Una risposta "liberamente tradotta" dall'arabo: così com'era non serviva a condannare la barriera difensiva
nella trasmissione televisiva "Alle falde del Kilimangiaro
Testata: Rai 3
Data: 30/03/2005
Pagina: 1
Autore: Licia Colò
Titolo: Alle falde del Kilimangiaro
Riceviamo questa segnalazione:"Alle falde del Kilimanjaro" Domenica 27 marzo.
Licia Colò riceve una decina di ragazzi palestinesi ospiti di un paesino della Puglia. Spiega le difficoltà che devono affrontare per recarsi a scuola ogni giorno a causa del muro di separazione, e chiede a uno di loro: "Raccontaci, è vero che è difficile per voi raggiungere la vostra scuola? " Dopo aver ascoltato la traduzione, il ragazzino risponde in arabo "No" .(La'a) L'interprete traduce: "A volte, càpita". E Licia Colò per fortuna glissa, perché evidentemente il suo impianto basato su "Poveri bambini palestinesi vittime del muro" rischia di cascare o, quanto meno, l'argomento è scivoloso.
C'è da dire che l'interprete era anche il "mediatore", cioè colui che accompagnava i bambini e faceva da tramite tra loro e la scuola, gli insegnanti e le famiglie che li ospitavano.
Da queste righe è facile capire sia quanto certe iniziative, in sè positive, di ospitalità ai bambini palestinesi possano essere oggetto di strumentalizzazioni politiche, sia come la puntata di "Alle falde del Kilimanjaro" intendesse presentare, in un contesto tanto più pericoloso in quanto seguito da telespettatori non necessariamente interessati alla politica internazionale e informati su di essa, il quadro consueto della propaganda anti-israeliana. Per il quale le misure di sicurezza prese contro il terrorismo (dei cui effetti non si parla) diventano crudeli punizioni collettive per i palestinesi.
Uno schema che la risposta di un bambino poteva scompaginare, se non fosse stata censurata da una traduzione scorretta.
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