Quando gli stereotipi sono più forti della realtà
una cronaca di u.d.g. cede al loro fascino
Testata:
Data: 16/04/2005
Pagina: 1
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: La rivolta dei coloni viaggia on line
L'UNITA'di sabato 16 aprile 2005 pubblica un articolo di Umberto De Giovannangeli sulla realtà degli insediamenti israeliani, vista attraverso i siti internet che la rappresentano e ne sostengono le ragioni.

Si tratta di un modo di presentare la realtà degli insediamenti parziale, perchè prevedibilmente nei siti internet si esprime la parte ideologicamente più motivata dei settler.
A parte questo, l'articolo appare singolarmente contraddittorio.
Quando descrive la realtà del dibattito che ha luogo negli insediamenti u.d.g., di fatto, presenta una situazione lontana dagli stereotipi a dalla disumanizzazione spesso operata dai media.
Quando si tratta di esprimere giudizi, però, u.d.g. si dimentica dei dati di fatto e ritorna agli stereotipi.
I coloni sono tutti pericolosi estremisti, tutti disposti a "imporre" la loro presenza sul Monte del Tempio mediante stragi come quella compiuta da Baruch Goldstein a Hebron,tutti istigatori alla diserzione, anche quelli che si limitano ad auspicare che i militari non siano costretti a sgomberare i loro parenti.
Le immagini delle vittime del terrorismo palestinese nei siti dei coloni sono d'altro canto solo "propaganda".
Tanto per non correre il rischio di dover rivedere le proprie posizioni.

Ecco l'articolo:

Viaggio «virtuale» tra gli irriducibili di Eretz Israel. Viaggio in rete nei siti che veicolano le idee, i proclami, le testimonianze, la rabbia, la disperazione, gli appuntamenti della destra ultranazionalista e dell’ala più oltranzista del movimento dei coloni israeliani. È un viaggio tra giovani che «chattano» il proprio credo messianico e che si dicono pronti, come Yosh, a sacrificare la propria vita per «impedire la deportazione dei miei fratelli ebrei» da Gaza. È un viaggio in una Israele minoritaria, certo, ma non per questo meno significativa, inquietante e pericolosa non solo per il rilancio del processo di pace con l’Anp di Abu Mazen, ma per la tenuta delle basi democratiche dello Stato d’Israele.
Sono otto i siti internet collegati al movimento dei coloni e alla destra israeliana. Visitare le loro pagine vuol dire imbattersi in una Israele che ha di sé l’idea di un ghetto super armato, circondato da un mondo, non solo quello arabo, ostile; l’Israele che teme una nuova Shoah, stavolta per mano araba. I documenti, le testimonianze, i forum - come quelli che troviamo su www.yesha.org.il - danno conto di un microcosmo arroccato sulle proprie certezze, e sulle proprie paure; un microcosmo autoreferenziale impermeabile a qualsiasi «contaminazione» culturale che provenga dal mondo dei Gentili.
In questo viaggio in rete incontriamo Yael, 21 anni, che esalta il «sacrificio» di Yigal Amir, il giovane zelota che dieci anni fa uccise il premier laburista Yitzhak Rabin, colpevole ai suoi occhi di aver «svenduto» Israele a Yasser Arafat. «Yigal - scrive Yael - si è fatto strumento di un volere divino. Ha sacrificato la sua esistenza per la salvezza di Israele». Il tam-tam mediatico non conosce soste. Sul sito www..israelnationalnews.com è riportato con grande evidenza l’ultimo comunicato del «Consiglio dei rabbini di Giudea e Samaria (Cisgiordania)», nel quale si ordina ai suoi seguaci di trasferire immediatamente in massa nella Striscia di Gaza e di restare anche nei prossimi mesi in quella zona per sventare lo sgombero delle colonie ordinato dal premier Ariel Sharon.
Le pagine web sono ben curate, soprattutto per ciò che concerne la parte fotografica. Se quella combattuta con i palestinesi è anche una «guerra mediatica», i coloni ultrà sanno come affrontarla. Le immagini che troviamo nell’archivio del sito www.a7.org sono un pugno nello stomaco che lascia senza fiato: sono le immagini dei corpi straziati di bambini, di neonati uccisi da terroristi palestinesi in attentati suicidi o in spedizioni contro gli insediamenti.
La sinergia tra i siti Internet e Arutz 7 (Canale 7) è da manuale. Mentre sul sito www.gamla.org.il si aggiornava in tempo reale il sondaggio sul tema: siete d’accordo o no con l’appello lanciato da un gruppo di rabbini, tra i quali l’ex rabbino capo ashkenazita Avraham Shapira, ai soldati perché disobbediscano in massa agli ordini di sgombero delle (21) colonie di Gaza e di quelle (4) in Cisgiordania, la radio dei coloni mandava in onda una intervista più «problematica» con Pinchas Wallerstein, uno dei leader del movimento dei coloni: «Sono contrario - afferma Wallerstein, che vive nell’insediamento di Ofra - a incitare alla insubordinazione», ma subito dopo aggiunge: «tuttavia se un soldato si trova davanti a casa sua o a casa di un parente o di un amico e deve eseguire uno sgombero, egli è responsabile delle proprie azioni davanti alla sua coscienza». «Sarebbe orribile - conclude il leader dei coloni - se l’esercito lo costringesse a una simile, deplorevole, vergognosa azione. Avremmo bisogno di molti anni per riparare una divisione come questa». Il confronto via internet è serrato, spesso aspro ed evidenzia anche un’articolazione di posizioni all’interno del fronte oltranzista. Su moetzetyesha.co.il si sviluppa un forum molto partecipato attorno alle rivelazioni di Yediot Ahronot, il più diffuso giornale israeliano, su un piano «Sharon bis» che porterebbe ad una annessione di fatto ad Israele della alta vallata del Giordano e delle zone di colonizzazione di Ariel (Cisgiordania settentrionale), Talmon (presso Ramallah), Maaleh Adumim (a est di Gerusalemme) e Gush Etzion, presso Betlemme. «Non dobbiamo cadere nel tranello di Sharon - "chatta" Uzi - in questo modo vuole solo indorare la pillola della provocazione di Gaza». «Ma se fosse vero - ribatte Avigdor - forse il sacrificio di Gaza avrebbe un senso...».
Visitare i siti legati all’Israele oltranzista permette di incrociare l’esistenza e la storia di persone che escono dai tradizionali stereotipi del giovane colono fanatico ultrareligioso. È il caso di Rachel Saberstein, che vive con suo marito, Moshe, a Neveh Dekalim (Oasi della pace), nel blocco di insediamenti di Gush Katif. «Siamo arrivati a Gush Katif - racconta la signora Saberstein - nel 1997 dopo essere immigrati dagli Usa in Israele nel 1968. Siamo venuti qui per motivi ideologici e per di più con il pieno sostegno del governo israeliano. Ma dal 2000 qui si vive sotto il fuoco continuo dei terroristi palestinesi. Nonostante questo - prosegue la testimonianza dell’anziana colona - abbiamo tenuto duro. E adesso chi ci caccia è proprio il governo israeliano, cosa che ai terroristi finora non era riuscita...».
Rabbia, disperazione, volontà di resistere a tutti i costi. Sono i sentimenti che emergono via internet dal mondo dei coloni. Su tutto, si leva l’accusa di tradimento scagliata contro Ariel Sharon. Un’accusa che trova sostanza religiosa e ideologica su Nekudà, il mensile ideologico del movimento, come su Mishpahà, settimanale della destra ortodossa; un sentimento che Rachel Saberstein sintetizza così: «E pensare che è stato proprio Sharon ad assicurarci che noi siamo la spina dorsale della nazione, noi che combattiamo al fronte più avanzato e che Gush Kativ e Tel Aviv sono una stessa cosa. Fino all’ottobre scorso, quando alla radio sentiamo dire il contrario: che siamo noi a mettere in pericolo la sicurezza d’Israele. Personalmente - conclude - sono sconvolta nel vedere con quanta facilità si possa cacciare degli ebrei dalla loro terra ebraica in spregio ad ogni convinzione che Israele sia la patria degli ebrei. C’è ancora qualche speranza per gli ebrei nel mondo?».
Testimonianze personali e proclami alla rivolta collettiva s’intrecciano in questo viaggio «interinale». «Questa è la nostra patria biblica, ci appartiene da migliaia di anni. Ci opporremo all’evacuazione anche con le armi», avverte su www.imra.org.il Iran Steinberg, portavoce della colonia di Neveh Dekalim, dove risiedono 520 famiglie. Una minaccia che il ministro della Difesa Shaul Mofaz non sottovaluta affatto: secondo un rapporto dell’intelligence militare i residenti del Gush Katif disporrebbero di oltre 3mila pistole, fucili, razzi.
Anche Yoshua e Yehudit Sweig rigettano con sdegno l’idea dell’evacuazione. «I nostri figli sono nati qui - racconta Yehudit -. Mia madre Myriam è arrivata in Israele dall’Ungheria nel 1957, sopravvissuta ad Auschwitz dove la sua famiglia è stata sterminata. Siamo stufi di scappare. Qui abbiamo messo le nostre radici». Radici che l’ala più estrema dell’ultradestra vorrebbero estendere sino al Monte del Tempio (la Spianata delle Moschee) nel cuore di Gerusalemme. Riprendiamoci la Spianata: è il grido di battaglia del gruppo «Revava» amplificato dal sito www.kahane.org.il, legato al «Kahane-Hay», un movimento fuorilegge in Israele - per terrorismo - che opera quindi dagli Stati Uniti. Il leader di «Revava» è David ha-Ivri, ex-dirigente del gruppo eversivo Kach. Con l’iniziativa, peraltro fallita, di «portare 10.000 ebrei sul Monte del Tempio» il gruppuscolo ha acquisito una immediata fama internazionale. Dal sito Internet fiancheggiatore, ha-Ivri denuncia il fatto che la polizia fermi i suoi seguaci quando cercano di mormorare preghiere durante brevi visite sulla Spianata: «Ma come? Noi recitiamo preghiere nel luogo più sacro agli ebrei e la polizia di Israele ci tratta alla stregua di chi vada nudo nelle strade di Tel Aviv!». Il suo obiettivo è cambiare lo status quo sul Monte del Tempio: vuole ottenere che in un primo momento gli ebrei vi possano pregare regolarmente, poi si penserà a una sinagoga vera e propria». E i musulmani? Dovranno, sentenzia via web il leader ultrà, «finire con l’abituarsi alla nostra presenza». Una presenza da imporre con ogni mezzo. Come fece l’eroe dei fanatici di Eretz Israel, la cui immagine è immortalata sul sito fuorilegge: Baruch Goldstein, il medico-colono che il 25 febbraio 1994 imbracciò il mitra e fece strage di fedeli musulmani in preghiera nella Tomba dei Patriarchi di Hebron.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de L'Unità. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.
lettere@unita.it