Una pagella poco obiettiva valuta gli sforzi di pace di israeliani e palestinesi
la compila Paola Caridi attribuendola agli Stati Uniti
Testata:
Data: 11/04/2005
Pagina: 2
Autore: Paola Caridi
Titolo: Bush-Sharon: è il vertice di temi da evitare
Per IL RIFORMISTA di lunedì 11 aprile 2005 il vertice tra Bush e Sharon eviterà di trattare questioni scottanti come l'ampliamento di Maalè Adunim.
Mentre questo tema segna, secondo l'autrice dell'articolo, Paola Caridi, un serio motivo di dissenso tra israeliani e americani e un ostacolo ai negoziati, sul fronte palestinese
"Nonostante le difficoltà nel tenere a bada le ali estreme, infatti, anche gli americani riconoscono ad Abu Mazen e al suo entourage di aver fatto sinora, quanto era possibile, anche in termini di sicurezza".
In realtà gli Stati Uniti convengono con Israele sulla necessità di disarmare i gruppi terroristici non limitandosi a strappar loro una incerta tregua di fatto.
E, sul terreno, l'Anp ha in realtà fatto molto meno di quanto sarebbe stato necessario per contrastare il terrorismo: non ha per esempio disarmato i ricercati da Israele nelle città cisgiordane di cui ha ripreso il controllo, non ha fermato il lancio di razzi qassam contro Israele nè il traffico d'armi dall'Egitto a Gaza.

Ecco il testo:

Non sarà come un anno fa. Di questo sono convinti tutti. Il decimo incontro tra George W. Bush e Ariel Sharon non avrà una portata storica quanto quello che ebbe luogo esattamente un anno fa. A Washington, il 14 aprile 2004. Bush doveva ancora cercare di essere rieletto al secondo mandato. Yasser Arafat era ancora vivo e confinato nella Muqata. Sharon non doveva ancora fronteggiare l'assedio da parte dei coloni, della destra che li sostiene contro il disimpegno da Gaza. E non doveva temere (come invece teme adesso) che alcuni estremisti ebrei vogliano realmente cercare di liberarsi dello Haram al Sharif, della Spianata delle Moschee.
Le bocce della crisi israelo-palestinese erano allora ferme, e Bush le smosse affermando - per la prima volta - che la "linea verde" non era un assioma. La linea del 1967 si poteva, insomma, modificare, prendendo atto della realtà sul terreno, e dunque dei cosiddetti "blocchi" di popolazione israeliana nei Territori palestinesi. Le grandi colonie in Cisgiordania, dunque, erano un fatto acquisito. Punto e a capo.
Ora la situazione è, a dir poco, cambiata. E il George W. Bush che oggi accoglie il premier Sharon nel suo ranch texano di Crawford non è proprio così uguale a un anno fa. Non solo perché non ha più sulla testa la spada di Damocle del secondo mandato. Ma soprattutto perché, dal Medio Oriente, è il tempo di portare a casa un risultato. Questo non significa che l'amministrazione repubblicana voglia allontanarsi da quanto ha già concesso: non solo la "linea verde" flessibile, ma anche un sostanziale allineamento alle principali richieste che vengono da parte israeliana.
Soprattutto la prima, fondamentale richiesta, condivisa anche da tutti i consiglieri del presidente: che il tracciato di pace da seguire non è di quelli che condurranno velocemente a una soluzione globale e complessiva, come vuole il presidente palestinese Mahmoud Abbas. Nonostante i risultati negativi che questo approccio graduale ha avuto con l'infelice storia di Oslo, americani e israeliani continuano a pensare allo step by step come l'unico modo per arrivare a un accordo. Il vecchio negoziatore Abu Mazen, invece, la pensa diversamente. Teme, soprattutto, che nel frattempo si debbano registrare sul terreno ulteriori "fatti compiuti".
Le preoccupazioni di Abbas sono singolarmente condivise, in parte, anche da alcune delle figure principali dell'amministrazione Bush. Come Condoleezza Rice, che non gradisce altre sorprese. Come quella di Maaleh Adumim, l'insediamento costruito come un cuneo tra Gerusalemme e i sobborghi arabi della città, che da anni è uno degli snodi fondamentali della trattativa e, allo stesso tempo, dello scontro tra israeliani e palestinesi.
Riposta per qualche mese nel cassetto, la questione di Maaleh Adumim è ritornata protagonista quando da parte israeliana è stata riproposta l'idea di unire l'insediamento a Gerusalemme. Costruendo 3500 appartamenti lungo il cosiddetto corridoio E-1. E spaccando, in questo modo, i sobborghi palestinesi che si trovano a nord e a sud dell'area interessata. Immediata, da Ramallah, la dura reazione dell'Anp. Mentre da Washington sono arrivati i primi, evidenti segnali di disagio, che hanno convinto gli israeliani a riporre, almeno per il momento, Maaleh Adumim nel cassetto.
Di Maaleh Adumim, insomma, non si parlerà, nell'atmosfera conviviale e familiare del ranch di Crawford. Così come non si dovrebbe parlare dell'altro questione spinosa: se i "blocchi", le grandi colonie della Cisgiordania, possano continuare a espandersi, in termini di popolazione e appartamenti, e se Israele riuscirà a chiudere gli avamposti illegali, indicati con precisione certosina nel duro rapporto reso pubblico recentemente dall'avvocato Talia Sasson e arrivato anche sul tavolo di chi conta nell'amministrazione Bush.
Meglio non affrontare questioni così spinose in questo momento, pensano i consiglieri di Bush. Soprattutto perché, dopo Sharon, arriva Abu Mazen. Che, pur avendo rinviato il suo viaggio statunitense, dovrebbe andare a battere cassa quanto prima a Washington. Meglio non superare limiti, dunque, che renderebbero più difficile la trattativa con Abbas. Nonostante le difficoltà nel tenere a bada le ali estreme, infatti, anche gli americani riconoscono ad Abu Mazen e al suo entourage di aver fatto sinora, quanto era possibile, anche in termini di sicurezza.
Se dunque così tanti sono i temi da evitare nel colloquio tra Bush e Sharon, cosa resta da discutere? Poco altro, per il momento. Soprattutto, la conferma a Sharon del sostegno dell'amministrazione Bush. Un sostegno di cui il premier israeliano ha bisogno, nonostante abbia superato l'ultimo scoglio dell'approvazione del bilancio, che stava mettendo in serio pericolo il governo. Il sostegno americano è, però, ancor più necessario adesso. La fronda interna al suo partito, il Likud, non è finita. La destra si sta pericolosamente radicalizzando. Il disimpegno da Gaza si avvicina. E anche le elezioni politiche palestinesi.
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