L'antisionismo è antisemitismo: occorre capirlo per evitare il ripetersi di episodi che degradano le università
lettera aperta di Giorgio Israel al Rettore dell'Università di Torino
Testata:
Data: 10/05/2005
Pagina: 1
Autore: Giorgio Israel
Titolo: L'antisionismo è antisemitismo: occorre capirlo per evitare il ripetersi di episodi che degradano le università
Pubblichiamo una lettera aperta inviata oggi, 10 maggio 2005, da Giorgio Israel al rettore dell'Università di Torino:
Egregio Rettore,

con la stessa franchezza con cui ho criticato sul Corriere della Sera
e su Il Foglio di oggi l'insufficiente reazione delle autorità
accademiche ai fatti gravi di antisionismo-antisemitismo avvenuti
negli ultimi mesi, desidero esprimere il mio apprezzamento per la sua
dichiarazione riportata da La Stampa in cui "si invitano studenti,
docenti e personale alla massima vigilanza perché non abbiano a
verificarsi atti che a qualunque titolo e in qualunque forma si
possano ricondurre a culture dell'intolleranza che non possono avere
né sede né alimento nelle aule e nei palazzi universitari".
E' questo precisamente il punto su cui ci si attendeva e ci si attende
questo genere di chiarezza: poiché nel momento in cui l'università
dovesse perdere la sua caratteristica di luogo in cui si confrontano
liberamente e civilmente le idee, la sua funzione sarebbe finita e si
aprirebbe un grave rischio per tutta la società - non soltanto per un
gruppo particolare. Quando una donna israeliana e una donna
palestinese che dialogano proficuamente riescono a farlo in tante
sedi, mentre nell'Università di Bologna il loro incontro viene
annullato per ragioni di prudenza, siamo di fronte a un segnale che
non può essere sottovalutato.
Ho trovato molto triste che la risposta ai problemi da me sollevati
sia stata in alcuni casi sprezzante e simile a una scrollata di > spalle.
Si è parlato di gruppi sparuti, dimenticando che lo squadrismo è
sempre un fatto ultra-minoritario e che la sua forza può derivare
soltanto dal riuscire a imporre con la violenza la sua volontà.
Si è parlato di manifestazioni "vivaci" ed eccessive ma comunque di
espressioni di opinioni, come se urlare slogan fanatici e impedire di
fatto di parlare sia un modo di confrontare opinioni e non una
manifestazione di violenza.
Si è parlato di casi isolati, dimenticando di dire che le università
sono affollate di manifestazioni cui vengono invitati e trattati con
ogni cortesia (e giustamente) dei rappresentanti palestinesi e che,
negli ultimi mesi, solo in quattro casi sono stati invitati
rappresentanti israeliani e che in tutti i casi è finita male.
Si sono rivendicate le stigmatizzazioni e le condanne verbali,
trascurando il fatto che se - come è accaduto a Pisa - un diplomatico
israeliano deve andarsene senza poter parlare e non viene reinvitato,
la violenza ha vinto, e questa vittoria resta agli atti come
precedente per future prevaricazioni, e le delibere si riducono a
grida manzoniane.
Non ci si può nascondere che la vera difficoltà nascerà nel momento in
cui le deliberazioni del Senato Accademico della sua Università
dovranno confrontarsi con la realtà. Leggiamo già sui giornali le
dichiarazioni dei gruppi autonomi che chiedono all'Università di
vietare l'ingresso di qualsiasi rappresentante israeliano, e invocano
un regime di boicottaggio, riproponendo quindi senza pudore la loro
visione totalitaria, liberticida e contraria a ogni forma di dialogo.
Il loro antisionismo esprime un rifiuto totale di Israele, un odio
senza limiti e che ha come solo orizzonte la soppressione del "nemico"
e non una prospettiva di dialogo, di pace e di riconciliazione. E'
perciò assolutamente derisorio che essi dicano di non essere
antisemiti ma soltanto antisionisti, perché una forma di odio così
radicale e che esclude il dialogo è razziale.
In tal senso, la questione nevralgica, che non può essere elusa, è che
oggi le manifestazioni di antisionismo - non la critica costruttiva e
specifica dei singoli atti del governo israeliano in carica - sono
manifestazioni di antisemitismo. Come ha scritto molto efficacemente
Elena Loewenthal su La Stampa di oggi - "le cose hanno un nome ed è
doveroso usare quello giusto per chiamarle... Negare la parola a un
rappresentante dello stato ebraico invitato all'Università, è un atto
di antisemitismo bello e buono. Si chiama così, ed è inutile tentare
scivolose arrampicate sui vetri per dimostrare che è qualche cosa di
diverso".
E' da augurarsi che anche su questo punto emerga la dovuta chiarezza. Altrimenti, andremo incontro a ulteriori eventi che degraderanno le
nostre Università.

Con i più cordiali saluti,

Giorgio Israel