LA STAMPA di martedì 22 marzo 2005 pubblica a pagina 7 un'intervista di Maurizio Molinari a David Frum, a proposito delle dichiarazioni di Piero Fassino sulla politica statunitense.
Ecco l'articolo "Parla il neocon Frum «Sì alla svolta di Fassino»":Torniamo alla normalità, l'Alleanza Atlantica è troppo importante per essere considerata di parte». Così David Frum, politologo neoconservatore e già stretto collaboratore di Bush, commenta le dichiarazioni del segretario del Ds, Piero Fassino, su Bush e la democrazia in Medio Oriente.
Fassino vede nell'impegno di Bush per la democrazia araba un cambiamento della politica dei repubblicani rispetto a Kissinger. E' d'accordo?
«Certo, il fatto simbolico ebbe luogo nel 1975 quando Kissinger, segretario di Stato, suggerì al presidente Ford di non invitare il dissidente Solzenicyn, eroe dei diritti umani in Urss. Quell'evento spinse Reagan a candidarsi nel 1976 ed uno dei primi impegni che prese fu non riconfermare Kissinger. Reagan fece della democrazia e dei diritti umani l'arma di sfida al comunismo. E per la maggior parte della sua vita Reagan fu un democratico, assorbì le idee di Truman, Roosevelt e Kennedy, uniti nel ritenere che la democrazia è potente, che i moderni conflitti non si svolgono più fra nazioni. La II guerra mondiale è stata contro il nazifascismo, non contro tedeschi, italiani e giapponesi. Così come la Guerra Fredda non è stata contro i russi ma l'Urss. Quando Reagan arrivò alla Casa Bianca si rese conto che sostenere i dittatori non pagava, cambiò approccio e favorì lo sviluppo della democrazia».
Come avvenne la svolta definita da Fassino «rovesciamento»?
«Contano i nomi di alcuni funzionari di medio livello dell'amministrazione Reagan: Eliot Abrams per l'America Latina e in particolare il Cile di Pinochet, Paul Wolfowitz per l'Asia Orientale ed in particolare le Filippine di Marcos e Richard Perle per l'Urss. Applicando lo stesso approccio all'Europa Reagan concluse che non era una buona strategia sostenere Salazar ed i colonnelli greci. Reagan innescò mutamenti democratici dall'America Latina all'Estremo Oriente. Ma Bush padre non condivise l'approccio, era un cinico, volle con sé Scowcroft, già consigliere di Kissinger. Nella democratizzazione innescata da Reagan una vistosa eccezione fu il Medio Oriente. Per motivi diversi. Da un lato ci fu la questione del greggio ma dall'altra pesò il fatto che i neoconservatori Abrams, Wolfowitz e Perle essendo ebrei non vollero occuparsi di questa regione per timore di ciò che gli altri avrebbero potuto dire, d'altra parte per molti anni Dipartimento di Stato e Cia hanno escluso funzionari ebrei dal Medio Oriente. L'11 settembre 2001 ha reso però impossibile continuare ad ignorare tale regione. E' su questo si è impegnato Bush, avendo al fianco gli stessi tre individui».
Che cosa significa per la sinistra europea criticare Kissinger?
«Kissinger fu l'esponente americano di una teoria delle relazioni internazionali basata sugli Stati che non prestava attenzione ai popoli. Ma nella moderna età democratica i popoli contano. L'errore della sinistra sull'Iraq è stato opporsi alla guerra non perché troppo pericolosa ma in quanto moralmente ingiusta. I leader della sinistra hanno accettato che l'Iraq apparteneva a Saddam così come avevano fatto con l'Urss di Stalin. In questa maniera i leader della sinistra sono divenuti gli ultimi eredi di una logica kissingeriana che Bush vuole scardinare».
Crede che la sinistra si stia avvicinando a George Bush?
«Credo che stiamo tornando alla normalità. Fino adesso in Italia il legame atlantico è stato interpretato da Berlusconi, ora invece anche la sinistra dimostra di volerlo far proprio. L'Alleanza è più grande dei partiti, trasformarla in motivo di lotta politica è un errore».
Che cosa del pensiero di Bush fa breccia a sinistra?
«La sinistra è ottimista, universalista, mentre la destra è pessimista. Quando Bush dice che l'idea che ispira i popoli dell'Europa e delle Americhe può ispirare anche il Medio Oriente sfida i pessimisti, chi ha paura del futuro, con i temi della sinistra universalista».
Ma Fassino nega l'esistenza di un «nesso automatico» fra guerra in Iraq e democrazia. Non è una contraddizione?
«I politici non sono obbligati ad essere logici. Fassino non dice che è contro la guerra, si ritira su una posizione dove nessuna delle parti è in disaccordo, cambia soggetto. E' qualcosa di simile a ciò che Blair fece con la Thatcher: non le diede ragione, ne accettò i risultati. Credo che sia stato Berlusconi con i suoi errori a creare tale opportunità per la sinistra».
Quali sono stati i suoi errori?
«Ha risposto con il panico alla morte di Calipari. Prima ha parlato di ritiro unilaterale, poi ha detto che sarebbe stato negoziato e quindi ha affermato che non vi sarebbe stato alcun ritiro. Tre opinioni in sei giorni significano assenza di idee chiare su ciò che si vuole fare».
Che cosa aspettarsi da un’apertura della sinistra alle idee di Bush?
«Il 2005 è iniziato in America con più riconoscimenti a Bush, si sta facendo largo anche fra i democratici l'idea che entrerà nel gruppo dei presidenti che hanno avuto successo nel diffondere le proprie idee, come Reagan, Kennedy e Truman. Le parole di Fassino lasciano intendere che questo processo è in corso anche in Italia. Se la sinistra sostiene il processo di democratizzazione del Medio Oriente sarà molto più efficace nell'avanzare obiezioni su Guantanamo».
« No ai pacifisti parolai ma Kissinger è meglio dei neocon » è invece il titolo dell'intervista di Gian Guido Vecchi a Massimo Cacciari, pubblicata dal CORRIERE DELLA SERA a pagina 12.
Il filosofo e sindaco di Venezia difende il realismo "europeo" dell'ex segretario di Stato americano, ispirato alla cultura politica della Restaurazione.
La politica della democratizzazione del Medio Oriente sarebbe invece inficiata da pericolose "intolleranze liberatrici" (espressione che sottointende la trasformazione del concetto di tolleranza, che non implica più l'accettazione delle più diverse opinioni e del dissenso, ma l'accettazione dei più diversi modi di trattare le opinioni e il dissenso, comprese le esecuzioni capitali e le torture delle polizie politiche) e da smanie "rivoluzionarie" che porterebbero, secondo un ragionamento ripreso da Carl Schmitt, che lo utilizzò per negare la legittimità del processo di Norimberga, alla guerra infinita e alla "criminalizzazione" dell'avversario visto come un violatore dei diritti umani e non più come "nemico giusto".
Non era Saddam Hussein ad essere un criminale dunque, sono gli americani che lo hanno "criminalizzato", con la conseguenza di rendere necessario l'abbattimento del suo regime in nome di una nefasta "ideologia" della libertà e dei diritti.
In realtà sono i regimi totalitari, laici o fondamentalisti, del Medio Oriente che sono pervasi da smanie rivoluzionarie, panarabe o islamiste, e che impongono modelli politici inumani.
La strategie americana in Medio Oriente non passa affato per l'imposizione di un modello astratto e omogeneo di democrazia, ma per la rimozione degli ostacoli ( i regimi tirannici) che impediscono l'esercizio della democrazia nelle forme scelte dai popoli arabi e musulmani (purchè tali forme non comportino la negazione della libertà e del pluralismo, come nel caso della Repubblica islamica iraniana e di altre parodie della democrazia, ma in quei casi, ancora una volta, vi è la violazione "ideologica" e "rivoluzionaria", cioè totalitaria, dei diritti di qualcuno).
Strano poi che Cacciari lamenti, a distanza di poche righe, sia la vaghezza del modello di democrazia proposto agli arabi dagli Stati Uniti sia la supposta pretesa di questi ultimi di imporre al mondo un unico modello di democrazia.
Ecco l'articolo:Sono finiti i tempi in cui Kissinger sosteneva le dittature militari fasciste, dice Fassino: se Bush dichiara di battersi per la libertà e la democrazia nei Paesi arabi, significa che l'atteggiamento Usa è cambiato, e un po' di sana intransigenza non guasta...
« Capisco che voglia distinguersi da un pacifismo un po' parolaio e inerte, però stiamo attenti a non cadere dalla padella nella brace e prendere per buona l'ideologia neocon: l'idea che attraverso " intolleranze liberatrici" si possano trasformare i Paesi arabi in democrazie è culturalmente folle e politicamente tragica, non farà che alimentare le correnti fanatiche dell'islamismo » . Il filosofo Massimo Cacciari rilegge perplesso le parole del leader ds, socchiude gli occhi, scuote la testa, « davvero vuol prendere per buona questa configurazione ideologica che vuole l'amministrazione americana combattere ovunque e comunque per la democrazia? Andiamo, non è questione di antiamericanismo ma di realismo politico, qualcuno pensa che faranno guerra alla Siria o alla Corea del Nord? M'immagino che risate avrebbe fatto un Aron davanti a roba del genere! E poi che c'entra Kissinger? » Perché, professore, la politica Usa non è forse cambiata? « Parliamo di trent'anni fa e nel frattempo è cambiato il mondo. Ma il paragone non ha senso storico, allora c'era la guerra fredda, un equilibrio di potenze da conservare, e quindi lo schema di Kissinger era quello della Santa Alleanza: il nemico del mio nemico è mio amico e chi se ne importa se è un regime, non fa una piega, mica per niente scrisse un'opera importante sulla Restaurazione. Come facciamo a sapere come si comporterebbe un Kissinger adesso? » . Lei cosa pensa? « Per la verità non penso che sarebbe un Wolfowitz. Perché la cultura di Kissinger era molto europea, non aveva tagliato il cordone ombelicale con la tradizione politica continentale » . E i neocon si? « Sì. L'Europa, sulla base delle esperienze tragiche di due secoli, da Napoleone in poi, negli ultimi cinquant'anni si era liberata di questi criteri rivoluzionari » . Rivoluzionari? « La matrice è quella: l'intolleranza liberatrice che porta con sé la dottrina della guerra giusta e preventiva. Quando intervengo su uno Stato per liberarlo di una dittatura, non compio una rivoluzione? L'ideologia fa di me il rappresentante di diritti umani assolutamente universali e inalienabili. Non solo non tollero le dittature e appoggio ogni movimento politico di liberazione in quei paesi. Faccio di più: non tollero l'esistenza di paesi che abbiamo forme politiche diverse dalle mie. Penso che il mondo possa essere in pace solo se adotta il mio modello e che questo modello non possa crescere autonomamente dalle culture specifiche: finché non l'ho imposto dall'esterno non c'è libertà né pace » . Conseguenze? « La guerra permanente e infinita. Non ho più a che fare con un nemico giusto, lo " justus hostis" dell'età moderna, due Stati sovrani che riconoscono come tali e combattono per ridefinire un nuovo equilibrio. Il nemico diventa un ribelle ai diritti umani universali, è il male assoluto. Anche lo Stato nemico non è più tale ma uno Stato finto, " canaglia", come si dice. Il terrorismo ha reso radicale questa tendenza, il conflitto diventa pura inimicizia. Perché fuori dei diritti umani c'è l'inumano e l'inumano va annientato » . Resta il fatto che la guerra in Iraq ha permesso le elezioni, no? « Certo, Fassino ha fatto bene a sostenere gli iracheni che hanno votato. Anche l'intransigenza contro le dittature è ovvia.
Ma il punto vero è: come si combattono? Andiamo avanti così? L'unico strumento che abbiamo è l'intervento militare esterno alla Napoleone? » . « E allora smettiamola con i grandi principi universali e siamo realisti. Anzitutto: perché non ragioniamo sul modello di democrazia che vogliamo proporre agli amici arabi? Vogliamo spiegarcelo, finalmente, o basta il nome? Perché ci sono democrazie conservatrici e di sviluppo, basate su modelli mercantili o sul welfare, e non possiamo far finta di non vedere quanto la nostra decantata democrazia sia in crisi — conflitti endemici di interesse, monopoli mediatici, prepotenza del sistema finanziario — , o tutte le biblioteche dedicate all'argomento sono fandonie bolsceviche? » . A proposito: Fassino dice che non sta scritto da nessuna parte che un paese islamico non possa essere democratico...
« È giustissimo e importante affermarlo rispetto ai vari Baget Bozzo, ma non dice ancora niente alle persone pensanti e non settarie o fanatiche. Perché è evidente che la democrazia, quei Paesi, dovranno inventarsela in base alle loro storie differenti e non potrà mai essere la democrazia di Bush o di Berlusconi o di Fassino! Millequattrocento anni di storia, ci piaccia o no, non sono propriamente acqua fresca » . « Uno sforzo politico, diplomatico, culturale e anche di intelligence militare, certo, per sbaraccare fondamentalismo e terrorismo. Ma l'essenziale è sostenere le élites intellettuali di quei Paesi, cosa che non abbiamo mai fatto. La primavera di Beirut si lega ad una tradizione novecentesca di riflessione democratica, nel mondo arabo, che aveva una delle punte più avanzate proprio in Libano. Di certo non devono soccombere al nostro modello, ammesso e non concesso che esista. Non sarà mai la nostra democrazia » . Ma insomma, almeno ha ragione Fassino a dire che Bush è cambiato? « Sì, questo lo penso anch'io, mi pare che sia il presidente sia la Rice siano consapevoli di questi problemi. Anche il fatto che Wolfowitz sia stato nominato alla Banca mondiale significa premiarlo, sì, ma pure allontanarlo dal luogo in cui si decide la politica estera... » .
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