Accanto alla cronaca degli scontri sulla spianata delle moschee sull’UNITA’di lunedì 11 aprile 2005 viene pubblicata l’ennesima intervista, a cura di Umberto de Giovannangeli, a Saeb Erekat, capo della diplomazia Anp, dal titolo fuorviante " Gli Usa convincano Israele ad un negoziato vero" che evidenzia l’unico passo dotato di un significato politico tra fiumi di parole di propaganda. Il tema caldo per Erekat non è tanto il viaggio di Sharon a Washington, quanto l’uccisione, avvenuta in circostanze non chiarite di tre ragazzi palestinesi nella striscia di Gaza che, a suo dire, rappresenterebbe un crimine gratuito , capace di reinnescare la miccia della violenza. Naturalmente, per Erekat, la responsabilità dell’accaduto ricade esclusivamente su Israele che sta facendo di tutto per ostacolare il cammino verso la pace. Udg sembra dare credito alle tesi di Erekat
dal momento che, invece di rettificare quanto detto da quest’ultimo, ritiene più opportuno porgli domande accomodanti sulla situazione dei palestinesi. Il risultato è che sia Erekat che la redazione dell’Unità strumentalizzano un episodio che non può in alcun modo essere interpretato come una rottura del cessate il fuoco da parte israeliana per attaccare il cattivo governo/ esercito israeliano.«Con l'uccisione di tre adolescenti a Gaza, Israele ha di fatto rotto la tregua e ha alimentato un nuovo ciclo di violenze. E ancor più grave è il fatto che Ariel Sharon abbia usato questi mesi di calma relativa non per rilanciare il negoziato ma per portare avanti sul campo la politica dei fatti compiuti e imposti unilateralmente, come la decisione di costruire 3500 abitazioni in territorio palestinese occupato». A denunciarlo è Saeb Erekat, capo negoziatore dell'Anp.
Dopo un periodo di calma relativa i Territori tornano a infiammarsi. Perché?
«La miccia che rischia di far degenerare la situazione è l'uccisione di tre adolescenti palestinesi. Quei ragazzi, e sfidiamo il governo israeliano a provare il contrario, non erano tre terroristi in azione ma tre ragazzini che stavano giocando a pallone. Non si è trattato di un "incidente" ma di un crimine e come tale va denunciato e perseguito. Ciò che è avvenuto dimostra peraltro cosa sia oggi la Striscia di Gaza…».
Cosa è oggi Gaza?
«Una immensa prigione a cielo aperto, una gabbia popolata da oltre 1.200.000 persone isolate dal mondo. E tale dovrebbe restare anche dopo il ventilato ritiro israeliano. Un ritiro non negoziato con l'Anp congegnato in modo tale da mantenere Gaza isolata dal mondo».
Resta il fatto che la Striscia è anche il territorio da cui vengono lanciati i missili Qassam contro gli insediamenti e le città israeliane limitrofe.
«Da mesi è in atto un confronto tra l'Anp e tutti i gruppi palestinesi per consolidare la tregua e porre fine alle azioni armate contro Israele. Dei risultati indiscutibili erano stati ottenuti, e tra questi inserisco anche la decisione di Hamas di partecipare alle prossime elezioni legislative, privilegiando l'intervento politico alla resistenza armata. Ma una svolta poteva e può ancora determinarsi solo se Israele si dispone ad aprire un serio negoziato che investa tutte le questioni sul tappeto».
Non è così?
«No, purtroppo non lo è. Al di là delle dichiarazioni propagandistiche, la realtà dei fatti dice che Israele continua a procedere sulla strada di sempre: quella degli atti unilaterali; una politica improntata sulla logica della forza e dei fatti compiuti imposti sul campo».
A cosa si riferisce in particolare?
«Penso ad esempio al via libera dato dal governo israeliano alla costruzione di altre 3500 abitazioni in un insediamento (quello di Maaleh Adumim, ndr.) nella Cisgiordania occupata. Sharon sa bene che questa decisione è in aperto contrasto con la Road Map (il Tracciato di pace messo a punto dal Quartetto Usa, Ue, Russia e Onu, ndr.), ma ciò non lo ha fermato. La portata di questa decisione va al di là del fatto in sé, comunque gravissimo, e delinea una strategia preoccupante…».
Quale sarebbe questa strategia?
«Usare il ritiro da Gaza come "merce di scambio" per ottenere il via libera della Comunità internazionale, degli Stati Uniti in particolare, all'ampliamento della presenza dei coloni in Cisgiordania e modificare unilateralmente i confini di Israele, pregiudicando così un ipotetico negoziato. I palestinesi si opporranno decisamente a questo "baratto"».
Sull'ampliamento delle colonie l'amministrazione Usa ha ribadito la sua contrarietà. Oggi il presidente George W.Bush incontrerà alla Casa Bianca il premier israeliano Ariel Sharon. Qual è l'auspicio della dirigenza palestinese?
«L'auspicio è che il presidente Bush resti fermo sulla linea da lui ribadita più volte di una pace fondata sul principio dei due Stati, e che a questa importante affermazione facciano finalmente seguito atti concreti, conseguenti. E il primo atto concreto è premere su Sharon perché ponga fine alla politica di colonizzazione e apra invece un negoziato a tutto campo con la leadership palestinese».
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