Come si amplifica una non-notizia
la tecnica del Manifesto applicata dal quotidiano di via Solferino
Testata:
Data: 27/03/2005
Pagina: 8
Autore: Mara Gergolet
Titolo: Pressioni USA su Sharon contro l'ampliamento delle colonie
Domenica di Pasqua 2005. Se non abbiamo letto male, oggi il MANIFESTO non pubblica nemmeno un articolo contro Israele. Vabbè, ci sono alcune righe (9 e mezzo per la precisione) di Rossana Rossanda in prima pagina,ma come rimproverare l'ideologa del comunismo di non avere sempre la pallottola in canna ? Altri articoli, no. Un fatto eccezionale che deve aver gettato la redazione del quotidiano comunista nella più profonda disperazione. Si sentiranno però consolati dalla lettura del CORRIERE della SERA, che provvede a lenire la loro angoscia con un articolo di Mara Gergolet, nel quale l'informazione va a farsi benedire, lasciando il posto alla interpretazione personale dei fatti,all'ampliamento di notizie subito smentite dagli interessati, alla esposizione della realtà non com'è ma come piacerebbe che fosse alla giornalista.
La città di Maalè Adumin viene presentata come una colonia, la costruzione di nuove case per lo sviluppo della città come costruzioni illegali. Mara Geergolet si guarda bene dal dire che Maalè Adumin è di fatto oggi un sobborgo di Gerusalemme, preferendo la versione per la quale Maalè Adumin non sarebbe altro che un impedimento alla continuità del futuro Stato palestinese, come se i futuri confini fossero già stati discussi e appovati. Il che è falso, ma la giornalista del CORRIERE-MANIFESTO la dà per buona e trancia giudizi che nè gli USA nè la politica europea, pur così pregiudizialmente sempre contro Israele, si sono mai sognati di dare.
Invitiamo i nostri lettori a leggere attentamente il pezzo della Gergolet, per poi scrivere al direttore del Corriere Paolo Mieli la loro opinione.

Ecco l'articolo:

GERUSALEMME - Da quando è segretario di Stato americano, Condoleezza Rice non è stata mai così dura con Israele. «La posizione americana è in contrasto con i piani di espansione delle colonie israeliane in Cisgiordania». Perché questi progetti, dice la Rice in un’intervista al Los Angeles Times , potrebbero minacciare il processo di pace con i palestinesi. Di più: il governo israeliano ha annunciato la creazione di 3.500 case per i coloni, oltre la Linea verde, in quello che dovrebbe essere il futuro Stato palestinese? «Per noi non è una risposta soddisfacente».
Così, sulla questione delle colonie, si apre un teso confronto tra il governo Sharon e l’amministrazione Bush. Proprio la presidenza che, nell’aprile di un anno fa, ha rotto con la tradizionale politica americana sull’intoccabilità dei confini del ’67, definendoli «irrealistici»: «In base ai nuovi fatti sul terreno», disse allora Bush, Israele può aspettarsi di inglobare alcune colonie. Una linea che la Rice ha tenuto a confermare, in una seconda intervista al Washington Post : «Siamo impegnati a rispettare quella visione». Parole schizofreniche? Di certo delicatissime, tanto che - scrive il Washington Post - la Rice ha telefonato due volte al reporter dopo l’intervista per precisare alcuni punti («C’è tanta disinformazione»). E la Casa Bianca ha annunciato un comunicato «per spiegare la propria posizione». I palestinesi e il loro presidente Mahmoud Abbas, per ora, applaudono alle «positive aperture delle Rice».
La miccia è stata innescata dalla decisione del governo Sharon di costruire 3.500 case nell’insediamento di Maale Adumim, a est di Gerusalemme, dove già vivono 30 mila coloni. Il piano, sotto la supervisione di Sharon, ripropone nelle sue linee guida il vecchio progetto della «Grande Gerusalemme»: circondare la città di insediamenti che impediscano, in più parti, di collegare il territorio della Cisgiordania alla (futura) capitale palestinese, bloccando di fatto la continuità territoriale del (futuro) Stato palestinese. L’Europa ha avuto parole di condanna, ricordando che la Road Map vieta nuove costruzioni negli insediamenti: «Israele - ha detto il capo della diplomazie Ue, Javier Solana - contravviene ai suoi impegni».
Perché questa mossa di Sharon, proprio quando il suo governo si è impegnato nello storico ritiro da Gaza (8 mila coloni, 2.200 case), occupata da 38 anni? Per sedare la fortissima contestazione della destra radicale, che tappezza Gerusalemme di scritte «Sharon, Rabin ti aspetta»? O per seguire un piano coerente, come sostengono i critici del premier: cedere Gaza per rafforzarsi in Cisgiordania? In ogni caso, Maale Adumim evidenzia una volta di più come saranno proprio i coloni (oggi 220 mila, il doppio rispetto ai tempi di Oslo) e la tracciatura dei confini gli scogli più difficili nei negoziati di pace.
In questo senso, è importantissimo capire la posizione americana. Una squarcio inaspettato l’ha offerto l’ambasciatore Usa a Tel Aviv, Dan Kurtzer, in un briefing al ministero degli Esteri israeliano, quasi testualmente riportato da Yedioth Ahronoth . Parole poi pubblicamente ritrattate. Kurtzer, dice Yedioth , ha negato che ci sia un consenso dell’amministrazione Bush perché tutte le maggiori colonie vengono inglobate a Israele. «Leggo sui vostri giornali che i vostri deputati ne sono convinti. Ma vi assicuro che questo accordo non è mai stato raggiunto». E ancora: «Spesso un americano finisce un discorso usando la parola: " I understand " (capisco, ndr ). Ma questo non significa che una comprensione sia stata raggiunta».
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla direzione del Corriere della Sera. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.
lettere@corriere.it