Un passo indietro?
la riflessione di Federico Steinhaus su una notizia non confermata del TG 5 e sui rapporti tra Chiesa cattolica ed ebrei
Testata:
Data: 11/04/2005
Pagina: 1
Autore: Federico Steinhaus
Titolo: Un passo indietro?
La mattina di domenica 10 aprile 2005 abbiamo sentito al TG 5 una notizia che, se confermata, susciterebbe in noi non poche perplessità. Pertanto, preferiamo in questo momento scrivere al condizionale, ed apporre punti interrogativi più che esclamativi alle nostre considerazioni.

La notizia è questa: rispondendo alle inusuali e plateali richieste di una parte delle masse che sono intervenute alle esequie di Giovanni Paolo II è stato reso noto – non sappiamo se da fonti vaticane – che il primo miracolo attribuito od attribuibile al papa defunto del quale molti non identificati fedeli chiedono la santificazione sarebbe la guarigione da un tumore nientemeno che di un ebreo, avvenuta immediatamente dopo la sua conversione al cattolicesimo.

Ascoltando questa notizia, scarna ma non per questo meno sconvolgente, due flash ci hanno immediatamente riportato alla memoria avvenimenti del passato remoto e del passato recente.

Nel 1943 (nel 1943!) il cardinale Cicognani espresse agli Stati Uniti, e prima di lui lo aveva fatto il Segretario di Stato nei confronti del governo britannico, che la Chiesa si opponeva alla creazione di una patria ebraica in Palestina, per la quale quale non vedeva giustificazioni storiche o religiose. Poco dopo un inviato speciale del papa, padre Tacchi Venturi, si recò da Badoglio che guidava il governo italiano scaturito dalla caduta del fascismo, per chiedergli di non abrogare le leggi razziali del 1938.

Negli anni del suo pontificato Giovanni Paolo II, seguendo in ciò la forte ed intensa indicazione teologica di Giovanni XXIII che aveva abolito il concetto stesso di popolo deicida e la responsabilità collettiva ed eterna del popolo ebraico, valicò i profondissimi fossati che dividevano ancora il cattolicesimo dall’ebraismo con i gesti e le decisioni che tutto il mondo ha ricordato in questi giorni di lutto come fra i più significativi di questo pontificato.

Ma i tempi della Chiesa non sono, purtroppo, quelli di un papa mediatico e coraggioso.Storicamente, ogni passo richiede per la Chiesa lunghe e profonde meditazioni, talvolta ripensamenti.

Nulla da obiettare su ciò: il prossimo papa non dovrà sentirsi in obbligo di compiere ulteriori passi di analoga dirompente forza etica, gli ebrei non gli chiederanno di rileggere la storia in una chiave di mistica autocritica. Quel che gli ebrei hanno sperato ed atteso per quasi 19 secoli è stato già fatto da Giovanni XXIII e da Giovanni Paolo II, e sono stati questi due papi a tracciare una linea di demarcazione che speriamo invalicabile col passato.

Quel che gli ebrei si attendono dalla Chiesa è che non vi siano ripensamenti, riletture critiche, richiami alla cautela su decisioni e gesti che hanno cambiato il futuro degli ebrei. E la forza simbolica di un accreditamento ufficiale di un presunto miracolo, indicato già dal giorno dopo la sepoltura del papa come il primo valido per la sua santificazione, non può essere sottovalutata. Né può essere sottovalutato il richiamo immediato e violento di una tale indicazione rispetto al ricordo incancellabile che ogni ebreo porta in sé delle conversioni forzate che avevano come unica alternativa la morte più orrenda, e che nei secoli bui dell’ Europa cristiana hanno sparso il sangue degli ebrei od hanno privato i genitori dei figli, i figli dei genitori.

Federico Steinhaus