Terroristi suicidi al Cairo
Analisi di Fiamma Nirenstein,Magdi Allam, cronaca di Aldo Baquis
Testata:
Data: 01/05/2005
Pagina: 4
Autore: Fiamma Nirenstein-Magdi Allam-Aldo Baquis
Titolo: Attentato al Cairo
Sull'attentato dei terroristi suicidi al Cairo pubblichiamo due analisi di Fiamma Nirenstein sulla STAMPA e Magdi Allam sul CORRIERE DELLA SERA e la cronaca di Aldo Baquis sulla STAMPA.
Commenteremo domani l'articolo di Ugo Tramballi uscito sul SOLE 24ORE di oggi primo maggio 2005. Ne vale la pena, per l'incredibile tesi che sostiene.

Ecco i tre articoli:

Un avvertimento anche a Gerusalemme
di Fiamma Nirenstein

GERUSALEMME
«Sei dalla parte della democratizzazione del Medioriente, caro Hosni Mubarak? allora eccoti servita la tua porzione?». Questo sembra essere il macabro messaggio recapitato al Raiss egiziano ieri col doppio attentato terrorista suicida al Cairo, usando come inchiostro il sangue dei turisti.
Se poi ci sono andati di mezzo due israeliani, tanto meglio, stanno certamente pensando gli jihaddisti egiziani. Così, oltre all’effetto galvanizzante che ha sempre sulle folle mediorientali l’odio antiisraeliano, si diffonderà l’idea che è un errore e un abominio tentare, come ha fatto nei recenti mesi Hosni Mubarak, di cooperare con l’apertura del processo di pace in corso mandando in visita ripetutamente a Gerusalemme Omar Suleiman, restituendo l’ambasciatore egiziano a Tel Aviv e soprattutto trattando per fornire con il controllo del famoso «Sentiero di Filadelfia» sul confine fra Gaza e l’Egitto una situazione rassicurante sia per gli israeliani che per i palestinesi. Chi se non l’Egitto, è stato infatto il mallevadore prescelto non solo dalle due parti in causa, ma anche dagli Usa con il beneplacito Russo (Vladimir Putin è stato appena ricevuto con tutti gli onori al Cairo) ed Europeo per uno sgombero quanto più pacifico possibile da Gaza? Chi parla al telefono con Sharon tra i Raiss arabi quanto Hosni Mubarak? Chi riceve tanti fondi dagli Stati Uniti d’America? Chi, secondo soltanto a Re Abdallah di Giordania che ha proposto una complessiva normalizzazione del Medioriente, è più affidabile di Mubarak, pur con tutte le sue terribili ambiguità, per quell’assetto rivoluzionario, ovvero più pacifico e democratico del Medioriente che il mondo intero si aspetta? E che cosa può essere più inviso ai Fratelli Mussulmani che hanno la loro stessa origine sulla terra d’Egitto e che oggi sono collegati a ogni gruppo di guerriglia e a ogni organizzazione terroristica, da al Qaeda ad Hamas agli Hezbollah devoti alla prosecuzione di una guerra totale e senza quartiere contro l’Occidente?
E qui entra l’altro elemento evidente nella scelta dei terroristi del Cairo: Mubarak, anche se seguita a sognare che gli succeda il figlio Gamal, pure per la prima volta da quando si è insediato al potere dopo l’assassinio di Sadat, nell’ottobre 1981, ha acconsentito che si cambiasse la legge elettorale e che nuovi candidati potessero partecipare alle prossime elezioni di settembre. I democratici guidati dal prigioniero di coscienza testé liberato dalle carceri egiziane Ayman Nur, sono già in piena campagna elettorale. I gruppi estremisti sono banditi dalle elezioni. Ma è chiaro che in vista di quella scadenza, che sarà preceduta a luglio dal voto palestinese in cui Hamas potrebbe addirittura guadagnare la maggioranza, i Fratelli Mussulmani egiziani hanno già inaugurato la loro campagna elettorale.
Se Mubarak vuole la democrazia, bene, allora che la gusti fino in fondo. Se vuole il suo Iraq, se vuole compiacere gli americani, se vuole aiutare la pace con Israele, che allora lo abbia con tutto ciò che esso comporta: anche con una sequela infinita di attentati sanguinosi. Questo è il significato del doppio attentato del Cairo.
I servizi israeliani l'avevano detto "Evitate l'Egitto"
di Aldo Baquis

TEL AVIV
Gli attentati del Cairo erano nell’aria. I turisti israeliani erano stati esplicitamente avvertiti di non recarsi in Egitto. Eppure, come l’estate scorsa, i moniti sono stati ignorati. Ieri in Egitto c’erano circa 15 mila turisti israeliani che cercavano relax durante le vacanze pasquali ebraiche: 11 mila escursionisti nel Sinai (dove lo scorso ottobre terroristi islamici hanno ucciso 34 persone, fra cui 12 israeliani) e diverse migliaia al Cairo, in prevalenza arabi-israeliani.
I due israeliani rimasti feriti nel primo attentato erano al Cairo per ragioni familiari. La 55enne Avital Smorizak da anni sognava di tornare nei luoghi della sua infanzia nella capitale egiziana. L’esplosione l’ha lasciata in stato di shock, mentre il marito Ben-Zion è rimasto ferito da schegge alla schiena. Non è noto se la coppia abbia fatto a tempo a visitare la sinagoga Ben-Ezra. Secondo quanto ha riferito la stampa israeliana, di fronte a quel luogo di culto si trovano gli uffici dell’Associazione cinematografica egiziana, visceralmente ostile ad Israele. Sulla facciata dell’edificio i cineasti egiziani hanno esposto uno striscione ben visibile a chi si reca in sinagoga: sotto alla qualifica di «Assassini» (in ebraico, inglese e arabo) le facce di Ariel Sharon, Ehud Barak, Benyamin Netanyahu e Moshe Dayan. La protesta diplomatica non ha sortito effetto.
I dirigenti israeliani sono rimasti perplessi perché proprio negli ultimi mesi le relazioni con l’Egitto sembravano essersi se non riscaldate, almeno intiepidite. A febbraio il presidente Hosni Mubarak ha organizzato a Sharm el-Sheikh il vertice fra Sharon e il presidente palestinese Abu Mazen. Il mese successivo, dopo quattro anni di assenza, a Tel Aviv è tornato un ambasciatore egiziano a tempo pieno.
Eppure - dice una fonte dell’intelligence di Israele - l’atmosfera in Egitto resta avvelenata. «I protocolli dei Savi di Sion», classico dell’antisemitismo, continua a vendere bene nella traduzione araba, costantemente aggiornata. E anche sulla stampa governativa - ad esempio su al-Akhbar - appaiono articoli al vetriolo. «Il cosiddetto diritto storico degli ebrei sulla Palestina è frutto di una falsificazione», ha stabilito il giornale.
Non si sa ancora se gli attentatori del Cairo intendessero colpire ebrei in quanto tali, oppure danneggiare l’industria turistica egiziana anche per indebolire Mubarak prima delle elezioni. Secondo alcuni analisti, gli attentati del 7 aprile e di ieri sono maturati in ambienti legati ai Fratelli Musulmani. Da molti mesi i sismografi dei servizi israeliani rilevano l’attività crescente degli integralisti egiziani. La scorsa estate il Lotar, l’ente israeliano preposto al monitoraggio del terrorismo nel mondo, aveva consigliato ai connazionali di rinunciare alle vacanze nel Sinai. Ma, per non provocare un incidente politico, Israele si era astenuto dal chiudere i confini e così 30 mila israeliani hanno ignorato il monito. Con l’attentato di Taba, sono tornati precipitosamente in patria.
Ma in questi mesi la tensione si è allentata, in Israele e nei Territori. Di conseguenza, quando alcune settimane fa il Lotar ha emesso un nuovo appello agli israeliani a non visitare l’Egitto a causa di una «tangibile recrudescenza» di minacce di attentati, anche il nuovo monito è stato ignorato. «Se dovessimo cancellare i nostri programmi sulla base degli avvertimenti del Lotar (che riguardano decine di Paesi - n.d.r.) non usciremmo più di casa», dicono i turisti israeliani.

La terza generazione: i kamikaze fai da te
di Magdi Allam

E' la terza generazione di terroristi islamici.
Sono i kamikaze fai da te. Figli degeneri di Internet. Prodotto di una crisi di identità che associa lo scollamento del sistema dei valori vigenti, la cultura della morte che il fronte di prima linea iracheno sprigiona, la profonda instabilità economica, sociale e politica che attanaglia il Medio Oriente e più in generale il mondo islamico.
Nell'attesa che le indagini chiariscano il retroscena dei kamikaze di ieri, Ihab Yousri Yassin, la sua fidanzata e sua sorella, conosciamo per certo l'identità e il vissuto di Hassan Raafat Ahmad Bashandi, che lo scorso 7 aprile si era fatto esplodere nel quartiere turistico di Khan El Khalili, e di Omar Abdallah Ahmad, egiziano emigrato nel Qatar, che a bordo di un'autobomba si scagliò contro il teatro di una scuola britannica a Doha il 19 marzo scorso.
Due storie simili nonostante la vistosa differenza anagrafica, appena diciotto anni il primo, trentotto anni il secondo, con due figli di cui una bambina di soli due mesi. Due conversioni all'ideologia del « martirio » islamico maturata su Internet, per ragioni sia personali sia politiche. Che li ha convinti a trasformarsi in robot della morte obbedendo agli ordini impartiti loro da burattinai del terrore in parte virtuali, in parte reali. Nel senso che pur non essendo organici ad alcuna organizzazione terroristica conosciuta, di fatto si sono lasciati prima soggiogare dall'appello alla « guerra santa » emanato dai siti jihadisti islamici, poi si sono prestati a farsi strumentalizzare da una cellula locale che si è occupata della gestione dell'attentato dal punto di vista dell'informazione, del procacciamento dell'esplosivo e della preparazione logistica.
Il kamikaze più anziano era addirittura un tecnico informatico che da cinque anni lavorava come programmatore presso la compagnia petrolifera statale. Era sposato con una cittadina del Qatar dove risiedeva dai primi anni Novanta. Suo fratello Karem, arrestato dopo l'attentato, è un impiegato della nota televisione araba Al Jazira . Nessuno a casa di Omar Abdallah Ahmad si era accorto di nulla. Ha vissuto in totale solitudine il travaglio interiore che da tranquillo padre di famiglia l'ha trasformato in un volontario kamikaze islamico. E' stato accertato che fosse in contatto con il predicatore estremista siriano Abdel Rahim al Tahhan. Così come è stata rinvenuta una sorta di sala comando dell'attentato all'interno di una villa.
Del giovane Hassan sappiamo qualcosa di più. Come nel caso di Mohammad Bouyeri, l'olandese di origine marocchina che lo scorso 2 novembre sgozzò Theo van Gogh nel centro di Amsterdam, è stato un trauma familiare a imprimere un brusco cambiamento alla sua vita. Nell'agosto 2004 il padre di Hassan morì di infarto proprio nel giorno del matrimonio del figlio primogenito Adel. Crollarono tutte le certezze. Hassan si iscrisse al primo anno di Ingegneria. Ma trascorreva gran parte del suo tempo davanti a un computer dove amava soffermarsi sui siti estremisti islamici legati a Al Qaeda. Si recava puntualmente in una vicina moschea per la preghiera dell'alba. Al fratello Esam confidò di aver sognato il proprio « martirio » e gli disse che fosse certo che sarebbe successo. Nessuno lo prese sul serio. Era ancora un ragazzino.
Questa terza generazione di kamikaze fai da te è diversa dai libanesi sciiti di Hezbollah che inaugurarono il fenomeno nel 1983 con gli attentati a Beirut contro i soldati americani, inglesi e francesi, dai palestinesi che dal 1993 si fanno esplodere in Israele. Così come sono diversi dalla seconda generazione degli affiliati a Al Qaeda protagonisti dell' 11 settembre e che insanguinano l'Iraq. Appartengono perlopiù alla classe media, alcuni sono benestanti e solo in minima parte sono indigenti.
Aspirano al suicidio nel nome di Allah non per disperazione, non per sete di vendetta, ma per scelta. Una tragica scelta maturata spesso in solitudine nel contesto di un mondo che rifiutano e in cui si sentono incompresi. La loro conversione all'ideologia del martirio islamico è maturata su Internet
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