A Israele manca la "buona volontà"? Quella di suicidarsi senz'altro
per cui continuerà a combattere il terrorismo
Testata:
Data: 09/05/2005
Pagina: 8
Autore: la redazione - Umberto De Giovannangeli
Titolo: Sharon blocca la liberazione di 400 detenuti palestinesi - Hamas - Al Fatah, la
LA STAMPA di lunedì 9 maggio 2005 pubblica a pagina 8 un trafiletto sulla sospensione da parte del governo israeliano della prevista scarcerazione di 400 detenuti palestinesi.

L'articolo suggerisce tendenziosamente fin dalla prima frase che il governo israeliano rifiuta con la sua scelta di compiere un gesto di "buona volontà". Le ragioni per questo rifiuto sono presentate così: "secondo Sharon l'Autorità nazionale ha fatto troppo poco contro i gruppi radicali armati".
A parte la trasformazione dei gruppi terroristici in "gruppi radicali armati" è da rilevare che il loro mancato disarmo, il mancato arresto da parte dell'Anp dei ricercati che Israele ha indicato, il proseguire dei lanci di razzi qassam e dei tiri di mortaio contro le città israeliane, i tentativi di organizzare nuovi attentati suicidi, sono fatti di cronaca (sia pure non sempre riportati, e mai con la dovuta evidenza, dai media italiani), non un opinione di Sharon.

Ecco l'articolo:

Non è il momento di gesti di buona volontà: il premier israeliano Ariel Sharon ha deciso di bloccare il rilascio di 400 detenuti palestinesi deciso tre mesi fa. La scarcerazione dei prigionieri faceva parte dell'intesa raggiunta con il presidente palestinese Abu Mazen nel vertice dell'8 febbraio a Sharm el Sheikh, in Egitto, ma secondo Sharon l'Autorità nazionale ha fatto troppo poco contro i gruppi radicali armati. Durissima è stata però la reazione dell'Anp. «Tutti mi chiedono di rafforzare Abu Mazen, ma non a spese della vita degli israeliani», avrebbe detto il premier durante la riunione settimanale del governo, ha riferito una fonte a lui vicina. Il 21 febbraio, pochi giorni dopo i colloqui sul Mar Rosso, dalle carceri dello Stato ebraico erano usciti già 500 detenuti, ma gli altri quattrocento cui era stata promessa la libertà dovranno aspettare.
Anche l'articolo di Umberto De Giovannangeli su L'UNITA', in un articolo in gran parte dedicato alle reciproche accuse di brogli elettorali tra Hamas e Al Fatah, ostenta scetticismo per le tesi israeliane circa la la mancata scarcerazione.
"Il j'accuse di «Arik»" scrive u.d.g. "più che a «Mahmoud il moderato» sembra essere indirizzato al suo predecessore scomparso, l'odiato Yasser Arafat".
Come se, oggi, non vi fosse nessun motivo per accusare l'Anp di alcunchè.

Ecco l'articolo:

Hamas-Al Fatah, ovvero: la «guerra delle urne». Combattuta a colpi di accuse reciproche di brogli, intimidazioni, e con proclami opposti di vittoria. In questo clima infuocato, la Commissione elettorale palestinese ha pensato bene di rinviare ad oggi la pubblicazione dei risultati delle elezioni municipali parziali a Gaza e in Cisgiordania.
Ufficialmente, la ragione del rinvio è dovuta alla necessità di completare i dati e di inserirli nel sistema computerizzato. Ufficialmente. Perché la realtà di questo ritardo è poco tecnica e molto politica: a darne conto è il ministro palestinese Sufian Abu Zaida, il quale ha spiegato che a Gaza si è reso necessario tornare a verificare le urne di Rafah e Beit Lahya dove i risultati iniziali a favore del Fatah si sono trasformati durante lo spoglio in un successo per Hamas. «Abbiamo trovato le prove di molti brogli», afferma Abu Zaida alla radio militare israeliana.
Secondo il ministro, in termini generali Al-Fatah è uscito vincente da questa prova elettorale, che ha riguardato 400mila aventi diritto al voto. Molto diverso è il quadro riferito dal sito internet di Hamas, Palestine-info, secondo cui la lista del movimento di resistenza islamico «Cambiamento e riforma» ha prevalso in quattro delle sette circoscrizioni in cui si è votato a Gaza in questa tornata. La vittoria avrebbe arriso agli islamici ad el-Bureij, al-Migraqa, Beit Lahya e Rafah. E ad Hamas che accusa l'Anp di aver utilizzato mezzi coercitivi per costringere al voto migliaia di palestinesi, replica duramente Abu Zaida: «Ciò che è avvenuto a Rafah e Bet Lahya - denuncia il ministro (di Al-Fatah, ndr.) - è indecente. Centinaia di persone defunte sono resuscitate per recarsi ai seggi e votare Hamas». Da qui la richiesta avanzata dal partito del presidente Abu Mazen alla Commissione elettorale di far ripetere il voto nei due centri della Striscia di Gaza.
La «guerra delle urne» incrocia i difficili rapporti tra Israele e l'Anp di Abu Mazen. Le aperture di credito che avevano caratterizzato il «Nuovo Inizio» tra Ariel Sharon e il successore di Yasser Arafat, sembrano appartenere al passato. Il presente, infatti, è segnato da chiusure. E irrigidimenti. Israele ha deciso di congelare per il momento la liberazione di detenuti palestinesi. Ad annunciarlo è Sharon stesso all'apertura della seduta domenicale del Consiglio dei ministri. Il premier israeliano ha condizionato ulteriori liberazioni di detenuti palestinesi ad una lotta attiva da parte dell'Anp contro i gruppi armati dell'Intifada che per ora - a suo parere - non è in corso. Alludendo forse anche a pressioni diplomatiche degli Stati Uniti, menzionate ieri dalla radio militare israeliana, Sharon ha detto ai ministri: «Tutti mi chiedono di rafforzare il presidente Abu Mazen , ma io rispondo: No, non a spese delle vite di cittadini israeliani». «Sarei molto felice - aggiunge il premier - se ci fossero le condizioni per trasferire al controllo dell'Anp altre città cisgiordane. Ma purtroppo - taglia corto Sharon - i palestinesi non adempiono ai propri impegni». Il j'accuse di «Arik» più che a «Mahmoud il moderato» sembra essere indirizzato al suo predecessore scomparso, l'odiato Yasser Arafat. Nella lotta al terrorismo, insiste Sharon, «non stanno facendo niente e fronte di questa inerzia sarebbe un grossolano errore fare qualsiasi concessione in materia di sicurezza». Rincara la dose il ministro della Difesa Shaul Mofaz: «Liberare in questo momento detenuti palestinesi sarebbe un regalo fatto ai terroristi che continuano a bersagliare le nostre città con i razzi», dichiara ai microfoni della radio militare. Secca la replica palestinese: «Sharon sta contravvenendo agli impegni assunti a Sharm el-Sheikh; il suo obiettivo è di scatenare un conflitto interno al campo palestinese, ma noi non staremo al suo gioco», dice a l'Unità il capo negoziatore palestinese, Saeb Erekat. Dalla «guerra delle urne» (Hamas-Al Fatah) a quella delle dichiarazioni di inadempienza. Il gelo sembra calare nelle relazioni israelo-palestrinesi: «È chiaro che l'unica cosa che non è stata congelata - sottolinea ancora Erekat - è la prosecuzione dell'attività di colonizzazione, così come la costruzione del muro e la fine delle violenze».
Completa il quadro l'intervista di u.d.g. al leader di Al Fatah Kadura Fares, che, minimizzando il terrorismo, accusa Israele senza alcuna replica.

Ecco il testo:

«Il rinnovamento sta dando i primi frutti. Avevamo chiesto un profondo ricambio nei gruppi dirigenti e procedure trasparenti nella selezione dei candidati a incarichi pubblici. Il successo ottenuto nelle elezioni municipali dimostra che Al-Fatah può affrontare con fiducia le elezioni legislative del 17 luglio». A sostenerlo è Kadura Fares, uno dei leader dell'ala riformatrice del partito del presidente Abu Mazen. Alle contestazioni di Hamas, Fares replica seccamente: «La nostra affermazione è stata netta, abbiamo ottenuto oltre il 50% dei voti e tutti sanno che le elezioni si sono svolte in modo regolare». Il leader del Fatah in Cisgiordania mette l'accento sulla forte partecipazione al voto (l'80% degli aventi diritto): «È un segno di straordinaria maturità - sottolinea Fares -: un popolo ha scelto di usare l'"arma" del voto per rivendicare i propri diritti di libertà e autodeterminazione».
La Commissione elettorale ha rinviato di 24 ore la proclamazione ufficiale dei risultati delle elezioni amministrative del 5 maggio. Hamas accusa Al Fatah di irregolarità.
«Semmai è vero il contrario, soprattutto in realtà importanti della Striscia di Gaza. Resta il fatto che Fatah ha ottenuto un risultato importante, una vittoria incontestabile. E ciò è potuto accadere perché abbiamo finalmente scelto di rispondere alla sfida di Hamas puntando sul profondo rinnovamento dei quadri dirigenti e sulla trasparenza nella selezione dei candidati».
Restano le riserve israeliane.
«Riserve pretestuose che mirano a mascherare una realtà inquietante: Israele sta concentrando l'attenzione della Comunità internazionale sul ritiro da Gaza, distogliendo così l'attenzione sugli aspetti più gravi della sua politica unilaterale».
A cosa si riferisce?
«Allo sviluppo degli insediamenti in Cisgiordania e al proseguimento della costruzione del muro dell'apartheid (la barriera antiterrorismo per Israele, ndr.). Sharon sta venendo meno agli impegni assunti nel vertice di Sharm el-Sheikh, in particolare per ciò che concerne la liberazione dei prigionieri palestinesi e il passaggio all'Anp del controllo delle cisgiordane».
Il Fatah "riformato" è anche il movimento che rivendica l'Intifada contro l'occupazione israeliana.
«In discussione non è il diritto di un popolo sotto occupazione di resistere all'oppressore. In discussione, per quanto ci riguarda, sono gli strumenti con cui portare avanti questa resistenza. La militarizzazione dell'Intifada è stata un errore, un grave errore che ha nociuto alla causa palestinese. Dobbiamo dar vita ad una terza Intifada: quella della protesta popolare non violenta. La resistenza non è il fine ma lo strumento per raggiungere una soluzione politica al conflitto; una soluzione fondata sulla creazione di uno Stato palestinese indipendente che viva a fianco e in pace con lo Stato di Israele»
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