Combattere l'antisemitismo e accogliere Israele in Medio Oriente: la svolta storica di re Abdallah di Giordania
ma in Italia sembra non interessare
Testata:
Data: 25/03/2005
Pagina: 3
Autore: un giornalista
Titolo: Con la svolta di Abdallah si rivedono i due grandi partiti arabi
IL FOGLIO di venerdì 25 marzo 2005 pubblica un articolo sul recente discorso di re Abdallah di Giordania alle organizzazioni ebraiche americane, che segna una svolta storica,ignorata dai media. L'abbiamo vista solo sul FOGLIO. Ma è mai possibile che una notizia simile non interessi a nostri media ?

Ecco l'articolo:

Roma. Il discorso che il re di Giordania Abdallah ha tenuto martedì davanti alle organizzazioni ebraiche a Washington ha la stessa pregnanza del famoso "I have adream" di Martin Luther King o del "Ich bin ein Berliner" di John Fitzgerald Kennedy, davanti al Muro. Il discendente diretto di Maometto, il pronipote di Abdallah e Feisal, compagni d’arme di Lawrence d’Arabia, ha infatti preso solennemente l’impegno, di fronte a una platea composta soltanto da ebrei, di lanciare un’iniziativa per contrastare l’antisemitismo nel mondo arabo, per "espellere ogni componente religiosa dall’antisemitismo musulmano". Re Abdallah può permettersi oggi di combattere a testa alta l’antisemitismo arabo, perché è figlio e nipote degli unici due capi di Stato arabi che hanno combattuto eroicamente, fieramente, contro Israele, che hanno conteso nel 1948 e nel 1967 Gerusalemme all’esercito israeliano. Re Abdallah combatte l’antisemitismo perché è convinto "che l’islam stia andando in una direzione preoccupante" e ha ben chiaro che va tenuto separato il conflitto con gli ebrei per la terra da quell’antisemitismo islamico che ha impedito qualsiasi ricomposizione politica del conflitto. Ha chiaro che soltanto espurgando l’islam dalla componente antisemita – che ha dunque ammesso, onestamente – si potrà costruire la pace. Per questo sceglie di impegnarsi nel contrasto all’antisemitismo davanti alla "lobby ebraica americana", suo acclamato ospite, e provocatoriamente
lo fa, invece di andare ad Algeri a celebrare il 60° anniversario della Lega araba. Per boicottare la riunione della Lega araba, per impegnarsi a combattere l’antisemitismo arabo davanti alla lobby ebraica americana, ci vuole coraggio politico e questo non manca al giovane sovrano. Nessun media internazionale si è accorto della clamorosa novità (tranne quelli israeliani, che ne sono entusiasti). Re Abdallah sa bene che la sua dinastia non è mai piaciuta a un mondo "progressista" che ha invece sempre ammirato l’ex presidente palestinese Yasser Arafat, che lui, come il padre, re Hussein, ha sempre disprezzato, tanto che l’ha sfidato, in piena Intifada, a "guardarsi nello specchio e chiedersi se aiuta i palestinesi". Il suo è un progetto articolato, che lo impegna in una forte esposizione mediatica, in cui non risparmia sforzi per "fare sì che Israele si senta piena parte di quella regione che inizia con il Marocco e che attraversa tutto il mondo arabo". Una strategia alternativa al massimalismo panarabo imperante da ottanta anni: "Il problema con i palestinesi è che spendono il loro tempo a rimproverare i leader arabi e la piazza araba. Ma smettete di fare il coro con al Jazeera sulle colpe della piazza araba e dei leader arabi che non vi aiutano e aiutatevi voi per primi. Ogni volta che ho chiesto ad Arafat quale era la sua strategia e i suoi progetti, ho ottenuto il silenzio per risposta". La sua strategia è invece chiara: Israele deve "pagare il prezzo" della nascita di uno Stato palestinese e lo deve fare presto, non aspettando dieci anni, ma cogliendo la "finestra di opportunità" che si è aperta dopo la guerra a Saddam Hussein (cui ha discretamente collaborato) e la morte di Arafat, e che si chiuderà drammaticamente
se il risultato non si concretizza entro due o tre anni, come egli dice francamente sia al presidente americano George W. Bush sia al primo ministro israeliano Ariel Sharon. Ma proprio questa sua chiarezza sull’urgenza dei tempi e sulla pienezza dei poteri da attribuire allo Stato palestinese, gli permette di andare oltre. La sua Giordania non si limita a "tollerare" Israele, ma vuole sfruttare tutte le immense possibilità che Israele può offrire ai paesi arabi. Ecco allora che nel 2003, nell’Economic World Forum di Amman egli ha lanciato un appello ai gruppi finanziari israeliani per investire in Iraq (e in Giordania), ecco che affronta il problema cruciale del ritiro israeliano dalla Cisgiordania, in termini non soltanto di autonomia politica e nazionale, ma soprattutto di sviluppo integrato su scala regionale. In questa sua strategia si legge una intelligente attualizzazione delle idee di sempre della dinastia hashemita. Re Abdallah sa bene che il suo bisnonno, di cui porta il nome, fu ucciso nel 1950 da un sicario del Gran Muftì di Gerusalemme perché stava per siglare con Golda Meir (più volte andata ad Amman clandestinamente) una pace separata con Israele. Egli sa bene che suo padre, re Hussein, stava per essere travolto da un’insurrezione palestinese nel 1970, guidata da Arafat e che il risultato fu il "settembre nero". Sa bene che suo cugino, Feisal II, re dell’Iraq, fu massacrato nel 1958 da AbdolKarim Ghassem e dal Baath, per spazzare via il suo "partito costituzionalista" che intendeva costruire il nazionalismo arabo nella democrazia. Sa bene che l’uccisione dei re hashemiti del 1950 e del 1958 e "settembre nero" sono stati passaggi cruciali per l’imporsi della linea panaraba" appoggiata dall’ex Unione sovietica che ha sposato tutti i regimi e i movimenti arabi di alveo nazista e li ha promossi quali "progressisti", incancrenendo la questione israelo-palestinese con una pregiudiziale ideologica in cui, nonostante il lessico laico e socialista, l’antisemitismo musulmano era, ed è, parte essenziale. Re Abdallah sa bene che oggi il problema principale per gli arabi, caduti tutti i regimi dei "clientes" di Mosca, tranne quello siriano, che egli infatti indica come fattore di destabilizzazione, è una cultura politica infarcita d’integralismo, è un nazionalismo intriso di motivazioni religiose, in cui l’antisemitismo – lo si vede bene nel wahabismo saudita, nel Baath siriano in Muhammar Gheddafi – è momento centrale. Per questo combatte l’antisemitismo. Per questo sfida gli arabi a dimettere l’antisemitismo e iniziare così la modernizzazione, la Riforma dell’islam.
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