LIBERO di giovedì 28 aprile 2005 pubblica in prima pagina un articolo di Ehud Gol, ambasciatore di Israele in Italia, sulla riforma dell'Onu.
Ecco il testo:Non è un segreto che Israele, nei suoi 57 anni di indipendenza, non sia stata sempre soddisfatta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Ricorderemo in eterno positivamente la data storica del 29 novembre 1947, prima che nascesse lo Stato d’Israele, allorché l’Assemblea Generale dell’ONU approvò la risoluzione per la nascita di uno stato ebraico in Terra d’Israele. Stato che, ovviamente, non ci fu servito su un vassoio d’argento, ma che nacque soltanto dopo una sanguinosa guerra contro sette paesi arabi che attaccarono simultaneamente il nascente stato. Nel corso degli anni, l’organizzazione internazionale è cresciuta e si è ampliata con l’ingresso di nuovi paesi, non sempre democratici.
Così, per esempio, ricorderemo come infamia del mondo l’incresciosa votazione del 1974 che equiparò il Sionismo al razzismo. Anche l’infinità di votazioni automatiche sul conflitto arabo-israeliano, al Consiglio di Sicurezza e in altri forum, con la richiesta di condanna di Israele non ha certo contribuito ad aumentare il prestigio dell’organizzazione ai nostri occhi. Basta ricordare il cinico sfruttamento della maggioranza automatica all’ONU, durante le votazioni dell’Assemblea, lo scorso anno, il cui esito fu la condanna di Israele per la costruzione della barriera di sicurezza, sorta per difendere la vita degli israeliani dagli attacchi terroristici.
Purtroppo, nel corso degli anni, Israele si è trovata sottorappresentata presso i forum e le varie agenzie dell’organizzazione, nonostante le sue potenzialità e la sua possibilità di offrire il proprio peculiare valore. Su questi presupposti e nonostante le esperienze passate negative, Israele ha deciso di presentare un proprio candidato alla vice presidenza della 60a Assemblea Generale dell’ONU. Dal 1952, soltanto una volta Israele ha ricoperto questa carica, con il nostro ambasciatore di allora presso l’ONU, Abba Eban.
Ogni anno, sono eletti il presidente dell’Assemblea e ventuno suoi vice, in base alla divisione geografica regionale dei vari continenti, con due posti riservati al gruppo dei paesi occidentali. Per quest’anno è stato già stabilito che il Presidente dell’Assemblea sarà il rappresentante della Svezia, del gruppo WEOG, e Israele ha presentato il proprio candidato, per il secondo posto riservato al gruppo, alla carica di Vice Presidente dell’Assemblea.
Bisogna ricordare che la media delle volte in cui è stata ricoperta questa carica è di tre o quattro per ogni stato, e non pochi paesi, tra cui molti del mondo arabo, sono stati scelti il doppio delle volte dal 1945. Durante l’ultimo incontro mensile dei paesi WEOG, il 21 aprile scorso, è stata posta l’attenzione su questa anomalia e il gruppo ha approvato il candidato di Israele. A tal proposito apprezziamo molto la posizione favorevole tenuta dall’Italia in questo contesto. Il passo successivo sarà a inizio giugno, quando l’Assemblea Generale eleggerà in maniera formale il Presidente e i suoi ventuno Vice.
Nonostante i residui del passato, Israele è interessata ad incrementare il proprio profilo d’azione all’ONU e il proprio contributo all’agenda internazionale. L’organizzazione internazionale è parte del "Quartetto" che ha promosso la Road Map per una soluzione del conflitto israelo-palestinese e, oggi più che mai, Israele ritiene che si possa cogliere l’occasione creatasi nel contesto del processo di costruzione della pace in Medio Oriente. La normalizzazione delle relazioni tra Israele e l’Organizzazione delle Nazioni Unite contribuirà ulteriormente acché ciò avvenga.
A pagina 12 il CORRIERE DELLA SERA del 28 aprile pubblica un articolo dell'eurodeputata Emma Bonino sulla "Comunità delle democrazie".
Ecco il testo:Oggi a Santiago del Cile rappresentanze governative di oltre cento Paesi daranno vita alla terza riunione plenaria della Community of Democracies ( o « Comunità delle Democrazie » ) .
Il Governo italiano, essendo ministro e sottosegretario competenti impegnati nel dibattito parlamentare per la fiducia, ha inteso affidarmi, come già avvenne nel 2002 a Seul, il compito di condurre la delegazione italiana, cosa che mi onora anche in considerazione dell'impegno profuso da tutti noi radicali in questi anni per promuovere e fortificare l'azione mondiale per la e le democrazie.
La riunione di Santiago è di grande importanza perché, dopo il lancio un po' in sordina della Community of Democracies nel 2000 a Varsavia e dopo i primi timidi passi iniziali, questa volta, anche per la spinta di numerose organizzazioni non governative come, tra gli altri, il Partito Radicale Transnazionale, vi è la possibilità concreta che la gran parte dei Paesi partecipanti decidadi realizzare una effettiva « coalizione democratica » , in grado di agire di comune accordo su alcuni grandi temi della politica internazionale.
L'intento è quello di rafforzare iniziative coordinate fra i Paesi che, al di là delle rispettive collocazioni geografiche, condividono valori comuni in termini di democrazia, libertà, Stato di diritto, tutela dei diritti umani. Di qui l'idea di costituirsi in caucus , cioè in gruppo organizzato alle Nazioni Unite, almeno per quanto riguarda alcune delle scelte di fondo dell'Organizzazione, o ancora la costituzione di raggruppamenti regionali che rafforzino, specie per alcuni Continenti, il sentimento di appartenenza dei Paesi democratici di quelle aree a una comunità di valori più ampia e suscettibile di agire in modo coordinato.
Infatti, se i valori della democrazia e dei diritti umani sono ormai patrimonio intrinseco dell'appartenenza all'Unione Europea, tanto che tra i criteri per l'adesione di nuovi Paesi all'Unione figura una precisa tabella di marcia in tal senso, questa caratteristica « fondante » dello stare insieme a livello internazionale non è mai stata esplicitamente evocata, almeno nei suoi elementi costitutivi, pur essendo in definitiva alla base della Carta istitutiva delle Nazioni Unite e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Questa è la sfida della Community of Democracies : contribuire a riformare dall'interno la struttura delle relazioni internazionali, in una direzione che si incrocia in molte sue parti con la riflessione sul ruolo e la struttura delle Nazioni Unite lanciata dal Segretario Generale Kofi Annan con le sue recenti proposte di riforma della Carta istitutiva e di alcuni meccanismi di funzionamento dell'organizzazione.
Se molta dell'attenzione a livello italiano, et pour cause , si è focalizzata sulle proposte di riforma della composizione del Consiglio di Sicurezza, non meno importante è la parte riguardante per l'appunto la democrazia e i diritti umani. In essa Kofi Annan innanzitutto giudica arrivata al capolinea l'esperienza, di cui ormai si sono da tempo constatati tutti i limiti, di una Commissione per i Diritti Umani che si riunisce sei settimane all'anno senza effettivi poteri e con una composizione che spesso vede lo stesso Paese giudice e parte in causa e, di conseguenza, innanzitutto propone di istituire un « Consiglio per i Diritti Umani » più snello e più duraturo nel tempo, ma giunge a preconizzare altresì la creazione di un « Fondo per la Democrazia » destinato a contribuire agli sforzi delle « democrazie emergenti » .
È mia convinzione, da questo punto di vista, che occorre che emerga a Santiago un sostegno esplicito e forte alla proposta di istituire un « Consiglio dei Diritti Umani » composto da Paesi che questi diritti tutelino e promuovano e che si possa giungere a far sì che i Paesi membri della Community of Democracies con i più alti standard possano essere chiamati a farne parte.
È questo un punto cruciale, un test importante per la Community of Democracies che si riunisce a Santiago. Certo le difficoltà non mancano: sono note le resistenze di alcuni Paesi membri a « istituzionalizzare » questo processo, mentre altri Paesi continuano a essere sospettosi verso la politica americana, pur se tutti o quasi oggi constatano che qualcosa sta pur succedendo, per esempio, nel mondo arabo... e che è interesse comune sostenere le attuali aperture.
Ma è certo che, se questo accadrà, si sarà fatto un passo importante nella direzione giusta, convinta come sono che nell'èra della globalizzazione quello che più deve essere globalizzato è proprio la democrazia.
Europarlamentare Le delegazioni di cento Paesi alla riunione plenaria della « Community of Democracies »
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