L'articolo di EUROPA di martedì 22 marzo 2005 sul vertice della Lega araba si intitola: "Verso «relazioni normali» con Israele? La svolta della Lega araba ad Algeri".
In modo che sia subito evidente l'incomprensione di ciò che avviene ad Algeri, dove non si è prodotta una svolta della Lega araba, ma lo scontro tra due linee politiche: una di svolta, proposta da Abdallah di Giordania, per il quale la normalizzazione dei rapporti con Israele deve precedere i negoziati sui territori, e l'altra conservatrice, attestata sulla difesa del principio "pace in cambio di territori", per il quale Israele può veder riconosciuto il proprio diritto all'esistenza solo in cambio di concessioni territoriali.
Un'aberrazione politica e morale, che ha contribuito al fallimento degli sforzi fin qui compiuti per raggiungere la pace, avendo instillato nei terroristi la convinzione di poter raggiungere sempre qualcosa di più alzando il livello della violenza.
L'articolo svolge i termini di questa incomprensione, vedendo nel documento finale del vertice, che appunto subordina la normalizzazione al rispetto di un diktat sulle concessioni territoriali ( e sui profughi) soltanto una lieve correzione della proposta iniziale di re Abdallah.
Il quale era però talmente soddisfatto del riscontro avuto dalla sua proposta da disertare il vertice.
Chissà perchè, potrebbero chiedersi, ignari, i lettori del quotidiano della Margherita...
Ecco l'articolo:Circa 12 fra capi di stato e sovrani arabi sono attesi ad Algeri per il vertice della Lega Araba, che si svolgerà oggi e domani. I leader mirano a rilanciare un’offerta di pace regionale a Israele e a riformare lo statuto interno dell’organizzazione.
Il vertice è stato preceduto da una riunione dei ministri degli esteri arabi, che hanno adottato domenica un progetto di risoluzione giordano che chiede il sostegno dei governi arabi al piano di pace con lo stato ebraico proposto a Beirut nel 2002. Il documento finale, che sarà sottoposto ai capi di stato, chiede a Israele il ritiro totale dai territori arabi occupati in modo conforme «al diritto internazionale, al principio della terra in cambio della pace, alla conferenza di Madrid». Come contropartita «i paesi arabi potranno, a maggior ragione, considerare che il conflitto israelo-arabo è terminato e sviluppare delle relazioni normali con Israele nel quadro della pace globale», recita la bozza.
Su richiesta di alcuni membri della Lega, rispetto al testo originale presentato dal regno hashemita, è stata aggiunta l’esigenza di vedere Israele ritirarsi «dai territori arabi occupati, compresi il Golan siriano fino al confine del 4 giugno 1967, oltre che dai territori ancora occupati nel sud del Libano – in riferimento alle Shebaa Farms – l’accettazione di uno stato palestinese indipendente e sovrano in Giordania e Gaza con capitale Gerusalemme est, una soluzione giusta alla questione del profughi palestinesi, che sia conforme alla risoluzione 194 dell’Assemblea generale dell’Onu, la garanzia del ri- fiuto di ogni forma di insediamento dei palestinesi » nei paesi arabi.
La risoluzione lancia, d’altronde, un «appello alla comunità internazionale per sostenere questo progetto» e incarica la commissione ministeriale araba investita del piano di pace di «occuparsi con urgenza della sua realizzazione». Secondo il ministro degli esteri giordano, Hani Mulki, la Giordania è riuscita a riattivare il piano di pace, presentato in origine dall’Arabia saudita e adottato dal vertice di Beirut nel 2002. La proposta saudita chiedeva allo stato ebraico una pace globale in cambio del suo ritiro dai territori arabi occupati nel 1967.I capi di stato discuteranno anche di riforme e sviluppo del mondo arabo e della Lega araba, oltre che delle questioni irachena, sudanese e somala. La proposta di Beirut era stata respinta da Israele. Il dossier siro-libanese e la risoluzione 1559 del Consiglio di sicurezza dell’Onu che ha chiesto alla Siria di lasciare il Libano, non sono stati affrontati nel corso delle riunioni ministeriali preparatorie del vertice. Il progetto di risoluzione in 16 punti che sarà sottoposto ai leader arabi preannuncia degli emendamenti allo statuto, che non ha subito cambiamenti nei suoi sessant’anni di esistenza.
Si fa riferimento alla creazione di un parlamento arabo «indipendente» della Lega, che avrebbe sede a Damasco, dove i paesi arabi sarebbero rappresentati da quattro delegati ciascuno.
Il testo parla anche di una modifica alle procedure di voto nella Lega, che prevede che le questioni importanti siano adottate attraverso la maggioranza qualificata dei due terzi, e non più all’unanimità; e che le questioni ordinarie siano adottate a maggioranza semplice. Il leader libico Muammar Gheddafi, il primo a raggiungere la capitale algerina, è stato accolto dal presidente Abdelaziz Bouteflika. Fra i capi di stato, ci saranno Hosni Mubarak, il presidente iracheno uscente Ghazi Al Yawer, il principe ereditario dell’Arabia saudita, Abdallah bin Abdel Aziz, il re del Marocco Mohammed VI, il presidente tunisino Zine El Abidine Ben Ali, e il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen.
Re Abdallah II di Giordania, il presidente libanese Emile Lahoud e il presidente degli Emirati arabi, Sheikh Khalifa bin Zayed al Nahyan saranno invece assenti. Tra chi ha accettato l’invito del presidente algerino per assistere all’apertura del summit, ci sono Kofi Annan, Javier Solana, José Luis Zapatero e Michel Barnier e, per l’Italia, Marco Follini, vicepresidente del consiglio.
Hanno capito benissimo cosa accade ad Algeri, invece al MANIFESTO. Naturalmente parteggiano per chi di normalizzazione dei rapporti con Israele non vuole saperne.
La rigidità di costoro è però presentata dal quotidiano comunista come il prodotto dell'ennesima "provocazione" israeliana: "La pace all'israeliana gela il vertice arabo" è il titolo scelto per la cronaca di Michele Giorgio.
La "colpa" di Israele questa volta è l'approvazione della costruzione di nuove case tra Gerusalemme e Maaleh Adunim.
Approvazione divenuta di pubblico dominio, per un articolo su Yediot Aharonot, domenica 19 marzo.
Così come è domenica che Amr Mussa, segretario della Lega, senza probabilmente neppure conoscere la decisione israeliana, ha ribadito il suo no alla normalizzazione.
L'articolo omette informazioni rilevanti, come il ridimensionamento, da parte di alcune fonti militari, del numero previsto di nuove abitazioni e l'annuncio della costruzione di una strada che collegherà Ramallah e Betlemme, garantendo continuità territoriale effettiva al futuro Stato palestinese. Nè viene ricordato che tuttte le ipotesi di accordo finale,anche quelle ritenute più interessanti dai palestinesi (compreso l'"accordo" di Ginevra) prevedono scambi di territorio, nè che l'indivisibilità di Gerusalemme è un principio fatto proprio da molte ipotesi di accordo finale, che pure tengono conto delle rivendicazioni palestinesi (per esempio da quelle avanzate dal Vaticano).
Degno di nota anche il seguente passaggio, che non riguarda il conflitto israelo-palestinese, ma è molto significativo del doppio standard del quotidiano comunista: il vertice "esprimerà anche solidarietà al Sudan contro ogni minaccia di intervento militare straniero ma anche preoccupazione per la situazione nel Darfur".
Israele è sempre colpevole della mancata pace, la Giordania tradisce i palestinesi se propone la normalizzazione. Nel caso del regime sudanese invece, va bene che la Lega esprima "solidarietà" al regime che organizza i massacri in Darfur e subito dopo un'ipocrita "preoccuppazione" per la situazione in questa regione.
Del resto, IL MANIFESTO sembra persuaso anche dall'idea di un "parlamento arabo" con sede a Damasco, capitale, com'è noto, di un' esemplare democrazia parlamentare.
Ecco l'articolo:Preceduta dalla notizia dei nuovi progetti israeliani di costruzione di 3.500 case nella colonia di Maaleh Adumim, ad est di Gerusalemme, si apre oggi ad Algeri un vertice della Lega araba che affronterà temi di grande rilievo come la crisi interna libanese e il ritiro siriano, l'occupazione americana dell'Iraq, la questione israelo-palestinese e quella del Darfur. Il summit è stato preceduto dai tentativi di diversi paesi arabi di avviare relazioni con lo Stato ebraico, nonostante per i palestinesi sia cambiato ben poco. La strategia del nuovo governo «pacifista» di Ariel Sharon non è diversa da quella del precedente esecutivo di destra. La colonizzazione dei Territori occupati prosegue senza sosta.
Domenica il ministro della difesa Mofaz ha approvato la costruzione di 3.500 nuove case a Maaleh Adumim mentre un ministro del Likud ha chiesto di riconoscere decine di avamposti costruiti dai coloni prima del 2001. «Questi piani - ha detto il responsabile palestinese per i negoziati Saeb Erekat - rendono superfluo il processo di pace. Non si può pensare ad alcun accordo senza che Gerusalemme est sia la capitale del futuro Stato palestinese». Secondo Erekat, «i fatti dimostrano che il piano di Sharon mira a trasformare Gaza in un carcere e a trasferire i coloni nella Cisgiordania». «Nessun palestinese accetterà mai progetti del genere», ha avvertito. Il piano per la Grande Gerusalemme tuttavia risale al premier laburista Yitzhak Rabin che prima di essere assassinato (1995) disse che voleva «una capitale riunificata che si estenda fino a Maaleh Adumim e a Pisgat Zeev» (a nord).
Indifferente rispetto a ciò che accade sul terreno, re Abdallah di Giordania, nei giorni scorsi, aveva presentato agli altri paesi arabi un piano per la «pace globale» che se da un lato tendeva a ridare nuova linfa alla risoluzione approvata dal summit di Beirut (2002) per il riconoscimento arabo dello Stato ebraico in cambio del suo ritiro dalle terre palestinesi e siriane occupate nel 1967, dall'altro chiedeva la «normalizzazione» delle relazioni con Israele senza attendere il ripiegamento delle sue truppe. Domenica i ministri degli esteri arabi hanno trovato un accordo su una nuova bozza della proposta giordana. «Nella nuova formulazione non è cambiato nulla riguardo i contenuti della dichiarazione di Beirut», ha precisato il responsabile della diplomazia palestinese Nasser Qidwa. Il ministro degli esteri giordano, Hani al-Mulki, ha negato che vi fosse una contraddizione tra la proposta di Amman e quella approvata in Libano tre anni fa. In ogni caso la bocciatura dell'iniziativa, alla vigilia della riunione di Algeri, ha spinto re Abdallah a rinunciare al summit.
A margine della vicenda è esplosa anche una crisi diplomatica tra Giordania e il governo filo-americano iracheno. Amman ha deciso di richiamare il suo ambasciatore a Baghdad dopo le continue manifestazioni di protesta degli sciiti per la strage di Hilla, compiuta da un kamikaze giordano. Oltre ad Abdallah non prenderanno parte al vertice altri capi di stato, tra cui il presidente libanese Emile Lahud che, di fronte alla crisi politica che travaglia il suo paese, ha deciso di rimanere a casa. Damasco da parte sua, con il ridispiegamento delle sue truppe dal Libano ancora in corso, si attende una risoluzione che esprima sostegno alle autorità libanesi filo-siriane e una chiara richiesta di ritiro di Israele dalle alture del Golan. Il ministro degli esteri algerino Abdel Aziz Belkhadem ieri è stato perentorio nell'affermare che il vertice della Lega araba «non sarà quello della normalizzazione dei rapporti con Israele» e che la pace «giusta e globale» passa dalla creazione di uno Stato palestinese indipendente e sovrano con Gerusalemme est capitale, il ritiro israeliano dai Territori arabi occupati nel 1967 e una soluzione equa al problema dei profughi palestinesi. Il progetto di risoluzione finale sottolinea che il possesso di armi di distruzione di massa da parte di Israele e il suo rifiuto di sottoporre le sue installazioni nucleari al controllo dell'Aiea costituiscono «un grave pericolo per la pace e la stabilità nella regione».
Sull'Iraq il vertice dovrebbe chiudersi con un appello alla piena sovranità, all'indipendenza e all'unità del paese con la partecipazione di tutte le sue componenti. Esprimerà anche solidarietà al Sudan contro ogni minaccia di intervento militare straniero ma anche preoccupazione per la situazione nel Darfur. Il documento infine condannera' «il terrorismo in tutte le sue forme e qualsiasi siano le sue motivazioni». Non era ben chiaro ieri sera che cosa sarà deciso rispetto alle riforme democratiche nei paesi arabi. Qualcuno dei partecipanti ha fatto riferimento alla «Carta delle riforme» approvata al summit di Tunisi, altri a un progetto globale che fissi le priorità delle riforme e le scadenze che dovranno essere comunemente rispettate. Il segretario generale Amr Musa ha insistito per la istituzione di un parlamento panarabo partendo che dopo una fase transitoria dovrebbe «diventare una vera e propria rappresentanza politica». Il parlamento arabo sarà composto da quattro rappresentanti dei parlamenti nazionali di ciascun paese per un mandato di cinque anni. La sua sede dovrebbe essere a Damasco e preparerà la costituzione di un parlamento permanente che sarà eletto. Sono stati abbandonati, i progetti di creazione di un Consiglio di sicurezza, di una Corte di giustizia, di una Banca d'investimento sul modello di quella Ue.
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