La pace in Medio Oriente: difficile raggiungerla con regimi come quello siriano e iraniano, ma con il desiderio di libertà cresce la simpatia per Israele
un' intervista a Moshe Katzav e due notizie sull'Iran
Testata:
Data: 12/04/2005
Pagina: 15
Autore: Davide Frattini - Caren Davidkhanian - Paolo Mastrolilli
Titolo: Katsav: « Ridarei la mano ad Assad Ma la Siria fa il doppio gioco » - Israele va di moda nella Teheran giovane - Washington finanzia l’opposizione interna agli ayatollah
Il CORRIERE DELLA SERA di martedì 12 aprile 2005 pubblica a pagina 15 un'intervista di Davide Frattini al presidente israeliano Moshe Katzav, protagonista a Roma dell'episodio della stretta di mano con i presidenti siriano e iraniano (dal quale è giunta una smentita e un violento atatcco a Israele).

Ecco il testo dell'intervista:

Signor presidente, rifarebbe quel gesto? « Certo. Le strette di mano sono sempre positive.
Anche se le differenze non possono scomparire dopo questi contatti, che non hanno ancora il valore della partita a ping pong tra Cina e Stati Uniti. Sfortunatamente » .
Moshe Katsav è tornato venerdì da Roma, dove ha guidato la delegazione israeliana ai funerali di Giovanni Paolo II. Ancora ieri il Jerusalem Post dava la caccia alle prove: le fotografie della stretta di mano con il siriano Bashar Assad o gli scatti che fermassero l'altro momento storico, qualche parola sussurrata in farsi con l'iraniano Mohammad Khatami ( smentita da Teheran).
Katsav, 59 anni, presidente dello Stato ebraico dal 2000, riceve per un'ora il Corriere della Sera e Il Messaggero nel suo ufficio di rappresentanza a Rehavia, uno dei quartieri più eleganti di Gerusalemme. E' la prima intervista dopo la cerimonia in Vaticano e quei saluti che sono stati criticati — non apertamente — dal governo israeliano. Un anno fa invitò a Gerusalemme Bashar Assad, che non accettò. Rinnoverebbe l'offerta? « Perché dovrei? Che cosa farebbe lei al mio posto? Invita qualcuno a casa sua e lui risponde no. La Siria deve prima inviare segnali positivi. C'è un gesto molto facile: la vedova del nostro agente segreto Eli Cohen, catturato e impiccato quarant'anni fa, ha inviato ad As sad un appello in video perché le restituisca i resti del marito. Lo conceda.
Ma la realtà è che la Siria preferisce il doppio gioco: annuncia che vuole negoziati con Israele e continua a sostenere l'Hezbollah, a ospitare le organizzazioni terroristiche palestinesi. Dimostri di essere seria, fermi gli estremisti. Un compromesso con Damasco può essere raggiunto, ma non se Assad pone delle precondizioni » . Il suo incontro con Khatami è avvenuto alla vigilia del viaggio negli Stati Uniti di Ariel Sharon, che considera la minaccia iraniana uno dei punti chiave nei colloqui con George W. Bush. Esiste una strategia morbida per fermare il programma nucleare di Teheran? « Non credo, l'Iran continua a ingannare la comunità internazionale. Il mondo libero deve convincere il regime a fermarsi, altrimenti sarà un disastro per la pace e la stabilità. Teheran vuole possedere armi di distruzione di massa, ma non ci sono minacce alla sua esistenza. Ripete che Israele deve essere distrutto e non abbiamo neppure confini comuni. Un regime totalitario non deve sviluppare ordigni nucleari. Se ci riuscisse, non sappiamo nelle mani di chi potrebbero finire: organizzazioni terroristiche o altri Stati non democratici » . Lei è nato in Iran. Vorrebbe poter tornare? « Sì. Mio fratello Aron e mio nonno Refael sono seppelliti a Yadz, la nostra città di origine » . Negli ultimi giorni la tregua tra israeliani e palestinesi sembra vacillare. Mahmoud Abbas sta facendo abbastanza per disarmare gli estremisti? « Il presidente palestinese ha cercato un compromesso con Hamas e la Jihad islamica, ma non è possibile. Hamas vuol diventare un partito politico? Bene, però una formazione politica non può mantenere le sue milizie armate.
Abbas ha dichiarato molte volte che ci dev'essere una sola legge e una sola autorità: lo metta in pratica, altrimenti non so quanto potrà resistere. Io mi fido di lui, è serio. La distanza politica tra governo israeliano e Autorità palestinese non è mai stata così breve. Il problema è se Abbas ha la determinazione, la personalità e la leadership per fermare il terrorismo e guidare i palestinesi alla riconciliazione e alla pace. Se disarma i terroristi, noi ci siamo impegnati a seguire la road map fino al riconoscimento di uno Stato palestinese » . Quali gesti potrebbe fare Gerusalemme per rafforzare la sua posizione? « Fin da quando è stato eletto, lo abbiamo aiutato e siamo pronti a fare di più. L'esercito israeliano ha quasi del tutto fermato le operazioni contro i palestinesi. Negli ultimi due giorni centinaia di razzi sono stati sparati contro di noi da Gaza. Quale altra nazione resterebbe calma? Stiamo dimostrando la volontà di evitare un'escalation, perché sappiamo che se reagiamo, Abbas diventerebbe più debole e noi questo non lo vogliamo » . Ha avuto contatti con Abbas? Ha intenzione di invitarlo a Gerusalemme? « Voglio invitarlo, ma preferisco che il primo faccia a faccia avvenga con Sharon. L'ho chiamato due volte, come segno di cortesia: durante il Ramadan e do po l'elezione » . C'è un prigioniero palestinese nelle carceri israeliane che secondo molti analisti sarebbe il leader capace di fermare gli estremisti. Ma per uscire dalla cella, Marwan Barghouti ha bisogno che lei gli conceda la grazia. Lo farebbe? « Non ho ricevuto la richiesta di grazia e comunque perché dovrei concederla? Come potrei spiegarlo alla gente? Barghouti è stato condannato dai nostri tribunali perché coinvolto negli omicidi di israeliani. Potremmo dire che Jibril Rajoub o Mohammed Dahlan sono più forti militarmente di Abbas.
Ma è Abbas a essere stato eletto, non un altro. Ed è lui il nostro interlocutore » . Con l'annuncio del ritiro da Gaza, Israele sta affrontando una delle crisi interne più gravi della sua storia. Quant'è profonda la frattura tra i coloni e il resto della società? « Non credo ci sarà una guerra civile. Israele è una nazione democratica. Tutti si sorprendono perché Sharon ha fatto approvare il piano di evacuazione da Gaza. Complimenti a Sharon come leader, ma soprattutto complimenti ai valori democratici della società israeliana. Il governo ha discusso, si è diviso tra favorevoli e contrari, poi il parlamento ha deciso. Il punto è che dopo Oslo tutta la mappa politica del Paese, anche il Likud, si è mossa — non voglio dire verso sinistra, perché sulle scelte economiche le differenze restano — ma verso il riconoscimento dei palestinesi » .
IL RIFORMISTA pubblica a pagina 7 un articolo di Caren Davidkhanian sulla positiva percezione di Israele da parte della gioventù iraniana, stanca dell'oppressione da parte del regime degli ayatollah, caratterizzato da una fanatica ideologia antisionista.

«Khatami ha lasciato i suoi attributi a Roma». Questo è il commento più frequente che si legge nella blogosfera persiana. La storia del saluto tra il presidente iraniano, Mohammad Khatami, e quello israeliano, Moshe Katzav, ha fatto il giro della rete e dell’etere, causando stupore in tutto il Medio oriente. Così anche le smentite di Khatami, che hanno portato un blogger del Baluchistan iraniano a soprannominarlo «sheikh hasha», ovvero «lo sceicco diniego».
Sono in pochi in Iran a credere nella smentita di Khatami. Per molti è un’ulteriore prova che il presidente uscente non avrebbe mai avuto il coraggio di portare avanti le riforme da lui promesse. Resta però il fatto che a Roma è successo qualcosa d’importante. Prima di tutto, Khatami ha partecipato a una cerimonia dove era presente anche il presidente israeliano. L’estate scorsa ad Atene gli atleti iraniani si fecero venire il mal di pancia per evitare di partecipare alle gare olimpioniche dove avrebbero incontrato i loro colleghi «sionisti». Poi, se esisteva qualcuno in Iran che non aveva ancora capito che il presidente israeliano fosse di origine iraniana e, per giunta, della stessa città natale di Khatami, l’"incidente" di Roma ha chiarito le sue idee. Grazie a internet e satelliti, sono sempre di più le persone che vedono Israele come l’unica democrazia compiuta della regione. E siccome gli iraniani sono un popolo molto fiero, che il presidente di quella democrazia sia di Yazd e parli il persiano fa un certo effetto.
Supponiamo che lo scambio abbia avuto luogo. Per quale motivo Khatami ha scelto di fare un gesto così clamoroso? Alcuni esperti iraniani sostengono che tale gesto mirava a rafforzare la posizione di Khatami alle presidenziali di giugno, dimostrando che i riformisti possono ancora essere fautori di cambiamento. Altri, invece, vedono in esso un tentativo scaltro di sbugiardare coloro che accusano l’Iran di voler procurarsi la bomba nucleare per realizzare l’obiettivo dichiarato della sua politica estera: l’annientamento dell’Israele.
Esiste però una terza teoria secondo cui alcuni gruppi all’interno del sistema teocratico sarebbero a favore di riallacciare rapporti con Israele. Questi sosterrebbero che sul piano di interessi nazionali, Israele è un alleato naturale dell’Iran più di quanto non lo siano i paesi arabi. La riflessione nasce dal fatto che nonostante le posizioni estremamente filo-arabe di Teheran, durante la guerra tra Iran e Iraq tutti gli arabi (inclusi i palestinesi di Yasser Arafat che tanto aiuto ricevettero dai khomeinisti non appena essi presero il potere nel 1979) sostennero incondizionatamente Saddam Hussein.
Questa posizione combacia con un sentimento che si sta diffondendo, anche se lentamente, tra i giovani iraniani. Prima della rivoluzione islamica, l’Iran aveva rapporti forti con l’Israele, apprezzato e preso a modello soprattutto per la sua capacità di far fiorire l’agricoltura in un paese sostanzialmente desertico e per la sua capacità di resistere agli arabi, come in passato l’impero persiano tentò di fare, senza però riuscirci. Il sentimento anti-israeliano, dovuto all’occupazione dei territori palestinesi, era di fatto inesistente non solo per la distanza geografica ma anche per l’antipatia persiana nei confronti dei vicini arabi, accusati di non aver mai amato gli iraniani e di averne distrutto l’antica civiltà. Oggi, una delle accuse più comuni contro il clero al potere è che essi sono «arabizzati» e «nemici della cultura persiana», mentre gli arabi vengono disprezzati da entrambe le parti: i laici li detestano per aver islamizzato il paese tredici secoli fa mentre i credenti non vedono gli arabi di buon occhio perché questi, in maggioranza sunnita, considerano eretici gli sciiti. A questo va aggiunto un fattore psicologico: chi vive in regimi repressivi, tende a simpatizzare con coloro che vengono dipinti come nemici dal regime. È successo già nell’Unione Sovietica, e ora sta succedendo in Iran e in altri paesi dove regimi dittatoriali usano la questione israelo-palestinese come scusa per impedire ogni sviluppo democratico. «Fa parte della natura umana ribellarsi alla repressione e passare dall’altra parte», sostiene Conrad Winn, presidente della Compass Polling, società di sondaggi secondo cui un quinto dei canadesi di origini mediorientali crede che Israele abbia «ragione in quasi tutti i campi» (www.ArabsFor Israel.com).
Hossein Derakhshan, giovane figlio di regime, padre dei blogger iraniani esiliato in Canada, scriveva un paio di giorni fa: «Accettiamolo, Israele è la chiave per il futuro dell’Iran». Secondo lui il gesto di Khatami, se confermato, sarebbe stato «un passo verso una politica estera logica e non ideologica». Derakhshan scrive che Teheran e Gerusalemme dovrebbero stabilire relazioni simili a quelli tra Washington e Londra. Il pensiero di Derakhshan non è molto maturo, ma è indicativo dell’atteggiamento di molti giovani verso Israele. In poche ore decine e decine di persone rispondono al suo articolo, alcuni arrabbiati, ma maggior parte complimentandosi. Un altro giovane giornalista esiliato di recente, Nima Rashedan, scrive che per i suoi coetanei che la kefiya di Arafat «rappresentava l’odio. Il modo di vivere dei giovani di Teheran è simile a quello dei giovani di Tel Aviv: ascoltano le stesse musiche, amano ballare, prendere ecstasy, e bere la birra. Dopo l’11 settembre, erano gli unici nel Medio oriente a scendere in strada con le cere accese. Erano anche gli unici a sostenere la guerra contro Saddam Hussein e la rielezione di Bush. La nostra visione del mondo si basa sui nostri interessi, non su miti e leggende. E la nostra storia millenaria ci insegna che nessuno ha interessi comuni quanto noi e gli ebrei. Gli israeliani di origine iraniana amano l’Iran molto di più di alcuni nostri leader».

Paolo Mastrolilli su LA STAMPA ci informa invece sui finanziamenti all'opposizione iraniana da parte degli Stati Uniti:
I soldi americani torneranno a scorrere in Iran, ma per favorire la democrazia e la caduta del regime islamico. Lo ha annunciato lo stesso dipartimento di Stato, offrendo finanziamenti a chiunque li userà per accelerare il crollo degli ayatollah. Teheran ha preso la minaccia sul serio e ha promesso azioni legali contro Washington. Il caso è nato quando il Bureau of Democracy, Human Rights and Labor del dipartimento di Stato, cioè l'ufficio incaricato di seguire i temi della democrazia, i diritti umani e il lavoro, ha pubblicato uno strano bollettino sul proprio sito internet. L'annuncio rivelava che il Congresso ha stanziato 3 milioni di dollari per promuovere la forma di governo rappresentativa all'interno della Repubblica islamica, e quindi Washington sta sollecitando proposte da parte di «istituzioni accademiche, gruppi umanitari, organizzazioni non governative e individui in Iran, per sostenere l'avanzamento della democrazia e dei diritti umani».
La cifra può sembrare piccola, ma secondo Les Campbell del National Democratic Institute «si tratta di un cambiamento epocale». Gli Stati Uniti già spendono ogni anno 15 milioni di dollari per trasmettere programmi radio e televisivi in Iran, usando la lingua locale farsi, ma sono destinati a strutture che si trovano all'esterno della Repubblica islamica. Almeno in via ufficiale, neppure un dollaro è entrato nel paese dal 1979, cioè da quando a Teheran si è affermata la rivoluzione khomeinista. Adesso, invece, Washington si offre di finanziare direttamente i gruppi sul terreno che vogliono promuovere la democrazia. I soldi non sono molti ed è assai probabile che il governo iraniano vieti a chiunque di prenderli, ma il cambiamento politico rappresenta una svolta.
Il presidente Bush aveva già reso noti i propri sentimenti, quanto aveva accomunato l'Iran all'Iraq e alla Corea del Nord nel famoso «asse del male». Dopo l'intervento per rovesciare Saddam la situazione si è anche complicata, per il sospetto di interferenze degli ayatollah a favore della guerriglia irachena, e adesso c'è chi teme che la Repubblica islamica cerchi di influenzare il nuovo governo guidato dalla maggioranza sciita. Sulla sfondo, poi, resta la complicata questione nucleare, con Washington che accusa Teheran di voler produrre armi atomiche da usare in proprio, oppure da offrire a gruppi terroristici come Al Qaeda o Hezbollah, considerato da sempre il braccio iraniano in Libano. Bush ha ribadito la volontà di favorire un «cambio di regime» anche nella Repubblica islamica, quando nel discorso per l'inauguazione del secondo mandato si è rivolto ai cittadini iraniani: «Mentre prendete posizione per la vostra libertà, l'America sta con voi». Ora Washington vuole dimostrare che quelle non erano solo parole, offrendo soldi.
Teheran ha preso la minaccia molto sul serio, promettendo di reagire per vie legali non meglio specificate. Come prima cosa l'ambasciatore iraniano all'Onu, Mohammad Javad Zarif, ha detto che l'iniziativa del dipartimento di Stato «viola gli accordi di Algeri». Questa intesa, raggiunta nel 1981, aveva portato alla liberazione di 52 ostaggi americani, in cambio dell'impegno da parte degli Usa di «non intervenire, politicamente o militarmente, negli affari interni dell'Iran». Quindi Abdollah Ramezanzadeh, portavoce della Repubblica Islamica, ha aggiunto: «Per anni il governo americano ha stanziato fondi finalizzati ad interferire con i nostri affari domestici. Il paese e il regime sono abbstanza stabili da non essere disturbati da simili misure. Tali atti, però, sono contro le norme e le leggi internazionali. Quindi il ministero degli Esteri assumerà le iniziative legali necessarie».
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