La memoria di Nicola Calipari non appartiene a chi sostiene il terrorismo iracheno
il commento di Marco Pannella
Testata: Corriere della Sera
Data: 07/03/2005
Pagina: 10
Autore: Marco Pannella
Titolo: La resa ai dittaori chiamata
Il CORRIERE DELLA SERA di lunedì 7 marzo 2005 pubblica un articolo di Marco Pannella, omaggio a Nicola Calipari e denuncia della complicità politica dei sedicenti pacifisti con le dittature.

Ecco il testo:

Nicola Calipari è caduto, è morto perché ha fatto parte, fa parte, dell'Italia che resta, dell'Italia che va, non di quella che chiama « pace » il « non andare » nella Cambogia di Pol Pot e perfino il « venir via » , ora, dall'Irak che ci chiede di restare; invece, questa Italia « de sinistra » va, ma solo in pellegrinaggio, ovunque, da sempre, che fosse nell'impero comunista sovietico o nella Cina che stermina con altre popolazioni intere ancora oggi i propri contadini, come altrove fu con le popolazioni del Volga Don. Una « Italia » — questa — antropologicamente, ormai o ancora, antiamericana e antiliberale, e che non declina mai, né come soggetto né come oggetto, né a Venezia né altrove, la parola « libertà » .
Nicola Calipari fa parte ideale e tragica dei 900 mila iracheni assassinati da Saddam, lasciato in pace, assoluta, ad assolvere le funzioni di macellaio del suo popolo e dell'umanità; lasciato in pace perché dittatore, antidemocratico, antiliberale, come spesso accade dove la società è retta in tal modo, mentre ci si scatena, a lungo, ferocemente, contro i « crimini » del Messico o della Turchia, e ovunque, se vi sia in atto un processo democratico, e « occidentale » .
Nicola Calipari è caduto, è morto, come soldato ( e non come assoldato) della pace e della libertà; in obbedienza ai deliberati e agli appelli dell'Onu e dell'Iraq, degli iracheni, e innanzitutto della sua coscienza di cittadino e di « servitore » dello Stato italiano. Onora noi tutti, tranne coloro che continuano a considerare l'assassinio e il terrorismo contro le donne e gli uomini d'Iraq un'arma doverosa e esclusiva, ideologica e quotidiana; e che considerano costoro come « resistenti » , come « patrioti » , come « vittime » degli « americani » e degli « italiani » , dei « britannici » , con sciagurata fedeltà ideologica a una storia per tanti versi infame che si dichiara — nel contesto — superata, ma non certo ripudiata.
Nicola Calipari, ha lui dato corpo e anima alla nonviolenza; non altri che la « scoprono » ora, e che insultano la verità storica, continuando nel miserrimo gioco di distinguere ( e contrapporre) il « popolo » americano da colui che quel popolo ha eletto a governarlo e rappresentarlo, o di cui approva, con una amplissima maggioranza democratica, l'operato. Costoro rispettano i « silenzi » « cambogiani » , « iracheni » , e disprezzano le voci « americane » , « democratiche » , italiane; e comunque ignorando le loro ragioni, per meglio colpirli per i loro errori o torti, veri o presunti che siano.
Infine, se non fosse stato tacitato per sempre, dubito che Nicola Calipari avrebbe mai ringraziato i suoi potenziali e poi veri assassini per averlo « solamente » ferito, fisicamente o moralmente, e magari — poi — curato gentilmente.
Quando, come radicali, abbiamo tentato di contrapporre alla « necessità » di una fase bellica, la scelta di liberare l'Iraq ( « Iraq libero! » ) , di por fine allo sterminio delle popolazioni irachene con la sola arma della democrazia e della diplomazia, della scelta di un'immediata attivazione di un progetto — garantito dall'Onu — di transizione verso la democrazia in Iraq, assicurando a Saddam la convenienza della scelta dell'esilio ( progetto fatto proprio dalla maggioranza assoluta dei parlamentari italiani, di centro destra e di centro sinistra), costoro nemmeno mostrarono di accorgersene.
Lottavano solo contro Bush; quel « resto » dava solo fastidio.
Così, Governo, Opposizione, « masse » e « girotondini » , « pacifisti » e « rivoluzionari » , mobilitatisi in tutto il mondo, indussero Saddam a restare a Bagdad, facendolo ritenere vittorioso — non solo moralmente — agli occhi del mondo, e suoi propri. Il Governo e l'Opposizione facciano pur commentare ora, come sempre, dalla Terza Camera presieduta da Bruno Vespa, o dalla Commissione Bipolare di Giovanni Floris, a Fausto Bertinotti, Clemente Mastella, Prodi e Berlusconi ( se accettano), o ad altri loro habitués , la vita e la tragica morte di Nicola Calipari, il liberatore di Stato, cui la vittima del sequestro deve principalmente la libertà e la vita. Silenziati e non silenziosi; vietati e non vieti, impediti a concorrere legalmente al loro gioco democratico, siamo e vogliamo essere « iracheni » , vogliamo condividerne le sorti nella prospettiva della « comunità delle democrazie » che stiamo contribuendo a costruire.
Ammettiamo pure che questo sia il grido che emettiamo dalla nostra Resistenza antiregime, antipartitocratica, antibipolare, antifondamentalista, anticlerico autoritaria, anticlerico fascista, anticlerico comunista. Mi emoziona e mi consola di pensarlo, come una eco di un articolo che il comunista Paese sera mi pubblicò nel 1959 come editoriale, in cui già allora proponevo ( come vorrei poter fare ancor oggi, con la durezza di questo intervento) alla sinistra democratica e liberale da una parte, e dall'altra, a quella comunista e di sinistra socialista, quanto — con un ritardo di mezzo secolo — sembra costituire l'essenziale di gran parte della classe dirigente dei Ds e della Sinistra e Centro sinistra europei. E che rischia di essere travolto, in queste settimane, sia che si tratti di politica internazionale o di difesa referendaria dei diritti umani in Italia, anche da « alte » parti dell'Unione di centro sinistra.
So che quanto ho scritto, che è sicuramente anche un grido, farà a loro volta gridare, di sdegno e di furia eliminatoria, molti. Ma proprio questo, credo, sia il miglior modo di onorare la vita e la morte del poliziotto italiano ( figlio di quelli intravisti e celebrati a Valle Giulia da Pier Paolo Pasolini), di Nicola Calipari, con il suo quanto eloquente, gridato nei fatti, itinerario Reggio Calabria, Genova, Roma, Bagdad.
Non andrò stamani, a salutare, con « tutti » , Nicola Calipari. Non solo perché aborro queste celebrazioni ufficiali dove pullulano « autorità » che non di rado considero come usuali celebranti, se non autori, delle sciagure nazionali, sulle quali poi e solennemente piangono.
L'ultima volta che vi partecipai fu nel 1979 ( proprio a Santa Maria degli Angeli), ai funerali del comandante generale dei carabinieri Mino, assassinato dal para Stato, da assassini ancor oggi protetti dallo Stato, per tentare anche in quel modo di lottare da radicale per un po' di verità, in un regime fatto di morte della legalità e di assassini della Giustizia e della vita civile.
Ma questa volta non tornerò alla basilica di Santa Maria degli Angeli, come pur feci per la celebrazione in onore del generale Mino. Quel giorno, nella folla, mi scorse un altro amico, il colonnello dell'Arma Antonio Varisco, che accorse indicandomi perché la gente, vicina e stupita, lo udisse: « Lui gli voleva davvero bene, e Mino gliene voleva ancora di più, forse. Grazie, Marco! » . Poco dopo, Antonio Varisco fu assassinato anche lui, ma da terroristi o assassini o « resistenti » italiani, per conto delle « Brigate Rosse » .
Non andrò, anche se questa volta « lo Stato » non è complice ma difensore del « suo » Nicola Calipari.
Noi lo saluteremo e onoreremo, martedì a Strasburgo, nella sessione plenaria del Parlamento Europeo, quale testimone di un'altra Europa e un'altra Italia da quelle che chiedono di ritirarci oggi dall'Iraq, come ieri di non andarci, per lasciarlo ai Saddam ed ai loro eredi.
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