia per i suoi esponenti. Le trattative andranno avanti a lungo, ma nel frattempo i terroristi
continuano a minare qualsiasi compromesso che possa far raggiungere un vero
consenso fra sciiti e sunniti. In particolare, il neo vice premier sunnita, Abd Mutlaq al Giubury, e il responsabile della Difesa, Sadoon Farhan Al Dulaimya, stanno lavorando per trovare un accordo fra le due parti. Il primo è un ex generale di divisione dell’esercito iracheno, nato a Kirkuk e sbattuto per cinque anni in carcere da Saddam. Il secondo è originario di Ramadi ed era stato condannato a morte dal Rais per aver aderito all’opposizione clandestina fin dagli anni novanta. Dulaimya fa parte di una delle più influenti tribù sunnite del paese e dopo la caduta di Saddam aveva diretto il nuovo Centro di ricerca e studi strategici di Baghdad pubblicando, lo scorso anno, i sondaggi che segnalavano l’aumento dell’insoddisfazione degli iracheni nei confronti dell’occupazione americana.
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