Onu: lo scandalo oil for food (che cambia gli equilibri politici del palazzo di vetro) e quello della commissione per i diritti umani
dove siedono il Sudan e la Libia
Testata:
Data: 15/03/2005
Pagina: 1
Autore: un giornalista - Mara Gergolet
Titolo: Ora all'Onu comanda Malloch-Brown. Annan è in viaggio e cerca amici - L'Onu sotto accusa per i diritti umani
In prima pagina IL FOGLIO di martedì 15 marzo 2005 pubblica l'articolo "Ora all'Onu comanda Malloch-Brown. Annan è in viaggio e cerca amici", che riportiamo:
New York. La spada di Damocle che minaccia Kofi Annan si chiama "seconda parte del rapporto di Paul Volcker" e piomberà addosso al segretario generale dell’Onu fra due o tre settimane. Riguarda il ruolo avuto da suo figlio Kojo nelle ruberie del programma Oil for food con l’Iraq. A palazzo di Vetro ormai gli affari sono gestiti in sua vece dall’inglese Mark Malloch-Brown, l’ex giornalista dell’Economist mandato a commissariarlo come capo di gabinetto.
Kofi Annan è a tal punto esautorato che domenica mattina Malloch-Brown si è fatto intervistare proprio dalla Fox, che da sempre bersaglia impietosamente le Nazioni Unite, parlando da segretario generale. Annan invece, segretario dimezzato, viaggia il mondo e cerca consensi. Ieri è arrivato a Gerusalemme per l’inaugurazione, prevista per oggi, del nuovo museo dell’Olocausto, assieme ad altri trenta capi di Stato e premier da tutto il mondo.
Il segretario generale, in debito d’ossigeno, si è lanciato in dichiarazioni inedite, ipotizzando, seppur a certe condizioni, un mandato biennale d’Israele dentro il Consiglio di sicurezza, ipotesi improbabile, visto che il paese è escluso dai "gruppi geografici" (i paesi arabi non lo accettano) che dettano legge all’interno dell’Onu, esprimendo anche le candidature per i seggi a rotazione nel Consiglio. Il premier Ariel Sharon ha incassato soddisfatto la moderazione con cui Annan ha parlato della barriera difensiva d’Israele, condannata da una risoluzione dell’Onu. Invece di ribadire apertamente la condanna, infatti, il segretario generale si è limitato ad auspicare pronti risarcimenti per i palestinesi danneggiati. Ieri è stato criticato per questo da Hamas, nelle stesse ore in cui si recava a omaggiare la tomba di Yasser Arafat, dopo l’incontro a Ramallah con il presidente palestinese Abu Mazen. La ricerca di consensi di Annan sembra estendersi anche in casa araba: fonti del Palazzo di Vetro hanno confermato all’agenzia kuwaitiana Kuna che il segretario generale parteciperà al vertice delle Lega araba di Algeri, il 22 e 23 marzo.
Prima Annan è stato a Madrid per l’anniversario della strage di Atocha, e ha partecipato alla conferenza su Terrorismo, sicurezza e democrazia. Ha lanciato un appello agli Stati membri dell’Onu, i quali da decenni non riescono a mettersi d’accordo neppure su una definizione comune di "terrorismo". Il blocco arabo-comunista-dittatoriale vuole infatti includere nella nozione anche il "terrorismo di Stato" (leggi: quello, a loro dire, di Israele), e considera un "diritto" quello di "resistere all’occupazione" (leggi: quella, a loro dire, di Israele) con ogni mezzo. "Le divergenze e i lunghi negoziati sulla definizione indeboliscono da troppo tempo l’autorità morale della nostra organizzazione", ha ammesso Annan. E, giocando al recupero, propone: "Concentriamo i nostri dibattiti politici sul ‘terrorismo di Stato’ e sul ‘diritto a resistere all’occupazione’ per arrivare a una convenzione completa, che consideri illegale il terrorismo in tutte le sue forme. Prendiamo come base per il lavoro la definizione proposta dal Comitato d’esperti per la riforma dell’Onu: ‘E’ terrorismo ogni azione volta a causare la morte o il ferimento di civili e non combattenti, per intimidire la popolazione o costringere un governo o un’organizzazione internazionale a fare o astenersi dal fare qualcosa’".
Fare o astenersi dal fare è un dilemma che ha impensierito anche l’inviato di Annan in Libano, Terje Roed-Larsen, nell’ultimo week-end. Il presidente siriano Bashar el Assad ritirerà immediatamente i suoi 14 mila soldati dal Libano, come chiede la risoluzione dell’Onu numero 1.559? Sabato sembrava di sì, Damasco assicurava che 4.000 militari hanno già lasciato del tutto il paese, mentre gli altri 10 mila stanno arretrando nella valle della Bekaa, vicino al confine. Gli Stati Uniti e la Francia intendono approfittare del momento, dell’energia data dalle manifestazioni antisiriane di Beirut, per incassare un ritiro completo prima delle elezioni previste a maggio. Assad invece temporeggia, e mantiene ancora nelle principali città libanesi i suoi mille agenti segreti. Roed-Larsen è fiducioso, sabato dava la cosa per fatta, ma il nuovo consigliere per la Sicurezza nazionale americano, Stephen Hadley, nella sua prima intervista televisiva domenica lo ha inchiodato: "Aspettiamo i fatti".
A pagina 10 il CORRIERE DELLA SERA pubblica l'articolo di Mara Gergolet "L'Onu sotto accusa per i diritti umani", che riportiamo:
Vorreste come giudice un criminale? In altre parole, vi fidereste di un governo a cui, giusto due mesi fa, l'Onu ha notificato le seguenti accuse: « Uccisioni di civili, tortura, rapimenti di persone, distruzione sistematica di villaggi, stupri » ? Questo è il Sudan: un Paese dove il governo è ritenuto corresponsabile di 180 mila morti nel Darfur, di 1,8 milioni di profughi. Eppure, questo stesso governo è chiamato a dare pagelle sui diritti umani al resto del mondo. Imputato dell'Onu, giudice per suo conto. In buona compagnia: con lui siedono nella Commissione Onu un'altra mezza dozzina di governi ( Cina, Russia, Arabia Saudita, Nepal, Cuba, Zimbabwe) che l'Occidente difficilmente etichetterebbe come democrazie. Fino a un anno fa, il presidente ne era la Libia. Uno scherzo, un errore? Nessun errore, troppi errori. « Finora non siamo riusciti a raggiungere il nostro fine » , ammette la canadese Louise Arbour, presidente, all'apertura dell'annuale sessione della Commissione Onu dei diritti umani a Ginevra: sei settimane di lavoro. Pochi giorni fa, a un'amica aveva confidato: « S iamo i più esposti, ma anche i più marginali: io passo l' 80% del mio tempo a cercare fondi » . Sottofinanziati, poco personale: s'arrangiano con 60 milioni di dollari l'anno, il 33% passato dall'Onu.
Una squadra di esperti voluta da Kofi Annan, nel suo rapporto dello scorso settembre, ne ha caldeggiato la ristrutturazione: allarghiamola a tutti i 191 Paesi membri Onu, non agli attuali 53 che sono eletti.
I gruppi dei diritti umani invocano riforme a gran voce. La Arbour sostiene che le cose si stiano già muovendo. « La commissione è diventata un rifugio di governi che sistematicamente compiono abusi — dice Kenneth Roth, di Human Rights Watch — . Al momento, il suo vero obiettivo sembra essere di evitare le critiche ai Paesi membri » .
Nelle aule di Ginevra sorgono alleanze improbabili. La Cina, manovrando con diplomazia, non ha mai subito nemmeno un rimbrotto. La Russia è virtuosa dal 2001, grazie a un asse con gli islamici, che mettono il silenziatore ai massacri ( dei musulmani) in Cecenia. « La Commissione — dice Margherita Boniver, sottosegretario agli Esteri — ha una logica squisitamente politica. Vanno fatte le riforme: l'Italia è per la creazione all'interno dell'Onu di una " comunità delle democrazie", che voti compatta » . « Certo, il pianista è cattivo — osserva Sergio Romano — ma è l'unico che abbiamo. A meno di non accettare le tesi come quelle del sottosegretario americano John Bolton, che ha detto: " All'Onu si potrebbero togliere dieci piani". Ma non mi sembra che sia questa la strada » .
Appunto, ma qual è la strada? Un'aggressiva esposizione pubblica dei Paesi in fallo — come chiedono Usa e attivisti dei diritti umani ( che però a Ginevra denunceranno l'America per gli abusi di Guantánamo) — o la diplomazia felpata e silenziosa ( quiet diplomacy ) in cui l'Europa continua a credere? Il capo della politica estera Ue, Javier Solana, l'ha ribadito ieri: « Spesso una parolina detta a bassa voce sul destino di un dissidente ha più impatto di un discorso di alto profilo » .
Il dissidente egiziano Ayman Nour è uscito dal carcere per il tour cancellato di Condi Rice o per la visita al Cairo dei parlamentari europei? « Io credo nella quiet diplomacy — dice la Boniver — .
È più efficace delle manifestazioni » . Meno convinta Emma Bonino: « La quiet diplomacy può anche funzionare, purché abbia dei tempi certi: nei Paesi arabi l'Europa ci ha provato, invano, per 30 anni, senza mai darsi scadenze. E poi, questa politica deve essere trasparente: altrimenti, come può conoscerla un oppositore siriano, come può farla propria? » . Aiuti sottobanco o pubblica vergogna per i regimi corrotti? « Sono due approcci teorici — dice la Arbour — . Spesso giustificano solo la nostra inerzia » .
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