Gaza : 25 attacchi contro l'esercito israeliano in meno di una settimana
mentre continuano i preparativi per il ritiro, i terroristi riprendono le violenze
Testata:
Data: 22/04/2005
Pagina: 5
Autore: Anna Momigliano
Titolo: Problemi di trasloco nella striscia di Gaza
IL RIFORMISTA pubblica a pagina 5 un articolo di Anna Momigliano sul ritiro israeliano da Gaza, e sulle violenze da parte dei terroristi palestinesi che hanno segnato l'ultima settimana.
Senza che la stampa italiana se ne occupasse.

Ecco l'articolo:

Il ritiro dalla Striscia di Gaza sarà anche rimandato (dopo il 14 agosto, dice Sharon), ma l'Autorità Palestinese si sta rimboccando le maniche (risponde Abu Mazen). Anzi, «siamo più organizzati degli israeliani. E molto più avanti coi preparativi», ha dichiarato un ministro dell'Anp al quotidiano israeliano Haaretz. Già all'opera sono due comitati di esperti: uno con base a Gaza, l'altro a Ramallah: ai due team di tecnici (soprattutto urbanisti ed esperti di diritto internazionale) si affianca poi la commissione politica, composta da sette ministri di Ramallah e guidata dal premier Abu Ala (al secolo Ahmed Qureia).
Occupazione numero uno degli esperti è passare in rassegna e selezionare gli edifici israeliani nella Striscia che ritengono «utili allo sviluppo e alla crescita dell'economia palestinese». Vagliata l'utilità degli edifici, caso per caso, la commissione d'esperti chiederà a Israele di lasciare intatti le costruzioni utili e di distruggere le altre. Secondo il diritto internazionale, sostiene il ministro palestinese, gli israeliani sono tra l'altro tenuti non solo a smantellare gli edifici che l'Anp riterrà opportuno smantellare, ma «anche a rimuovere tutti i detriti». Tanta puntigliosità da parte dell'Autorità può sembrare forse fuori luogo, davanti un evento tanto significativo come il disimpegno da Gaza, primo smantellamento di colonie israeliane dalla restituzione del Sinai all'Egitto. Ma l'obiettivo è semplice: mettere le mani avanti per evitare una seconda Yamit.
Quando Israele abbandonò le postazioni nel Sinai, all'inizio degli anni Ottanta, distrusse la maggior parte di ciò che aveva costruito: alcuni villaggi, e la cittadina di Yamit, dove i bulldozer abbatterono tutte le case, e tagliarono le linee elettriche (secondo la ricostruzione dell'emittente americana Abc). Gli insediamenti ebraici di Gaza constano di circa 1800 case private, 120 edifici pubblici e 30 sinagoghe (questi i dati dell'Israel policy forum di New York), ed è quindi comprensibile che l'Autorità sia interessata a potere usufruire di queste strutture. Perché la già instabile economia palestinese è uscita stremata dal fallimento della seconda Intifada, e perché l'Anp ha già dimostrato di avere molte difficoltà nel costruire infrastrutture per i suoi cittadini, senza contare che la leadership di Fatah gode di una minore legittimità a Gaza. Dove i problemi di sicurezza rischiano di rallentare qualsiasi costruzione. D'altro canto, Israele potrebbe avere buoni motivi per decidere invece di fare tabula rasa, come ai tempi di Begin: cioè il timore che Hamas, i Martiri di al-Aqsa e le varie forze estremiste che trovano nella Striscia la propria roccaforte utilizzino le strutture costruite dagli israeliani come basi.
Gaza, poi, non è Yamit. E' Hamasland, e, nella migliore delle ipotesi, ci vorrà molto tempo prima che Abu Mazen riesca a mantenere il controllo sulla zona. Le preoccupazione dei più pessimisti sembrano trovare conferma nell'escalation di violenza che si è verificata nella Striscia di Gaza in questi giorni. La tregua de facto osservata dai gruppi estremisti, com'era da aspettarsi, è terminata: 25 attacchi contro l'esercito israeliano in meno di una settimana, riportano fonti di Tsahal. Si tratta per lo più di esplosivi piazzati sulle strade percorse dalle jeep israeliane e controllati a distanza, molti dei quali vengono però disinnescati. Ieri, per esempio, una jeep israeliana è stata colpita da un'esplosione: 3 i feriti, secondo le fonti ospedaliere. «La pazienza di Tshal sta scemando», riporta Yediot Ahronot. Un ufficiale dell'esercito intervistato dal quotidiano sostiene che «la situazione non può andare avanti così»: o Abu Mazen riesce a fermare gli attacchi, oppure Tsahal, che finora ha mantenuto un profilo relativamente basso, si troverà costretto a una linea più interventista.
Attacchi o meno, questo ritiro s'ha da fare: «gli insediamenti di Gaza non sono mai stati costruiti con l'intenzione di essere per sempre sotto il controllo israeliano», spiega Sharon in un'intervista "pasquale" con Yediot Ahronot: «non c'è altra alternativa che smantellarle». Questo non significa però che il «ruolo storico dei coloni» sia giunto a un termine: «Abbiamo bisogno di nuovi insediamenti nel Negev, in Galilea e a Gerusalemme», spiega il premier. Che almeno a breve termine, il governo abbia intenzione di mantenere la maggior parte delle colonie in Cisgiordania, Ariel Sharon aveva già anticipato in un'intervista a Haaretz di pochi giorni prima: «saremo capaci di resistere alle pressioni internazionali su un ulteriore ritiro», cioè successivo allo smantellamento di Gaza e di alcune colonie a nord della West Bank. Quanto a Gaza, invece, nonostante i recenti episodi di violenza, le trattative per il disimpegno vanno avanti: ieri, in un albergo di Gerusalemme, Shimon Peres ha incontrato Abu Ala. Quanto allo slittamento, poi, è ufficiale: la seconda metà di agosto, per permettere ai coloni, quasi tutti religiosi, di osservare la festa religiosa di Tesha be-Av, che commemora la distruzione del Tempio e quest'anno cade il 14 agosto.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta di inviare il proprio parere alla redazione de Il Riformista. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.

cipiace@ilriformista.it