IL FOGLIO di giovedì 24 marzo 2005 pubblica in prima pagina un'analisi della politica mediorientale del presidente russo Vladimir Putin, in visita in Israele il 27 aprile, che forse aspira a un ruolo di mediatore regionale, ma che deve ancora dimostrare di essere realmente in grado di esercitarlo.
Ecco l'articolo:Mosca. Storica lo è per certo la visita di due giorni che Vladimir Putin effettuerà il 27 aprile in Israele: segna la prima apparizione di un leader russo o sovietico a Gerusalemme e suggella la lunga serie di viaggi che, negli ultimi anni, il primo ministro Ariel Sharon e il presidente Moshe Katsav hanno compiuto alla volta di Mosca, dove Katsav è atteso per le celebrazioni del 60esimo anniversario della sconfitta del nazismo. Al Cremlino l’evento è stato preparato con cura per dimostrare al mondo che i rapporti tra Russia e Israele sono più saldi che mai, benché Putin non abbia intenzione di rinunciare a vendere alla Siria i missili SA-18, che Damasco spaccia per un sistema difensivo e che Gerusalemme teme invece di veder apparire, opportunamente modificati, nelle mani di un terrorista di Hezbollah.
In realtà la visita andrà seguita con cura, senza la retorica dell’evento storico, perché si avrà l’opportunità di capire che cosa nasconda il pragmatismo mediorientale del Cremlino. Putin ha rinsaldato nelle ultime settimane le sue relazioni con Siria e Iran, siglando in quest’ultimo caso il discusso contratto per la fornitura di combustibile fissile al reattore nucleare di Bushehr. E Sharon si è spesso morso la lingua, limitandosi a lamentarsi con gli Stati Uniti, soprattutto quando si sperava in un esito più produttivo del vertice di Bratislava. Il presidente russo però non ha smesso di coltivare i buoni rapporti con Israele, fondati sulla collaborazione nella guerra al terrorismo internazionale e sul rifiuto pregiudiziale della Russia post eltsiniana di condividere alcune posizioni anti israeliane spesso sollecitate dagli amici europei, la Francia in particolare.
Il 27 aprile Putin dovrà dimostrare se hanno ragione gli ottimisti, che pensano che la creazione del triangolo Mosca-Damasco-Teheran sia stata pensata dall’ex premier Evgenij Primakov per rimettere in gioco la Russia da una posizione autonoma rispetto a quella degli Stati Uniti. Si ritiene cioè che il Cremlino, che già sul conflitto israelo-palestinese tenta di accreditarsi come mediatore, ambisca a esercitare un patronato su un tavolo di trattativa, tutto da costruire, tra Israele da un lato e Siria e Iran dall’altro. Non mancano però i pessimisti, per i quali Putin è prigioniero del suo pragmatismo – cui non sono estranei i ricchi proventi dei contratti con Damasco e con Teheran – e quindi incapace di imprimere alla sua politica mediorientale un colpo d’ala che sancisca una reale alternativa a Washington.
Sempre in prima pagina un articolo sulla svolta giordana: Re Abdallah accusa Siria e Hezbollah di fomentare il terrorismo e promette battaglia all'antisemitismo nell'islam.
Ecco il testo:Roma. "La Siria e Hezbollah stanno spingendo kamikaze palestinesi a fare attentati terroristi contro Israele". Senza mezzi termini, senza diplomazia, il re di Giordania Abdallah accusa il rais di Damasco, Bashar al Assad, di preparare una stagione di sangue in Palestina, con lo scopo di alleggerire la tensione sul Libano e rompere il suo isolamento internazionale. Non soltanto, Abdallah preannuncia il tentativo di mascherare imminenti attacchi israeliani dietro nuove sigle fumose e chiede al premier Ariel Sharon di verificare bene i responsabili di eventuali stragi, per non sbagliare nell’attribuzione di responsabilità. L’accusa, che tocca anche Teheran, è diretta e grave, per di più pronunciata dal re giordano a Washington, nel giorno in cui avrebbe dovuto presenziare al solenne vertice della Lega araba, che invece ha deciso di disertare per farsi ospitare a una riunione delle principali organizzazioni ebraiche e filoisraeliane americane. Una scelta addirittura provocatoria per i tanti premier arabi che ad Algeri hanno bocciato il suo piano di pace con Israele e si sono inerzialmente arroccati a difesa del progetto saudita del 2002, che non ha mai fatto un passo, che è un insulto per Gerusalemme, che l’Egitto, il Marocco, la Giordania e la Mauritania hanno già superato e che ha ricevuto parole di elogio dall’Alto rappresentante per la Politica estera europea, Javier Solana. Re Abdallah promette una sua azione per contrastare lo sviluppo dell’antisemitismo nel mondo arabo. E’ un’iniziativa clamorosa. Mai un leader arabo ha prima d’ora preso pubblico impegno per contrastare l’antisemitismo. E’ una scelta che rompe nettamente con sessant’anni di tradizione araba antisraeliana e antisemita. Con questo passo storico, re Abdallah delinea un suo nuovo, originale disegno e intende continuare l’opera del prestigioso padre, re Hussein, e del suo prozio, Feisal al Hashemi, primo re dell’Iraq, disponibile a qualsiasi accordo con il movimento sionista già negli anni Venti. Re Abdallah, discendente diretto di Maometto, si impegna, davanti a una platea di ebrei americani, a "espellere ogni componente religiosa dall’antisemitismo musulmano". E’ l’inizio della "riforma" dell’islam.
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