La rivolta si estende da Beirut a Damasco, ma il regime siriano non allenta la presa sulla valle della Bekaa
roccaforte strategica e rifugio dei terroristi di Hezbollah
Testata:
Data: 07/03/2005
Pagina: 143
Autore: Fiamma Nirenstein - Maurizio Molinari
Titolo: Prove di rivolta a Damasco - La conca strategica che Damasco non molla
PANORAMA del 10 marzo 2005 pubblica a pagina 143 un articolo di Fiamma Nirenstein sull'emergere di un'aperta opposizione in Siria.

Ecco l'articolo,"Prove di rivolta a Damasco"

Una cosa del genere non era mai accaduta: 200 intellettuali siriani in piazza a mostrare la faccia, a reclamare libertà al governo di Damasco.
Poco lontano, a Beirut, la manifestazione di massa in memoria di Rafik Hariri e per il ritiro delle truppe di occupazione siriane dal Libano.
Dei dissidenti siriani si è sempre saputo pochissimo: per loro uscire allo scoperto significava spesso rischiare la vita. O, nella migliore della ipotesi, la libertà. Ora hanno manifestato senza paura contro il regime degli Assad e riprendono a sperare, dopo che nel novembre scorso erano stati schiacciati lasciando per le strade morti e feriti.
I loro gruppi sono di vario tipo, a volte con rapporti ambigui con il regime. Prendiamo gli islamisti: spesso perseguitati con durezza estrema (ad Hama ad esempio 20 mila persone furono sterminate dal regime di Damasco ), oggi sono in parte finanziati dallo stesso governo. Caso emblematico, gli Hezbollah sciiti, vicini al regime baathista, ma pagando prezzi spesso elevatissimi. Poi ci sono i curdi, affascinati dai successi dei loro fratelli iracheni, e altri 17 gruppi di opposizione quasi tutti sciiti, con frange cristiane, persino qualche gruppetto pragmatico baathista che vorrebbe trovare una via d’uscita dolce alla dittatura.
Infine, secondo fonti americane, ci sono organizzazioni che seguitano a suggerire all’amministrazione Usa una riforma dell’attuale regime, sottintendendo che è impossibile abbatterlo. Ma a Washington è nato anche Reform Party of Syria. Sostiene che il regime attuale non può essere cambiato né sul piano interno né su quello internazionale, perché, assieme con l’Iran fa della destabilizzazione la sua fonte di potere esportando terrorismo.
Il suo capo si chiama Fadhi Ghadri e agisce a viso aperto nonostante le minacce: è un uomo d’affari di Aleppo, nato nel 1954, poi passato a Beirut e quindi a Washington nel 1975.
Il suo gruppo conta su un gruppo di professionisti che lottano alla luce del sole, con nome e cognome: Basha Najjar, dottore, Najat Ashkar, dottore, Abdul Al Sultani, ingegnere, Mohammed al Gaida, scrittore Khalid Hakki, linguista, Abbas Khodr, architetto, Chuki al-Samih, commerciante… siamo sempre di più dice Farid. E si infervora: "guai a non vedere che questo è il momento che adesso il governo è debole".
A testimoniare il desiderio di Bashar Assad di recuperare credibilità non c’è solo la promessa di sgombrare il Libano: sabato 12 febbraio sono usciti dalle carceri siriane 55 uomini rimasti in cella fra i tre e i vent’anni: siriani, pacifisti, libanesi, un iracheno e un tunisino. Tra di loro molti membri della fratellanza islamica, ma anche Anwar al-Bunni, avvocato e a importante attivista dei diritti umani.
LA STAMPA pubblica a pagina 11 un articolo di Maurizio Molinari, che spiega come nonostante l'annunciato ritiro Damasco non intenda rinunciare al controllo della strategica valle della Bekaa, dalla quale operano i terroriti di Hezbollah.

Ecco l'articolo, "La conca strategica che Damasco non molla"

Attraversata dal fiume Litani che scorre fra due alte catene montuose, considerata dai fenici il «Luogo degli Dei» e scelta dai romani per costruire a Baalbek il tempio con le colonne più alte e imponenti, la Valle della Bekaa è al centro del braccio di ferro fra Damasco da un lato e Washington e Parigi dall'altro sul futuro del Paese dei Cedri.
L'annuncio del ritiro parziale dal Libano fatto dal presidente siriano Bashar Assad sottintende infatti la volontà di mantenere il controllo della strategica valle, posizionata ai confini siro-libanesi a meno di 20 minuti di auto dal centro di Damasco e sovrastatata da alti passi di montagna come quello Dahr el-Baidar. Fu qui che i militari israeliani si posizionarono nel 1982 arrivando a curiosare con i loro binocoli fin dentro il palazzo presidenziale ed è qui che i servizi siriani possiedono oggi una stazione di intelligence - più volte bersagliata dagli aerei di Gerusalemme - dalla quale controlla almeno metà del territorio dello Stato ebraico. Per garantirsi il controllo assoluto delle alture della Bekaa i siriani hanno trasformato la valle in una roccaforte militare: almeno tremila i soldati schierati che potrebbero diventare di più se Assad ritirerà dal resto del Libano i rimanenti 10-12 mila. A ciò si deve aggiunge la presenza delle basi degli Hezbollah, la guerriglia filo-iraniana considerata da Washington «l'organizzazione terroristica che ha ucciso il più alto numero di cittadini americani dopo Al Qaeda» per via degli attentati kamikaze contro le sedi Usa a Beirut nel 1983 e 1984. Finanziati ed armati da Teheran grazie a forniture che arrivano via terra attraverso la Siria, gli Hezbollah mantengono nella valle della Bekaa almeno sette battaglioni di fanteria motorizzata.
Dopo aver rivendicato nel 2000 di essere riusciti ad ottenere il ritiro israeliano dal Libano del Sud, gli Hezbollah hanno iniziato a schierare nella Bekaa missili iraniani a corto e medio raggio in grado di raggiungere tutto il Nord di Israele. La protezione garantita dalle montagne come la fertilità portata dal Litani ha fatto sì che altri gruppi armati abbiano in passato scelto questo angolo di Libano come proprio rifugio, dal Pkk curdo negli Anni Settanta a Jihad palestinese e Hamas negli Anni Ottanta, anch'essi considerati «terroristi» da Washington.
La concentrazione di forze siriane, iraniane, fuggiaschi del Baath e gruppi terroristi fece supporre due anni fa al magazine militare «Jane's» che il Pentagono potesse lanciare un blitz dal cielo contro la valle-roccaforte popolata di personaggi inseguiti da mandati di cattura e taglie del Dipartimento della Giustizia. Quando tre giorni fa il presidente americano, George W. Bush, in un'intervista al tabloid «New York Post» ha detto di pretendere dalla Siria «il ritiro dal 100 e non dal 94 per cento del Libano» ha implicitamente fatto riferimentro proprio a quel 6 per cento di territorio che corrisponde alla valle. Per Bashar Assad tuttavia abbandonare i passi montagnosi che guardano su Damasco vorrebbe dire tradire la dottrina strategica ereditata dal padre Hafez Assad - e gelosamente conservata dai vertici militari e di intelligence - secondo cui controllarli compensava la perdita delle vicine alture del Golan subita nella Guerra dei Sei Giorni da parte di Israele.
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