I siriani se ne vanno dal Libano, gli Hezbollah restano
e il futuro ritiro statunitense dall'Iraq comporterà nuovi rischi per Israele
Testata:
Data: 26/04/2005
Pagina: 2
Autore: Emanuele Ottolenghi - un giornalista
Titolo: In Libano non è tutto oro quel che si ritira, resta il guaio Hezbollah
A pagina 2 IL FOGLIO di martedì 26 aprile 2005 pubblica un articolo di Emanuele Ottolenghi sul ritiro siriano dal Libano, il quale, non accompagnato da un disarmo di Hezbollah, "apre una stagione di incertezze, non di buoni auspici".
Ecco il testo:Entro oggi la Siria dovrebbe completare il disimpegno dal Libano. Damasco si impegnò a ritirarsi nel 1989, con gli accordi di Taif, quando le circostanze lo avessero permesso, sostanzialmente diventando il "garante" della pace e il protettore del nuovo Libano emerso dalla guerra civile. Né Onu né mondo arabo ormai considerano quell’accordo rilevante. La risoluzione 1.559 non ne parla. Parla invece di un ritiro immediato e completo dei siriani e di un disarmo di tutte le milizie, cioè degli Hezbollah. Il ritardo è comprensibile: la Siria ha enormi interessi in gioco in Libano. Mezzo milione di lavoratori siriani garantiscono un reddito alle loro famiglie e riducono l’impatto sociale di una disoccupazione al 22 per cento. Traffici lucrativi permettono a Damasco di avere un sicuro introito di valuta pesante. La presenza dominante della sicurezza siriana impone un elaborato sistema di corruzione. Questo non soltanto arricchisce i diretti interessati in loco, ma olia un meccanismo complesso che ne coinvolge tutti i superiori sia in Libano sia a Damasco. La rimozione di tale sistema di controllo sul Libano costerà moltissimo alla burocrazia militare e di sicurezza siriana. La perdita di quattrini si assommerebbe all’umiliazione di un ritiro imposto dall’esterno e dalla sollevazione di piazza. Il ritiro dal Libano potrebbe ora costare un’altra importante carta: lo strumento di pressione che la Siria ha, attraverso Hezbollah, su Israele. Ma più forti dei motivi economici, di prestigio e strategici per restare in Libano, c’è la congiuntura internazionale particolarmente sfavorevole alla Siria. E se perdere il Libano comporta un duro colpo al regime siriano, il possibile isolamento nel mondo arabo e l’accentuarsi dello scontro con gli Stati Uniti sono dei rischi ancora maggiori. L’attuale fragilità siriana spiega quindi i tentativi discreti e pubblici promossi dalla Siria per riavviare il processo di pace con Israele, teso ad ammorbidire l’America, il rinnovo di commesse militari dalla Russia, teso ad ammodernare l’arsenale siriano e a ristabilire una presenza russa nella regione, e il disgelo con il vicino turco, anche a prezzo della sostanziale rinuncia territoriale della provincia di Iskenderun, da sempre contesa da Ankara. Il ritiro dal Libano non comporta inoltre necessariamente un allentamento dell’influenza siriana, che si manifesterà a ridosso delle elezioni, attraverso azioni mirate ad accentuare le divisioni settarie del paese e a blandire le forze politiche non apertamente antisiriane e filoamericane. Il ritiro siriano dal Libano apre una stagione di incertezze, non di buoni auspici. Un negoziato con Israele costringerebbe gli americani ad allentare le pressioni su Damasco proprio in un momento in cui occorre aumentarle. Giova quindi a Israele attendere i colpi di assestamento che faranno seguito al ritiro e alle elezioni in Libano a maggio. Il disimpegno siriano infatti non risolve ancora il nodo Hezbollah e lascia una presenza militare iraniana che potrebbe fomentare, non moderare, la vocazione rivoluzionaria di Hezbollah. La milizia filoiraniana potrebbe continuare a esercitare un ruolo destabilizzante, ora priva del freno siriano che ne modulava le azioni per i suoi fini geostrategici. La risoluzione 1.559 ne richiede il disarmo (oltre che il ritiro degli iraniani): tale passo potrebbe garantire una stabilizzazione del Libano in vista di una tornata elettorale democratica. In questo scenario, l’Europa farebbe bene a riconoscere come soltanto il disarmo completo degli Hezbollah, può servire gli interessi della democrazia. La minaccia di includere gli Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroristiche deve diventare una posizione unanimemente condivisa dall’Ue, così come il sostegno per un Libano privo di ingerenze dirette o indirette di forze straniere, Iran e Siria in primo luogo, deve esser chiarito una volta per tutte a Damasco.
A pagina 2 dell'inserto, il breve trafiletto "I piani del Pentagono visti da Gerusalemme", che riportiamo:I piani del Pentagono visti da Gerusalemme Preoccupa Gerusalemme il preannunciato piano di graduale disimpegno statunitense all’Iraq che secondo gli analisti israeliani potrebbe favorire il rischio di un conflitto regionale contro lo stato ebraico, scatenato dall’asse Iran-Siria-Hezbollah. Negli ultimi due anni, la massiccia presenza militare in Iraq ha costituito un concreto deterrente nei confronti di Teheran e Damasco, che si sono limitati ad armare e finanziare i gruppi terroristici, ma il ritiro o la sensibile riduzione delle truppe americane e l’affermarsi a Baghdad di un governo a maggioranza sciita potrebbe alterare questo equilibrio già dalla fine del 2006. Fonti di Washington
riferiscono delle preoccupazioni espresse dallo stesso premier Ariel Sharon e dal ministro della Difesa, Shaul Mofaz, che avrebbero presentato le prove dei
preparativi in corso in Iran e Siria per poter scatenare un’azione militare contro Israele, saturandone le difese antimissilistiche con una pioggia di missili balistici, alcuni dei quali (gli Shahab 3 iraniani) potrebbero presto essere dotati di testate atomiche.
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