Il CORRIERE DELLA SERA di giovedì 31 marzo 2005 pubblica in prima pagina e a pagina 15 un articolo di Davide Frattini sul referndum indetto tra il pubblico cinematografico israeliano da un distributore e da una catena di sale cinematografiche. Per decidere se sarà o meno programmato in Israele il controverso film tedesco sugli ultimi 12 giorni di vita di Adolf Hitler, "La caduta".
Ecco l'articolo, "Referendum in Israele, volete vedere il film tedesco su Hitler?":Come primo esperimento hanno pensato di farne una proiezione a porte chiuse. Ed è finita in una litigata. I pochi dirigenti della società Lev Cinema che hanno potuto visionare in una saletta privata di Tel Aviv «La caduta», il film sugli ultimi dodici giorni della vita di Adolf Hitler, si sono divisi tra chi considerava le immagini intollerabili (uno di loro ha minacciato di boicottare la distribuzione) e chi invece sosteneva che gli israeliani avessero il diritto di vedere la pellicola. O almeno di scegliere di non andare a vederla. Così la catena di sale cinematografiche e il distributore Shani Films hanno deciso di indire un referendum perché sia il pubblico a decretare se mostrare La caduta in Israele.
Bruno Ganz interpreta Hitler nel film «La caduta»
A votare saranno i 40 mila abbonati della Lev (una sorta di club amici del cinema) che verranno avvertiti con una email sul giorno delle proiezioni a Tel Aviv e Gerusalemme. «Vogliamo evitare - ha spiegato la portavoce Dorit Hordi al Jerusalem Post - che il film possa offendere i sopravvissuti all’Olocausto. Persone che magari non andranno mai a vederlo, ma che potrebbero essere ferite dal fatto che la locandina sia esposta vicino a casa loro». Il voto popolare potrebbe trasformarsi nella censura preventiva in un Paese che fa valutare le pellicole dalla Commissione per il controllo degli spettacoli, ma che alla fine non ha bloccato kolossal controversi come «L’ultima tentazione di Cristo», diretto da Martin Scorsese.
Il film tedesco, tra i candidati all’Oscar come miglior opera straniera, è basato sulle memorie di Traudl Junge, la segretaria del Führer che lasciò il bunker solo dopo il suo suicidio, e sulle testimonianze di alcuni protagonisti di quegli ultimi giorni rielaborate dallo storico Joachim Fest. Nelle due ore e mezza, l’Olocausto rimane sullo sfondo. C’è solo un passaggio in cui Hitler si vanta «di aver ripulito le aree del Reich dalla presenza degli ebrei». In Germania, dopo l’uscita in 400 cinema nel settembre dell’anno scorso, aveva suscitato polemiche perché per la prima volta veniva mostrata una dimensione intima del dittatore nazista, con l’altalena dei suoi umori rappresentata sullo schermo da Bruno Ganz. «Questo è Hitler, Ganz è perfetto e lo fa emergere spaventoso e terribile - aveva commentato Fest -. Non c’è dubbio che, quando lo si vede, soprattutto con tali ampiezza e precisione di dettagli, il sangue ribolla. Ma questo significa solo che l’operazione è riuscita».
I giornali tedeschi si erano divisi. «Il film di Oliver Hirschbiegels - aveva scritto entusiasta la Bild Zeitung - racconta l’eterno fantasma della nostra storia: Hitler, essere umano confuso, mostro rabbioso, folle assassino». «Ma è giusto produrre un’opera - si era chiesta la Stuttgart Zeitung - con tanti dettagli sul dittatore, responsabile di milioni di crimini così efferati?» Se la giuria popolare israeliana voterà contro la distribuzione, il pubblico e i critici non arriveranno a scontrarsi sul valore della pellicola. Ma la discussione si è comunque già aperta e secondo qualcuno la società cinematografica ha ottenuto il suo scopo: far parlare del film ancora prima dell’uscita.
«Per me è stato difficile da sopportare - racconta Katriel Schory, che guida il Fondo israeliano per il cinema e che ha visto La Caduta al Festival di Berlino -. Hitler non può venire ritratto come una persona normale. Credo che la scelta della Lev Cinema sia comunque un esempio di democrazia. Dimostra la loro sensibilità verso il pubblico». Altri critici israeliani considerano la mossa una campagna di marketing per creare attenzione attorno al film. «Qualcuno può considerare la nostra decisione come semplici pubbliche relazioni - risponde la regista Nurit Shani, proprietaria della catena, che ha sostenuto storie molto discusse, giudicate anti-israeliane come «Terra promessa» di Amos Gitai - Non è così. Sono i media a essere cinici e a vedere ovunque trucchi e strategie».
Sempre apagina 15 una cronaca di Davide Frattin, "Spari contro Mahmoud Abbas Illeso il presidente palestinese":Spari contro il quartier generale. Intorno alle undici di ieri, quindici militanti palestinesi armati di kalashnikov hanno aperto il fuoco contro la Mukata, a Ramallah, mentre il presidente dell'Anp Mahmoud Abbas si trovava nell'edificio. Abbas è rimasto illeso. I militanti, che hanno gridato la loro appartenenza alle Brigate dei martiri di al Aqsa, appartenenti al Fatah, la fazione maggioritaria dell'Olp, hanno poi percorso le strade di Ramallah sparando all'impazzata contro finestre e vetrine di ristoranti. I locali sarebbero stati costretti a chiudere i battenti.
A Gerusalemme, intanto, giornata nera per Ariel Sharon che ha dovuto fermare la nomina di tre nuovi ministri, da premiare con una poltrona per il sostegno alla bocciatura della proposta di referendum sul ritiro da Gaza ( trionfo di Sharon lunedì) e per l'appoggio nell'approvazione della finanziaria ( trionfo di Sharon martedì). Il premier israeliano era riuscito a convincere il suo governo a far passare all'unanimità gli incarichi, che avrebbero portato a venticinque il numero dei ministri: Roni Bar On del Likud avrebbe dovuto essere investito della responsabilità per l'Integrazione dei nuovi immigrati, a Zeev Boim ( Likud) ed Efraim Sneh ( laburista) sarebbero andati due dicasteri senza portafoglio.
I ribelli del Likud, i partiti religiosi e parte della sinistra hanno attaccato le candidature e hanno costretto Sharon alla ritirata: i tre nomi non sono stati neppure sottoposti alla Knesset per il voto e il governo si è consolato con la nomina di sette sottosegretari, che non devono ottenere il sì del parlamento. « Era da quando Caligola nominò senatore il suo cavallo che non si vedeva una situazione del genere » , ha caricato dall'estrema sinistra Yossi Sarid, capo di Yahad.
« I regali e i premi del primo ministro mi ricordano le società non democratiche » , ha incalzato Yitzhak Cohen della formazione ultra ortodossa Shas. Ai nuovi incarichi si è opposto anche lo Shinui di Tommy Lapid.
La sconfitta di ieri è un colpo al prestigio di Sharon che certo avrà sentito una scossa ai « nervi d'acciaio » descritti dal quotidiano liberal Haaretz , ma non ha conseguenze politiche. Dopo lo stop all'idea di un referendum ( che avrebbe potuto rinviare il ritiro dalla Striscia per mesi) e l'approvazione del bilancio da 62 miliardi di dollari ( che permetterà anche di pagare i risarcimenti ai coloni evacuati), il primo ministro non ha più davanti ostacoli parlamentari. Ora si deve concentrare su una strategia che gli permetta di riavvicinarsi ai coloni e di evitare una frattura nel Paese.
Ma — hanno svelato i giornali — sta già pensando al dopo Gaza e alle mosse future nei negoziati con i palestinesi perché sa che « il momento della verità sulla definizione dei confini si sta avvicinando »
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