IL GIORNO di giovedì 7 aprile 2005 pubblica un articolo di Francesco Ghidetti sugli insulti razzisti dei tifosi del Betar contro il calcaitore arabo-israeliano Abbas Sowan.
Ghidetti definisce il Betar "società vicina al Likud (il partito del premier Sharon) e nota per avere tifosi esasperatamente nazionalisti" collegando il comportamento degli ultras al partito e al suo leader.
Inoltre, lascia trasparire scetticismo per le affermazioni dei dirigenti della squadra, per i quali solo una minoranza della tifoseria sarebbe stata coinvolta nell'episodio.
Gli insulti provenivano infatti dalla curva, dove si concentrano i tifosi più facinorosi in ogni parte del mondo.
Ecco l'articolo, "Insulti razzisti: "Terrorista, non ti vogliamo". Nel mirino Sowan, eroe arabo del calcio israeliano"Nazionalisti. E, soprattutto, razzisti, violentemente razzisti. "Non vogliamo arabi nella nostra squadra". Oppure: "Che gli venga un tumore al cervello". Ancora: "Terrorista". E non è finita: "Noi amiamo Baruch Goldstein e Igal Amir" (per la cronaca, due gentleman:il primo massacrò trenta arabi a Hebron nel 1994, il secondo è l’assassino di Rabin). La serie di insulti è dedicata a Abbas Sowan (nella foto), il capitano della squadra araba Bnei Sakhin (militante del campionato israeliano) che, undici giorni fa, , con la maglia della Nazionale, segnò un gol all’Irlanda decisivo per la qualificazione di Israele ai mondiali di calcio diventando una sorta di eroe popolare. Gli odiosi insulti sono partiti dagli ultrà del Betar di Gerusalemme, società vicina al Likud e nota per avere tifosi esasperatamente nazionalisti. E dire che i vertici della squadra avevano offerto a Sowan un gran mazzo di fiori. La giornata calcistica si è trasformata in una gazzarra razzista, mentre, dall’atra parte, i supporters della squadra araba intonavano grida potenti di "Allah è grande!". Il tutto con contorno finale di scontri (fisici, non più solo verbali). La vicenda ha suscitato polemiche a non finire. E se l’indignazione, come sovente si sostiene nei trattati di scienza della politica, è il miglior sentimento di un uomo politico, ecco che Yossi Sarid, notissimo esponente della sinistra israeliana ( e deputato dello Yahad-Meretz) dichiara, giustamente furibondo: "I razzisti del Betar vanno puniti con l’unica lingua che comprendono: la chiusura, a oltranza, o almeno fino alla fine del campionato, del loro stadio, il Teddy". Uno stadio – guarda un po’ gli atroci scherzi del destino – intitolato a una figura leggendaria della politica israeliana, vale a dire Teddy Kollek, ex sindaco laburista che per anni tento di equiparare le condizioni di vita a Gerusalemme di arabi e ebrei favorendo in tutti i modi la coesistenza pacifica. E lui, l’insultato Sowan? Getta, responsabilmente, acqua sul fuoco: "non ho sentito nulla, io gioco". I dirigenti del Betar si sono difesi col ritornello che aleggia su tutti i campi da calcio dell’universo: "Solo una sparuta minoranza". Ma le autorità sono preoccupate. E ne hanno ben donde. Persino nella "liberal" e tollerantissima Tel Aviv si sono avuti episodi analoghi. Tanto che c’è chi ha paura per la sorte del campione, qualora andasse a giocare al Maccabi (squadra di Tel Aviv).
Mara Gergolet affronta lo stesso argomento sul CORRIERE DELLA SERA, nell'articolo " Fischi all'arabo « salvatore d'Israele » ".
Israele vi viene dipinto, attraverso citazioni di romanzi e affermazioni generiche, come un paese pervaso da discriminazioni e diffidenze verso gli arabo-israeliani.
Ecco il testo:E' stato eroe per dieci giorni.
Quanto basta per trasformare un gol « storico » in ricordo. Quando Suwan Abbas, l'arabo « salvatore d'Israele » , il mediano che con un poderoso tiro al 91' contro l'Irlanda ha riagganciato la nazionale al sogno di partecipare ai Mondiali 2006, è tornato a giocare a Gerusalemme, per la curva becera del Betar lui è ritornato quel che era: il Palestinese. L'hanno fischiato dall'inizio alla fine.
Doveva andare in un altro modo. Betar Sakhnin, partita della A israeliana: la squadra di Gerusalemme nota per i suoi ultrà con simpatie per l'estrema destra ( l'equivalente della Stella Rossa a Belgrado, della Dinamo a Zagabria) contro l'unica squadra arabo israeliana. Ambizioni Uefa per la prima, lotta per non retrocedere per la seconda. Ma soprattutto, questo era lo stadio che s'era macchiato dell'onta razzista: quello dove, due settimane prima, nell'amichevole Israele Croazia, l' « arabo » era stato coperto d'insulti.
Domenica i dirigenti del Betar avevano preparato un mazzo di rose per Abbas. Fiori di riconciliazione. Ma appena il capitano del Sakhnin s'è mosso per riceverli, dalla curva del Betar sono partiti i fischi e i « buuu » . I tifosi arabi del Sakhnin non hanno trovato di meglio, per rispondere all'offesa, che di fischiare l'inno nazionale israeliano e intonare a loro volta in coro: « spazzatura, spazzatura » . E' finita, ma interessa solo ai cronisti sportivi, 0 a 0.
Come rovinare una favola. Solo dieci giorni fa, lo sport era diventato in Israele il simbolo, un po' enfatizzato, dell'integrazione possibile: quella tra la maggioranza ebraica ( 5 milioni di persone) e della minoranza araba ( 1,2). Non i palestinesi dei Territori, quelli nati sotto occupazione, ma i discendenti delle famiglie palestinesi che sono rimaste in Israele nel 1948: cittadini di uno stesso Sta to, stesso passaporto blu, eppure divisi da muri di diffidenza e piccole discriminazioni. Sono gli « arabi danzanti » di un bel libro dello scrittore arabo israeliano Sayed Kashua: quelli che non ricevono le cartoline per partire militari, che quando sono grassi si sentono osservati sui bus come potenziali kamikaze, che provano rabbia e orgoglio per le proprie radici e che pure, dice Kashua, si sforzano di essere « più israeliani degli israeliani vestiti e calzati » .
Quando segnò il suo gol contro l'Irlanda, Abbas s'improvvisò politico: « Basta parlare di ebrei e arabi, siamo un popolo solo » . Osò dire: « Ho cantato l'inno di Israele » .
Come se non bastasse, tre giorni dopo, in un'altra cruciale partita per le qualificazioni ai Mondiali di Germania 2006 contro la Francia, un altro arabo, Walid Badir, pareggiò nei minuti finali la rete di Trezeguet. Fu di nuovo 1 a 1, la storia che si ripete come sberleffo al razzismo. Troppo per gli ultrà del Betar. Ma troppo anche per chi pretende miracoli dal calcio. Meglio dare agli sportivi quel che è degli sportivi, meglio « comportarsi da professionisti » , l'ha capito anche Abbas. « Quel che mi interessa — ha detto dopo i fischi — sono gli eventi sul campo, non quelli sugli spalti » .
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