Intervista a Franco Frattini di Giuseppe Sarcina sul CORRIERE DELLA SERA di martedì 19 aprile 2005.
L'ex ministro degli Esteri italiano, ora vicepresidente della Commissione europea si oppone al progetto di depennare Hamas dalla lista delle organizzazioni terroristiche.
Ecco l'articolo, "Dico no, quel gruppo predica la fine di Israele":Per Franco Frattini « non ci sono nuove ragioni per togliere Hamas dalla lista delle organizzazioni terroristiche » . L'attuale vice presidente della Commissione europea ( portafoglio alla Giustizia, libertà e sicurezza), guidava, in qualità di presidente di turno, il Consiglio dei ministri degli Esteri che, il 6 settembre 2003, decise di mettere al bando la « rete palestinese » . Per Frattini non è cambiato nulla: « L'Europa non può concedere un assegno in bianco ad Hamas » . Non crede alla possibilità di una trattativa tra Hamas e le diplomazie europee? « Sinceramente più che un negoziato, vedo un'azione politica da parte di Hamas. Un sasso buttato nello stagno, per vedere quali sono le reazioni in Europa.
A me sembra chiaro che questa organizzazione stia cercando una legittimazione della Ue. Sta tentando il colpo, insomma, per rendere presentabile la propria candidatura nelle elezioni politiche in Palestina » . Invece resta, semplicemente, un'organizzazione terroristica? « Hamas è un partito movimento che guarda da una parte ai gruppi più radicali, quegli stessi che ancora in questi giorni spingono, nei campi profughi, per una ripresa delle azioni violente contro Israele. Dall'altra parte si propone come forza politica: alle municipali ha preso più voti del Fatah, cioè il partito del presidente Mahmoud Abbas. E ora punta alle politiche » . E chiede un lasciapassare diplomatico alla Ue...
« Appunto. Penso che proprio non ci siano le condizioni per rilasciarlo. Nell'atto costitutivo di Hamas è scritto che si vuole " l'estinzione di Israele". Basterebbe solo questo per capire che la Ue, impegnata com'è nel ruolo di arbitro nel processo di pace nel Medio Oriente, non possa assolutamente fare aperture di credito a chi si propone di distruggere un Paese vicino » . Hamas potrebbe cambiare la sua « ragione sociale » ? « Il problema è enorme. All'interno di questa realtà anche le fondazioni che operano per scopi socio educativi incitano alla violenza verso Israele, basta guardare certi programmi scolastici. Oppure continuano a promettere sostegno economico ai parenti dei ragazzi kamikaze.
Per non parlare degli ultimi episodi di intolleranza quotidiana nei confronti delle donne. Tutte cose su cui non possiamo tacere e, men che mai, sorvolare: c'è, insomma, una questione generale che riguarda il rispetto dei diritti umani » . Ma il coinvolgimento nelle elezioni, in un processo democratico per quanto rudimentale, non può favorire un'evoluzione del gruppo? In altri Paesi, per esempio in Algeria, l'emarginazione politico istituzionale dei partiti radicali ha fatto crescere fanatismo ed estremismi.
« Accetto il rilievo. Io non sono contrario al fatto che Hamas partecipi alle elezioni politiche. Lo faccia, prenda il potere se l'elettorato glielo affida. Però sarebbe sbagliato chiedere all'Europa di favorire questo processo. Noi non possiamo dare oggi in mano una carta a una formazione che non dà garanzie. Al fondo c'è un ragionamento politico. Negli ulti mi mesi l'Unione Europea ha seguito con attenzione i passi del Presidente Mahmoud Abbas, i suoi sforzi verso la pace e lo sviluppo della democrazia in Palestina » . Quindi « sdoganare » Hamas significherebbe danneggiare Mahmoud Abbas e bloccare il processo di pace? « E' così. Dobbiamo guardare con attenzione a chi è il vero interlocutore, a chi sta cercando di accreditarsi nel campo internazionale. E questo è Mahmoud Abbas. Faccio osservare che nel testo originale del " patto" firmato al Cairo tra Autorità palestinese e formazioni radicali non si parla di " tregua" in Medio Oriente, ma di " situazione di calma", che è ben altra cosa. Anzi, è un'espressione che non si capisce bene che cosa significhi e quali certezze dia per il futuro.
Voglio dire: la stabilità in quell'area è ancora tutta da costruire. Per questo l'Europa non può indebolire chi, come Mahmoud Abbas e i dirigenti del partito Fatah, si stanno impegnando sulla strada della pacificazione » .
L'articolo di Sarcina "Solana sonda i governi UE per "riabilitare" Hamas " conferma che le manovre per il riconoscimento di Hamas come interlocutore politico legittimo dell'Unione europea sono in corso.
In ballo, potrebbero esserci anche, è logico pensare, possibilità di finanziamento. Scrive infaftti Sarcina che "Le diplomazie europee danno letture diverse: per inglesi, danesi, e molti dei nuovi Paesi dell'Est Hamas significa soprattutto attentati e violenza; per francesi e spagnoli l'organizzazione garantisce la tenuta sociale della Palestina. Tra un paio di mesi una nuova verifica delle posizioni". E allora potrebbe persino sembrare non inopportuno finanziare Hamas perché continui a garantire "la tenuta sociale della Palestina".
Non è inutile, a questo proposito, considerare la terminologia adoperata da Sarcina per descrivere i due schieramenti che si affronterebbero sulla questione. Terminologia che presumibilmente riflette la freddezza cinica e falsamente oggettiva del linguaggio delle diplomazie europee, o di alcune di esse. "Letture" diverse? "Posizioni" diverse? Non ci sembra che sia così. Che Hamas gestisca scuole (dove forma i futuri terroristi suicidi) e ospedali è noto.
E' anche noto che organizza stragi di ebrei, attività che ha temporaneamente sospeso ( o ridotto, continuano infatti i tiri, talora imprecisi, di mortaio e di razzi qassam), ma mai abbandonato.
Non esiste nessuna seria controversia sui fatti. Si tratta solo di decidere se gli assassini di ebrei sono rispettabili interlocutori dell'Unione europea, purchè facciano anche un po di assistenza sociale.
Si tratta, come ben si capisce, di morali, o, meglio, di moralità, non di "letture" o "posizioni", diferenti.
Ecco l'articolo:Due mesi di « monitoraggio » , poi i 25 Paesi della Ue potrebbero riesaminare la possibilità di cancellare Hamas dalla lista delle organizzazioni terroristiche. A Bruxelles trovano conferma le notizie pubblicate ieri dal Corriere sui contatti in corso tra il gruppo islamico palestinese e l'Unione europea.
In questi giorni, mediazioni e prudenti sondaggi sono condotti dallo staff di Javier Solana, l'Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune. Ma le decisioni sono nelle mani dei governi.
La prima condizione, considerata irrinunciabile in tutte le capitali europee, è che la tregua stipulata al Cairo tra l'Autorità palestinese e le formazioni radicali dia « risultati reali » . Vale a dire: basta attentati, basta azioni di para guerriglia nei Territori occupati. Dopodiché, se tutto fila liscio, a ridosso delle elezioni politiche in Palestina, fissate per ora il 16 luglio, la Ue potrebbe rimettere in moto la procedura. La presidenza di turno lussemburghese o quella inglese ( dal primo luglio) rimetterebbe il dossier Hamas sul tavolo del Comitato politico e di sicurezza, il « Cops » , formato dai rappresentanti dei Paesi. Poi la questione passerebbe al gruppo « tecnico » ( « Clearance house » ) , cui spetta il compito di aggiornare, cancellando o aggiungendo, la lista delle sigle considerate fuorilegge. Qualsiasi delibera richiede l'unanimità.
La scelta di includere Hamas nell'elenco risale al 6 settembre del 2003, quando il Consiglio dei ministri degli Esteri, sotto la guida di Franco Frat tini, raggiunse un faticoso consenso. Restarono, e restano fuori dalla registrazione, nonostante le pressioni di americani e israeliani, i nomi dei sei leader chiave e delle quattro fondazioni cui fanno capo le finanze della « rete » palestinese.
A tutt'oggi l'Unione Europea è profondamente divisa. Gli esperti della « Clearance » si sono visti per l'ultima volta lo scorso gennaio. Breve giro di opinioni e poi tutti convengono che, sullo scacchiere palestinese, è meglio lasciare le cose come stanno.
Il motivo è semplice.
Hamas è un arcipelago, in cui convivono realtà completamente diverse: strutture con compiti socio sanitari guidate dai « politici » , un ceto di « colletti bianchi » che ora vorrebbe affrontare la prova delle urne. Ma ci sono anche le milizie, e secondo le ac cuse degli israeliani, i terroristi o gruppi di supporto « militare » al terrorismo. Le diplomazie europee danno letture diverse: per inglesi, danesi, e molti dei nuovi Paesi dell'Est Hamas significa soprattutto attentati e violenza; per francesi e spagnoli l'organizzazione garantisce la tenuta sociale della Palestina. Tra un paio di mesi una nuova verifica delle posizioni.
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