IL RIFORMISTA di giovedì 5 maggio 2005 pubblica un articolo di Paola Caridi sul boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane promosso dalla principale associazione inglese di docenti universitari.
Cronaca corretta, l'articolo della Caridi non contiene un giudizio chiaro su di un boicottaggio la cui parzialità è evidente per molti motivi. Per citarne due: avviene nel momento in cui il piano di disimpegno da Gaza apre concrete possibilità di pace, nulla di simile è mai stato fatto, e nemmeno proposto per le molte dittature che affollano il pianeta, o per le università palestinesi che appoggiano il terrorismo suicida.
Presente, invece, un giudizio opinabile sull'importanza delle istituzioni accademiche che si occupano di Medio Oriente, con l'indicazione di quella "più importante al mondo" per la Caridi.
Ecco l'articolo:Fuoco di paglia o incendio? Il boicottaggio di due università israeliane da parte dell’Association of University Teachers (Aut) britannica ha già raggiunto il suo primo risultato: scatenare una polemica senza fine. Dentro, nei circoli
accademici inglesi. Fuori, soprattutto nei centri più importanti di studi mediorientali. E ovviamente in Israele, dove la decisione dei lettori universitari britannici ha riacceso il dibattito sull’antisemitismo. Anzitutto, la cronaca. Dopo una lunga campagna, la conferenza annuale dell’Aut decide il 22 aprile scorso di boicottare l’università di Bar Ilan, appena fuori Tel Aviv, e quella di Haifa. La scelta è motivata, per la maggioranza dei docenti universitari inglesi, da ragioni specifiche. Su Haifa pende l’annosa querelle che riguarda Ilan Pappe, uno dei cosiddetti "nuovi storici" israeliani, profondamente coinvolto nella polemica sul post-sionismo. Pappe ha cercato l’appoggio internazionale, già tre anni fa, sostenendo che l’ateneo di Haifa volesse estrometterlo, a causa di una tesi di master di un suo allievo sulla controversa storia del villaggio palestinese di Tantura nel 1948. La tesi di Teddy Katz si è trasformata nel corso del tempo in un caso giudiziario e in un’annosa questione burocratica, più che accademica. Per poi arrivare, dritta dritta, alla conferenza dell’Aut. Diverso il caso di Bar Ilan, un’università specializzata negli studi religiosi e considerata vicina alla destra, accusata dall’Aut di sostenere il collegio di Giudea e Samaria. E cioè una istituzione che si trova nella più importante colonia israeliana nei Territori occupati palestinesi della Cisgiordania: Ariel. Il college di Ariel serve più di settemila studenti, e Bar Ilan sostiene alcuni dei programmi. Dunque, dice l’Aut, sostiene l’occupazione della Cisgiordania e la politica degli insediamenti. Bar Ilan, a dire il vero, sosterrà il college di Ariel ancora per poco.A rendere più incandescente il clima è arrivata la decisione del governo
israeliano, presa proprio mentre era in corso la polemica sul boicottaggio. Il
collegio di Ariel diverrà una università. La prima università delle colonie in Cisgiordania. Una decisione osteggiata da quasi tutti i ministri laburisti nella riunione di gabinetto di lunedì scorso. E non gradita neanche dagli ambienti accademici israeliani, che pure si sono schierati in massa contro il boicottaggio dei docenti britannici. A proporre l’università di Ariel è stata soprattutto il ministro dell’educazione Limor Livnat, protagonista negli scorsi
mesi di una dura critica Sharon contro il disimpegno da Gaza. Il premier l’ha sostenuta, in questo caso. Così come ha fatto Benyamin Netanyahu: il competitor di Sharon dentro il Likud ha spiegato con estrema chiarezza il significato politico della decisione: «è importante istituire un’università ad Ariel per provare che il blocco di Ariel rimarrà per sempre parte dello Stato di Israele».
Fuoco alle polveri. L’editoriale di Haaretz definiva, ieri, la decisione del governo una «provocazione politica» sulla questione delle colonie. Proprio nelle
stesse ore in cui una sessantina tra docenti dell’università di Tel Aviv e attivisti della sinistra protestavano di fronte ad Ariel. Agli universitari israeliani non piace neanche che aumenti il numero di università (assieme a
quella di Ariel, si prevede anche l’unione dei sei collegi presenti in Galilea, per le pressioni esercitate - in questo caso - da Shimon Peres). La concorrenza è dura, in un territorio piccolo in cui sono presenti almeno cinque università. Proprio in questi mesi, è in corso una dura battaglia tra esecutivo e atenei per i tagli ai finanziamenti, con le prime proteste di piazza, proprio a Tel
Aviv. Il rettore dell’università di Haifa. Aharon Ben Zeev, è stato chiaro: «la ricerca sta andando in mille pezzi» perché non ci sono abbastanza fondi, e col «finanziamento ad altri due atenei,Ariel e Galilea, il colpo può essere fatale». Anche fuori da Israele, comunque, la storia si sta complicando. Nell’Aut, infatti, sono state raccolte le firme necessarie per ridiscutere la decisione del boicottaggio. E la miccia nata dai docenti britannici ha avuto
l’effetto di riaccendere polemiche mai sopite sulla presenza o meno dell’antisemitismo in alcuni atenei. A entrare in ballo, lo scorso autunno, due delle istituzioni più prestigiose della ricerca in Occidente: la Columbia university di New York, e il Soas di Londra, il centro forse più importante
al mondo per gli studi sul Medio Oriente.
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