L'Anp vuole eseguire le condanne a morte
anche contro "collaborazionisti" colpevoli solo di aver aiutato Israele a combattere il terrorismo
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Data: 01/04/2005
Pagina: 14
Autore: Davide Frattini - B'tselem - la redazione
Titolo: "In Palestina serve la pena di morte" - L'appello ad Abbas - Protagonisti a confronto
Il CORRIERE DELLA SERA di venerdì 1 aprile 2005 pubblica un articolo di Davide Frattini sui condannati a morte detenuti dall'Autorità nazionale palestinese.
Segnaliamo la dichiarazione di un minstro dell'Anp. In primo luogo per la curiosa pretesa di un uomo di governo di "rimanere anonimo" quando espone le sue opinioni. In una democrazia i politici dovrebbero ovviamente assumersi la responsabilità pubblica dei loro atti e delle loro dichiarazioni. In secondo luogo per il contenuto delle sue parole, che giustificano la pena di morte nel contesto della società palestinese "ancora dominata dalle famiglie, dai clan" e dunque non paragonabile all'Occidente.
E' facile immaginare che se qualcuno, in Israele o altrove, provasse a utilizzare simili argomenti per giustificare repressioni del terrorismo o delle rivolte palestinesi tacciate di eccessiva durezza sarebbe immediatamente accusato di razzismo.
Ma vi è, evidentemente, un razzismo anti-arabo degli stessi governanti arabi, che serve a giustificare la tirannia, metodi di governo e di esercizio della giustizia oppressivi e rifiutati dalla comunità internazionale.
Nell'Anp, che aspira ad essere un modello di democrazia araba, tale razzismo non è assente. E' solo anonimo.

Ecco l'articolo:

Mohammed Khatib, 18 anni, di Betlemme, accusato di collaborazionismo e alto tradimento, in attesa di esecuzione.
Akram Al Zatmeh, 31, di Gaza, accusato di contatti con un Paese straniero per danneggiare gli interessi nazionali, in attesa di esecuzione. Rami Juha, 24, di Gaza, accusato di violenza carnale e omicidio, in attesa di esecuzione.
Majed Al Arouri è un uomo mite, non si accende neppure quando snocciola la contabilità della morte. « Sappiamo i nomi, conosciamo i casi, le nostre statistiche sono più precise di quelle del ministero della Giustizia. Ma non sappiamo dove stanno » , dice guardando fuori dalla finestra del suo ufficio nel centro di Ramallah. Indica un palazzo bianco, squadrato, sei piani. « Ecco, lì al quarto c'è un centro di detenzione della polizia, celle improvvisate, appartamenti sopra e sotto. Carceri così sono sparse in tutta la Cisgiordania, ma la maggior parte dei prigionieri nel braccio della morte è rinchiusa a Gaza » . Majed lavora alla Commissione palestinese per i diritti dei cittadini, fondata nel 1995 da Hanan Ashrawi.
E' lui che tiene il dossier sui condannati alla pena capitale, se n'è occupato da sempre, ed è lui che scrive editoriali sui giornali e lettere d'appello ai politici. Majed Al Arouri è un uomo mite, in queste giorni è anche un uomo che ha fretta: sa di dover aumentare la pressione, di essere in corsa perché un asterisco nero non si aggiunga a fianco di uno di quei sessanta nomi.
Dall'agosto del 2002 nessuno è più finito davanti al plotone di esecuzione ( formato da un gruppo di poliziotti con il volto mascherato) e dal 1994 l'Autorità palestinese ha eseguito otto condanne.
Ma il presidente Mahmoud Abbas sta valutando se riprendere le esecuzioni. Ha chiesto il parere religioso del Gran Muftì di Gerusalemme Ikrima Sabri su cinquantuno casi, tra cui molti accusati di collaborazionismo. E il parlamento palestinese sta esaminando una nuova legge che elenca ventitré crimini punibili con la condanna a morte, otto in più rispetto alle norme giordane adottate fino ad ora in gran parte dei territori. La lista va da chi danneggia la Palestina politicamente, diplomaticamente ed economicamente in associazione con una nazione straniera, a chi tenta di ammazzare il presidente, a reati sessuali come la pedofilia.
« C'è una pressione fortissima su Abbas — spiega un ministro che vuole rimanere anonimo — perché reintroduca le esecuzioni. La gente è stanca della violenza. La nostra società è ancora dominata dalle famiglie, dai clan, non potete fare paragoni con la situazione in Occidente » . Le associazioni palestinesi per i diritti umani sostengono che le condanne sono state decise da tribunali illegali, corti militari o speciali, istituite con un decreto dell'allora presidente Yasser Arafat, durante la seconda Intifada.
« Non ci sono garanzie. Alcuni processi sono durati poche ore — spiega l'avvocato Nasser Al Rayes dell'organizzazione Al Haq — . La legge non specifica quanto tempo debba passare tra la sentenza e l'esecuzione. Un condannato potrebbe essere portato fuori dal tribunale e ammazzato in cortile. Il presidente non avrebbe dovuto coinvolgere il Gran Muftì in una questione così importante, i leader religiosi non devono interferire con le scelte dei politici » . I giudici delle corti islamiche non sono comunque favorevoli alla cancellazione della pena di morte ( « sarebbe una decisione contraria alle basi dell'Islam » , spiega lo sceicco Taher Kawasmi).
« L'Autorità deve fare gli interessi della maggioranza » , commentano dal governo.
Quella maggioranza che sembra convinta di poter fermare il caos con le esecuzioni. Osama Khatib, 33 anni, insegnante: « La condanna a morte per gli assassini e chi commette violenza sessuale è l'unico modo per bloccare i criminali. Non possiamo continuare a vivere con questa paura » .
Ayman Kareeem, 21, studente universitario: « Non capisco perché l'Autorità continui a rinviare. Temono l'opposizione degli americani e degli europei? Gli Stati Uniti hanno la sedia elettrica, perché non può funzionare anche qui? » .
La minaccia di nuove esecuzioni ha fatto muovere organizzazioni umanitarie israeliane come B'Tselem, da sempre a fianco dei palestinesi con denunce e rapporti sulle violazioni nei territori commesse dall'esercito dello Stato ebraico. « Negli ultimi quindici anni — hanno scritto i dirigenti dell'associazione in una lettera aperta a Mahmoud Abbas — abbiamo difeso i vostri diritti. Ora siamo costretti a esprimere le nostre preoccupazioni. Con gli occhi del mondo concentrati sull'Autorità, la esortiamo a dimostrare le sue intenzioni di costruire una società rispettosa dei principi di uguaglianza e giustizia, abolendo la pena di morte » . Anche Human Rights Watch ha chiesto una moratoria immediata: « Giustiziare prigionieri condannati con procedimenti viziati minerebbe il tentativo di Abbas di rafforzare il suo impegno per l'ordine » .
Ma Farid Al Jallad, ministro palestinese della Giustizia, ha risposto con un'intervista al quotidiano Al Ayam : « Non intendiamo cedere alle pressioni internazionali, non accettiamo interventi che tentino di influenzare il nostro sistema legale » .
Un trafiletto, riporta l'appello al presidente palestinese dell'organizzazione israeliana per la difesa dei diritti umani nei territori B' tselem.
Vi si chiede la revoca delle condanne a morte in pene detentive. Ciò, nel caso dei cosidetti "collaborazionisti", colpevoli solo di aver aiutato Israele a lottare contro il terrorismo, appare inadeguato. Essi dovrebbero infatti essere liberati, sopratttutto nel momento in cui l'Anp chiede la scarcerazione dei prigionieri palestinesi (anche di quelli responsabili di omicidi e stragi).

Ecco l'articolo.

Lei sa come B'Tselem sia stato negli ultimi 15 anni uno dei più decisi paladini dei diritti umani nei Territori Occupati... Di recente abbiamo pubblicato rapporti sull'uso letale della forza da parte dei soldati di Israele... Le scriviamo ora per esprimere preoccupazione perché lei avrebbe ratificato le condanne a morte di palestinesi colpevoli di « collaborazionismo » con Israele... La pena di morte è la più palese offesa al diritto essenziale di ogni individuo: il diritto alla vita... Le chiediamo rispettosamente di trasformare le condanne a morte in pene detentive. Le chiediamo anche di abolire la pena di morte nell'Autorità palestinese... e di dimostrare la sua intenzione di costruire una società fedele ai principi di giustizia e uguaglianza.
Un piccolo riquadro riguarda le prese di posizione delle autorità palestinesi e israeliane.
Segnaliamo due fatti: il positivo intervento del ministro degli Interni israeliano, a difesa della vita dei "collaborazionisti".
E il coinvolgimento, tutt'altro che positivo, di un'autorità religiosa islamica nella decisione sulla sorte dei condannati, che in una democrazia dovrebbe essere di esclusiva competenza delle autorità civili.

Il presidente palestinese valuta se ricominciare con le esecuzioni dei condannati. Il Parlamento sta esaminando una legge che aggiunge 8 crimini punibili con la morte. E' dall'agosto del 2002 che l'Autorità non esegue una condanna Lo sceicco Ikrima Sabri ha valutato cinquantuno casi di condannati a morte sottoposti al leader religioso dal presidente palestinese Abbas. Il Gran Muftì di Gerusalemme avrebbe espresso un'opinione su cinque casi Il ministro degli Interni israeliano ha chiesto che la seconda fase dell'accordo per il rilascio di prigionieri palestinesi sia vincolata all'amnistia per i 15 palestinesi condannati a morte per « collaborazionismo » con Israele
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