Appello di rabbini per impedire il ritiro da Gaza
e per u.d.g. la disobbedienza non è più una virtù
Testata:
Data: 01/04/2005
Pagina: 10
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: I rabbini sfidano Sharon: "Soldati disertate"
L'UNITA' di venerdì 1 aprile 2005 pubblica a pagina 10 un articolo di Umberto De Giovannangeli sull'appello di alcuni rabbini ai soldati israeliani affinchè non collaborino al piano di evacuazione di Gaza.
Tale appello è definito da u.d.g. "incendiario ed eversivo".
Il rifiuto di prestare il servizio militare nei territori, anche durante le fasi più terribili della guerra terroristica contro Israele, era stato invece esaltato dal cronista dell'UNITA' come una nobile forma di obiezione di coscienza.
Tuttavia non erano mancate, anche nella sinistra israeliana (per esempio Avraham B. Yehoshua), le voci di chi ammoniva che quel rifiuto apriva in qualche modo la strada a quello, di segno politico opposto, che oggi si prospetta in vista del ritiro da Gaza.
Importante la notizia, inserita alla fine dell'articolo, sulla sentenza della Corte suprema israeliana sulle conversioni al giudaismo e sul diritto al ritorno di chi le effettua all'interno di correnti ebraiche diverse da quella ortodossa.
Ecco l'articolo:Disertate in massa. Contro chi mette a repentaglio la Sacra Terra d’Israele. Disertate in massa. Contro chi vuole deportare ottomila Ebrei da Eretz Israel. Nessuna complicità con chi progetta la distruzione di insediamenti ebraici nella Terra d’Israele e l’espulsione in massa dei loro abitanti: questo l’appello incendiario ed eversivo lanciato ieri dall’ex rabbino capo ashkenazita Avraham Shapira ai soldati riservisti delle forze armate israeliane. «Dopo la Pasqua ebraica (fine aprile, ndr) chiunque presti servizio militare aiuta direttamente o indirettamente la realizzazione dei piani di disimpegno di Ariel Sharon», avverte Shapira in un documento sottoscritto anche da altre autorità religiose. «Hai ricevuto la cartolina richiamo? In realtà hai ricevuto una cartolina che significa distruzione ed espulsione» per gli insediamenti ebraici e i loro ottomila abitanti nella Striscia di Gaza e nel nord della Cisgiordania. Occorre ignorare il richiamo, sentenzia Shapira. Che avverte: «Da Pasqua ci arruoliamo tutti per difendere il Gush Katif», la zona di insediamento ebraico nel sud della Striscia di Gaza.
«Questo appello alla diserzione rappresenta un atto gravissimo, eversivo, condotto da una minoranza oltranzista che non intende accettare il pronunciamento del Parlamento e rispettare la volontà della maggioranza degli israeliani», dice a l’Unità Ran Cohen, parlamentare di Yahad, la sinistra sionista, un passato ai vertici di Tzahal, l’esercito dello Stato ebraico.
A prima vista, il rabbino Shapira può trarre in inganno. Ha superato gli ottanta anni, esce di rado di casa, spesso è ripreso in vestaglia mentre riceve gli ospiti. Questo vecchio dal volto sereno adornato da una morbida barba bianca rappresenta dunque un pericolo di sorta per i vertici militari? Probabilmente la risposta è affermativa, visto che la radio militare israeliana ha aperto ieri il notiziario del mattino citando il suo pensiero ed analizzando le possibili ripercussioni. La preoccupazione che il messaggio di Shapira attecchisca deriva dal fatto che da trent’anni i suoi discepoli ricevevano parole d’ordine opposto. In polemica con l’ebraismo ortodosso (che non riconosce le istituzioni dello Stato laico di Israele e che si accontenta di vivere ai margini della società) gli ebrei nazional-religiosi si rifanno ad una concezione molto diversa elaborata negli anni Trenta del secolo scorso dal rabbino Kook. Questi vedeva nel sionismo laico del laburista David Ben Gurion e dei suoi compagni il tassello di un processo metafisico superiore, volto a garantire la «Salvazione» del popolo ebraico e l’avvento del Messia. Certo, i sionisti laburisti non mettevano piede in sinagoga. Eppure - Kook ne era convinto - facevano parte loro malgrado di un «piano» cosmico. La guerra del 1967, con la liberazione della Giudea-Samaria (Cisgiordania) da parte dei laicissimi generali Moshe Dayan e Yitzhak Rabin mandò in visibilio i nazionalisti-religiosi che vi videro una conferma evidente e tangibile delle intuizioni del loro Maestro. Nel 1973, la Guerra del Kippur marcò l’inizio del declino del laburismo israeliano. Guidati dal movimento del «Gush Emunim» i nazionalisti-religiosi si convinsero che ormai erano loro la nuova avanguardia sionista: siamo come «pionieri» impegnati a fondare nuove colonie nelle terre liberate, sia come militari pronti a difendere il Paese. Da allora, anno dopo anno i collegi rabbinici di questa corrente hanno sfornato centinaia e migliaia di ardenti idealisti pronti ad offrirsi volontari nelle unità combattenti, e a svolgervi incarichi di comando. Nello scorso ottobre Shapira ha annunciato una clamorosa svolta quando, in un’intervista al settimanale del movimento dei coloni, ha sostenuto la necessità della diserzione allo scopo di sbarrare la strada all’odiato Sharon. Gli è stato obiettato da influenti rabbini che le forze armate sono un bastione di difesa degli ebrei in Israele: predicare la diserzione e seminare la insubordinazione potrebbe avere effetti disastrosi per tutti. Per alcuni mesi Shapira ha taciuto. Ieri è tornato alla ribalta enunciando non più principi generali, ma ordini precisi ai suoi seguaci. Secondo un gruppo che si definisce «Muraglia di difesa», diecimila soldati hanno già sottoscritto un documento in cui informano che al momento del ritiro - previsto per luglio - loro non ci saranno.
Nel giorno dell’appello alla diserzione di massa, dopo sei anni di dibattiti la Corte Suprema di Gerusalemme si è finalmente pronunciata sulla questione che da sempre travaglia lo Stato d’Israele: «ai fini della legge del Ritorno, chi è ebreo?». La sentenza, che ha subito destato reazioni adirate nel Rabbinato israeliano, spezza di fatto il monopolio della corrente ortodossa sulle conversioni all’ebraismo. D’ora in poi ai fini dell’acquisizione della cittadinanza saranno riconosciute anche le conversioni praticate in Israele dalle correnti riformate e conservatrici, a condizione che la fase finale avvenga all’estero. Chi segua questa procedura - hanno stabilito sette degli undici giudici della Corte Suprema di Gerusalemme - potrà beneficiare della Legge del ritorno e sarà considerato cittadino israeliano a tutti gli effetti. Ai fini pratici, l’impatto sarà modesto (in virtù di questa sentenza otterranno adesso la cittadinanza israeliana una quindicina di persone). Ma sul piano simbolico, la decisione dei giudici di Gerusalemme rappresenta un vero terremoto per il rabbinato.
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