La Chiesa cattolica, gli ebrei e Israele
un dialogo che prosegue
Testata:
Data: 22/04/2005
Pagina: 7
Autore: Umberto De Giovannangeli - Luigi Accatoli
Titolo: "Dal Papa un segnale di pace per il Medio Oriente" - Lettera di Ratzinger agli ebrei: continuerò sulla via del dialogo
L'UNITA' di venerdì 22 aprile 2005 pubblica a pagina 7 un'intervista di Umberto De Giovannangeli all'ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Oded Ben Hur.

Ecco il testo:

Il nuovo pontificato di Benedetto XVI e la «sfida» del dialogo con il popolo ebraico e lo Stato d’Israele. È il tema dell’intervista concessa all’Unità dall’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Oded Ben-Hur.
Ambasciatore Ben-Hur, quali sono le aspettative di Israele nei riguardi del pontificato di Papa Benedetto XVI?
«Ci auguriamo che il nuovo Pontefice saprà seguire non solo le orme di Giovanni Paolo II ma anche la strada che ha fatto la Chiesa dopo il Concilio Vaticano II con il documento "Nostra Aetate". La nostra speranza è che Joseph Ratzinger sappia approfondire e allargare questo cammino verso la vera riconciliazione, con un avvicinamento sia al popolo ebraico sia allo Stato d’ Israele. È importante che Benedetto XVI riesca a trovare il rilievo e lo spazio adeguato per questo avvicinamento nell’agenda delle priorità del suo pontificato».
Joseph Ratzinger, ora Papa Benedetto XVI, si presenta come uno strenuo difensore dell’ortodossia cattolica. Non crede che questo suo tratto culturale possa in qualche modo frenare lo sviluppo del dialogo interreligioso?
«Penso di no, e nel supportare questa mia convinzione vorrei far riferimento ad una testimonianza personale. Ho avuto il privilegio di incontrare a quattr’occhi il cardinale Ratzinger tre o quattro volte. Devo dire che che la cordialità mostrata nei miei confronti era già di per sé rassicurante. La prima volta che l’incontrai era nel settembre del 2003, dopo che Giovanni Paolo II aveva chiesto di aggiornare il vecchio catechismo del 1992, un libro voluminoso di duemila pagine, per cercare di farne una edizione più "snella", e leggibile, di 130 pagine. In quel frangente, come ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, ebbi modo di incontrare il cardinale Ratzinger e in quell’occasione gli chiesi se fosse possibile inserire nella prolusione o in qualsiasi altra parte del compendio, anche una pagina sola con gli insegnamenti della "Nostra Aetate"...».
E quale fu la risposta del cardinale Ratzinger?
«Mi disse: "lo faremo ambasciatore...". Qualche mese dopo, ebbi modo di incontrare di nuovo il cardinale Ratzinger, e gli chiesi che ne era di quella promessa. Il cardinale mi disse che si stava approntando l’ultima versione del nuovo catechismo e che la sua uscita era prevista verso la fine del 2005. A questo punto, gli chiesi se fosse possibile farlo uscire il 28 ottobre del 2005, in concomitanza con il quarantesimo anniversario di "Nostra Aetate". Ricordo come fosse oggi la sua risposta. Il cardinale mi sorrise e rispose: "Ambasciatore, è la Provvidenza che l’ha mandato qui. Seguiremo il suo consiglio...". Questa disponibilità conforta la nostra speranza di un pontificato che sappia avanzare decisamente sul cammino della fratellanza tra la Chiesa cattolica e il popolo ebraico».
Quando si guarda alla Terrasanta, religione e politica appaiono sempre strettamente intrecciate tra loro. Quale contributo Papa Benedetto XVI potrà dare per un rilancio del processo di pace?
«Il nuovo Papa è già stato in Israele più di una volta. La prima fu nel 1994, in occasione di un convegno di biblisti. C’è da dire che un biblista, per la sua predisposizione mentale e per i suoi studi, ha uno spazio nel proprio cuore per Israele. Chiunque studia la Bibbia e approfondisce conosce meglio l’alleanza tra di noi. Su questo piano, mi auguro che Benedetto XVI dia la sua benedizione ad un allargamento sempre più ampio del flusso dei pellegrinaggi non solo in Israele ma nei territori palestinesi, in Giordania, Egitto...Facendo così, il Papa potrà dare un segnale di pace e farsi portatore di un messaggio di speranza per i popoli della regione: la Chiesa cattolica è con voi, e supereremo insieme le difficoltà momentanee, rafforzando in questo modo il proficuo dialogo in atto tra Israele e l’Autorità nazionale palestinese del presidente Abu Mazen. Sarà anche un aiuto concreto, economico, oltre che un incentivo in più offerto ai palestinesi per bloccare le spinte estremiste e porre fine alla violenza. L’attuazione della Road Map (il Tracciato di pace messo a punto dal Quartetto Usa, Ue, Russia e Onu, ndr.) potrà permettere di realizzare gli interessi comuni che abbiamo con la Chiesa».
L’idea della Santa Sede di Gerusalemme città aperta, patrimonio dell’umanità e capitale del dialogo interreligioso, potrà avere un impulso sotto il pontificato di Joseph Ratzinger?
«Con chiunque ho parlato in Vaticano, diplomatici e cardinali, tutti hanno compreso che c’è una certa sequenza, un ordine da ottemperare: in questi mesi, entro l’anno prossimo, la priorità è giungere ad un accordo politico, teritoriale, tra Israele e l’Anp. Dopo di che, ci sarà uno spazio per sederci tutti insieme attorno a un tavolo e trovare una soluzione anche per le religioni coinvolte. Cercare di insistere ora per una soluzione su Gerusalemme, mentre non abbiamo ancora raggiunto una intesa sull’attuazione della Road Map, sarebbe una forzatura inutile se non addirittura controproducente. Occorre esercitare la virtù della pazienza e al tempo stesso favorire l’avvicinamento tra i popoli attraverso un flusso crescente di pellegrini. Mi lasci aggiungere, infine, che oggi stiamo compiendo grandissimi passi in avanti nelle trattative tra lo Stato d’Israele e il Vaticano per quanto concerne i negoziati finaziari, economici, giuridici che stabiliranno i diritti e i doveri delle comunità cattoliche in Israele. Vi sono le condizioni per concludere un percorso negoziale durato 13 anni e a quel punto far "decollare" i nostri rapporti. Abbiamo tante cosa che possiamo fare insieme. Possiamo e dobbiamo, perché noi ebrei e i cattolici, Israele e Santa Sede, siamo alleati naturali».
Il CORRIERE DELLA SERA pubblica a pagina 8 un articolo di Luigi Accatoli sulla lettera inviata al rabbino capo di Roma dal nuovo pontefice.

Ecco il testo:

« Confido nell'aiuto dell'Altissimo per continuare il dialogo e rafforzare la collaborazione con i figli e le figlie del popolo ebraico » : è il primo messaggio del nuovo Papa, inviato ieri al rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, in risposta al telegramma di auguri che aveva appena ricevuto.
Il rabbino Di Segni aveva salutato con favore l'elezione del cardinale Ratzinger: « Apprezziamo la scelta del nuovo Papa e guardiamo con molto rispetto alla sua personalità carica di saggezza e di dottrina » .
Sull'atteggiamento personale del nuovo pontefice verso l'ebraismo, il rabbino si era detto fiducioso: « Il pensiero di Joseph Ratzinger è articolato e complesso, ma quel che è importante è stato sempre espresso con precisione e chiarezza. Per noi ci sono degli aspetti positivi assieme a qualcuno non altrettanto positivo, ma esistono i presupposti per continuare un dialogo serio, che non si può riassumere in un solo concetto » .
Come aspetto non del tutto positivo Di Segni aveva citato — in un'intervista all' Espresso — un'affermazione contenuta nell'istruzione Dominus Jesus che il cardinale Ratzinger pubblicò a nome di papa Wojtyla nel 2000, riguardante la figura di Cristo come « unica via di salvezza » per tutta l'umanità: « Il punto fondamentale, e strettamente teologico, è che cosa si vuol fare del dialogo, se i cattolici lo interpretano come strumento per trasformare gli ebrei in cristiani.
Se invece si permette che la salvezza possa passare non necessariamente attraverso Gesù, e c c o c h e g l i ebrei possono dialogare coi cristiani senza preoccupazione di doppi scopi » .
Il telegramma di risposta al rabbino inviato da Benedetto XVI segnala la buona intenzione di trovare punti di intesa.
Nel « messaggio » che papa Ratzinger aveva letto mercoledì mattina davanti ai cardinali c'era un saluto a « coloro che seguono altre religioni » , ma mancava un riferimento specifico all'ebraismo. Il telegramma — se così si può dire — colma quella lacuna.
Un atteggiamento di attesa « fiduciosa » nei confronti del nuovo Papa era stata dimostrata anche da altri esponenti dell'ebraismo, come il rabbino capo di Londra Jonathan Sacks e il rabbino capo di Russia Berl Lazar. Quest'ultimo — in particolare — si era detto « convinto che il dialogo proseguirà » e che Benedetto XVI « manterrà ferma una severa condanna dell'antisemitismo in tutte le sue forme » .
Il rabbino Jack Bemporad — profugo italiano dell'Olocausto e docente di Studi Interreligiosi all'Università Angelicum in Vaticano — ha espresso questa « speranza » : « Papa Giovanni Paolo II ha aperto le braccia agli ebrei. Noi a nostra volta apriamo le braccia al nuovo Papa come gesto di benvenuto e come fervida preghiera affinché progredisca e si rafforzi il nuovo rapporto armonioso e positivo che si è stabilito tra i cristiani e gli ebrei » .
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